BAVAGLIO ISRAELIANO ALLA PALESTINA

 

Stampa uccisa, ferita, arrestata: bavaglio israeliano ai Territori palestinesi

PALESTINA/ISRAELE. Le operazioni su Gaza e la Seconda Intifada i periodi peggiori. Da Yaser Murtaja a Raffaele Ciriello, non c'è mai nessun colpevole. A oggi 16 reporter in carcere. E un anno fa raid aerei sulle sedi della stampa palestinese e internazionale nella Striscia.

La commemorazione,  a Gaza, per l'uccisione di Shireen Abu Akleh organizzata dal sindacato palestinese della stampa - Ap/Mohammed Talatene


«Abbiamo visto decine di casi di terroristi di Hamas che usano ambulanze, si vestono come personale della Mezzaluna rossa o come giornalisti. Non vogliamo correre alcun rischio». Così l’allora ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman aveva commentato l’uccisione del giornalista palestinese Yaser Murtaja, nei giorni caldi della Marcia del Ritorno a Gaza.

Era il 6 aprile 2018, centinaia di migliaia di palestinesi da giorni si erano ripresi le terre di confine tra la Striscia e il sud di Israele. Yaser Murtaja aveva la pettorina con su scritto Press e l’elmetto blu quando un cecchino israeliano lo ha colpito all’addome.

L’esercito israeliano «per non correre rischi» gli ha sparato da una distanza di 350 metri dalla barriera di divisione, nonostante fosse ben visibile e non rappresentasse un pericolo. Yaser era fotografo e videomaker, un mese prima su Facebook aveva pubblicato una foto di Gaza dall’alto, scattata con il drone, il primo a farlo nell’enclave assediata: «Spero che un giorno potrò scattare questa immagine dal cielo e non da terra. Mi chiamo Yaser, ho trent’anni, vivo a Gaza City e non ho mai viaggiato».

QUELLO STESSO GIORNO altri sette giornalisti sono rimasti feriti dal fuoco israeliano, uno in modo grave. Difficile tenere il conto dei reporter palestinesi feriti, uccisi o arrestati nei Territori occupati negli ultimi decenni. I database disponibili – Onu, Committee to Protect Journalists (Cpj) e Reporter senza Frontiere – registrano i decessi dal 2000, anno di inizio della Seconda Intifada. E oscillano, dai 21 dell’Unesco ai 30 del Cpj, fino ai 46 del Sindacato palestinese della stampa. Dal 1972 sarebbero 83, secondo l’agenzia stampa Wafa.

Negli ultimi due decenni sono stati questi i periodi più duri, la seconda sollevazione palestinese e le svariate operazioni militari contro Gaza. Negli anni roventi di inizio millennio fu una mattanza: dal britannico James Miller colpito a Rafah mentre riprendeva la demolizione di una casa a Nazeh Darouazi ucciso a Nablus, centrato in faccia dal fuoco israeliano; da Imad Abu Zahra, morto a Jenin (l’esercito aprì il fuoco nonostante non stesse accadendo nulla) a Issam Hamza Tillawi, ucciso a Ramallah da un candelotto lacrimogeno mentre conduceva interviste ai manifestanti.

Raffaele Ciriello, giornalista italiano, è stato ammazzato durante l’assedio di Ramallah, il 13 marzo 2002. Con Arafat che tentava di sopravvivere in un bunker ai bombardamenti israeliani sulla Muqata e centinaia di migliaia di palestinesi che facevano altrettanto nel resto della città, Ciriello fu colpito da cinque proiettili da mitragliatrice dell’esercito israeliano. Quindici mesi dopo, a Milano l’inchiesta sulla sua morte fu archiviata: «Ucciso per mano di ignoti», Israele non rispose mai alla rogatoria italiana che chiedeva di identificare i soldati a bordo del carrarmato.

DESTINO SIMILE per Fadel Shana, cameraman della Reuters, ucciso nell’aprile 2008: quattro mesi dopo lo stesso esercito concluse le indagini con un’auto-assoluzione. Shana riprese i suoi ultimi momenti, prima di essere centrato dal fuoco di un carrarmato. Insieme a lui morirono otto civili, sei sotto i 16 anni.

Khaled Reyadh Hamad morì nei primi giorni di Margine Protettivo, nel luglio 2014, in un bombardamento: si trovava a bordo di un ambulanza nel quartiere gazawi di Shajayeh, di cui – a fine operazione – restò solo un ammasso indistinto e indistinguibile di macerie.

Un mese dopo, agosto 2014, Margine Protettivo era ancora lontana dallo spegnersi: il giornalista italiano Simone Camilli moriva a Gaza nell’esplosione di una granata israeliana che gli artificieri palestinesi non riuscirono a far brillare. Era turco Cevdet Kiliclar, giornalista ucciso nell’assalto in acque internazionali delle forze speciali israeliane contro la Mavi Marmara, la Freedom Flotilla salpata alla volta di Gaza nel maggio 2010. Non ci arrivò mai.

Lo scorso anno raid aerei israeliani distrussero a Gaza la Torre al-Jalaa, dove avevano sede diversi media, dall’Ap ad al-Jazeera, e la Torre al-Shorouk, con gli uffici di agenzie palestinesi.

A FERIMENTI, uccisioni, pestaggi e confisca dell’equipaggiamento, spesso Israele aggiunge la galera. Attualmente sono 16 i reporter detenuti in un carcere israeliano, tra gennaio 2020 e marzo 2022 ce ne sono passati 26. In molti casi in detenzione amministrativa (prigionia senza accuse né processo), in tanti arrestati «sul campo», mentre documentano gli eventi e altri ancora per il reato di «incitamento alla violenza».

Secondo una recente inchiesta di The Intercept, durante gli interrogatori, le forze israeliane mostrano loro video, articoli, foto realizzati nello svolgimento del proprio lavoro. Un modo per spingere verso l’autocensura. Non pare funzionare.


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