Un
modo diverso di governare il mondo
Data: 17
Aprile 2022
Autore: a
cura della redazione
Tanto
evocata, tanto esorcizzata e
alla fine è arrivata la
guerra, la solita
sporca guerra, con il suo nefasto
corredo
di morte e distruzione.
L’evento interroga in profondità
la
coscienza di “donne e uomini in ricerca e
confronto
comunitario”, la frase presente in tutte
le
copertine di Tempi di fraternità, il giornale
che
raccoglie, per fortuna come tanti altri, esperienze,
riflessioni
e speranze in un mondo nuovo
in cui abitino pace e
concordia. Il rischio
più importante della guerra è di
perdere, insieme
a migliaia di vite umane, anche la
speranza
in un futuro migliore. E poi ancora distruzione
e
devastazione... e odio, matrice e propagatore
di ogni
guerra.
Papa Francesco, a nostro parere unico
leader
internazionale, è stato chiaro e profetico a
questo
riguardo: «Le vere risposte non sono
altre armi, altre
sanzioni. Io mi sono vergognato
quando ho letto che un
gruppo di Stati si
è impegnato a spendere il due per cento
del Pil
nell’acquisto di armi, come risposta a ciò
che
sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta,
come
ho detto, non sono altre armi,
altre sanzioni, altre
alleanze politico-militari,
ma un’altra impostazione, un
modo diverso
di governare il mondo ormai globalizzato
-
non facendo vedere i denti, come adesso
- un modo diverso di
impostare le relazioni
internazionali. La guerra in Ucraina
è frutto
della vecchia logica di potere che ancora
domina
la cosiddetta geopolitica, logica che va
sostituita
con il modello della cura. Questo
modello è già in atto,
grazie a Dio, ma purtroppo
è ancora sottomesso a quello del
potere
economico-tecnocratico-militare» discorso al
Centro
italiano femminile, 24 marzo 2022).
Prima di papa
Francesco, l’enciclica Pacem
in terris (11 aprile 1963),
rivolta a tutti, credenti
o no, conteneva un forte richiamo
alla
ragione, alla necessità di cambiare
paradigma,
soprattutto nell’era atomica. “La guerra è
fuori
dalla ragione”.
Opinione diversa esprime il
metropolita di
Mosca Kirill (le Chiese ortodosse sono
autocefale):
“Questa primavera è stata offuscata da
gravi
eventi legati al deterioramento della situazione
politica
nel Donbass, praticamente lo
scoppio delle ostilità”.
(...) “Da quale parte di
Dio intenda stare l’umanità”,
ed in particolare
quale atteggiamento prendere nei
confronti
dell’“Impero della Menzogna” che sono
le
potenze occidentali, impegnate ad assecondare
le
indicazioni del mondo gay? Secondo Kirill,
“ciò che sta
accadendo oggi nell’ambito
delle relazioni internazionali,
quindi, non ha
solo un significato politico”: “Si tratta
della
salvezza umana, di dove andrà a finire
l’umanità”.
“Tutto ciò che dico non ha solo un
significato
teorico ma un significato spirituale.
Intorno
a questo argomento oggi c’è una vera
guerra”, ha
precisato. “Siamo entrati in una
lotta che non ha un
significato fisico, ma metafisico”
- ha detto a proposito
della necessità
di combattere.
Onestamente, sembra di
tornare al tempo
delle Crociate.
È bene
sottolineare però che le posizioni dei
due, in diversi
altri interventi, per quanto antitetiche,
hanno un punto in
comune: la critica
della globalizzazione, che è anche una
critica
al neocapitalismo fondato sulla teologia
della
prosperità.
Esiste una parte della dottrina
protestante -
soprattutto calvinista - che vede nella
ricchezza
una benedizione di Dio e, di converso, nella
povertà
una colpa. Questo tentativo di schematizzazione ci
permette
di vedere la guerra nel suo giusto significato:
la
lotta tra l’impero russo (nazionalista e
tradizionalista) e
l’impero americano, di cui la Nato è
appendice (globalista).
Entrambi gli imperi non vogliono,
per ora, farsi
guerra direttamente e scatenano la guerra in
Ucraina,
approfittando del nazionalismo del popolo che
entrambi
hanno cooperato a far crescere a dismisura.
In
termini religiosi potremmo dire che entrambe le
potenze sono
in grave stato di peccato (almeno in quest’occasione
possiamo
usare questa parola). Perché la
guerra è intrinsecamente
un atto contro l’umanità creata
da Dio. Padre Turoldo, in
una sua poesia, ripeteva:
“O l’uomo è un uomo di pace o
non è neppure un
uomo”! E gli faceva eco Einstein:
“Uomini ricordatevi
di essere membri della specie umana e
dimenticate tutto
il resto”. Di più: “O l’umanità
cambia modo di pensare
o va verso la catastrofe”. È la
cultura, ancor prima
dell’etica, che non riesce a fare
passi avanti.
Tutto questo non significa equidistanza,
perché assistiamo
ad una brutale invasione da parte della
Russia,
che non può certo essere sminuita. Purtroppo il
popolo
ucraino è doppiamente vittima e noi, come italiani,
continuando
ad armarlo, ci assumiamo una pesante
responsabilità.
Aiutiamo il popolo ucraino, non le
industrie che producono
armi! È davvero importante operare
la più ampia
mobilitazione per soccorrere il popolo
ucraino, garantendo
l’accoglienza a quanti fuggono dalla
guerra e
facendo pervenire in loco aiuti umanitari e
sanitari. È
importantissimo, giusto e doveroso manifestare
la più
ampia solidarietà e predisporre aiuti umanitari, ma
è un
grave errore prevedere sostegni di tipo militare. Le
armi,
la storia degli ultimi decenni lo dimostra
ampiamente,
non fermano, ma alimentano le guerre. Dopo il
secondo
conflitto mondiale l’opzione militare si è
ripetutamente
dimostrata non solo disastrosa, ma anche
inconcludente.
Quasi tutti i conflitti, che si sono
registrati da allora,
hanno provocato lutti e dolori, ma
quasi mai hanno raggiunto
gli obiettivi per i quali sono
stati posti in essere.
L’opzione di fornire aiuti militari
di qualsiasi natura,
a prima vista, può sembrare una scelta
realistica, che
punta a fornire al debole aggredito i mezzi
necessari
per difendersi. Se tuttavia approfondiamo anche
solo
un poco la riflessione, non è difficile rendersi conto
che
una tale scelta non fa altro che fornire argomenti
all’aggressore
e distrae dalla ricerca più ampia
possibile
per assicurare all’Ucraina un’adeguata
protezione internazionale
sotto l’egida dell’ONU.
Il
riconoscimento del carattere di aggressione dato
dal
pronunciamento dell’Assemblea dell’ONU
all’invasione
russa dell’Ucraina (col voto favorevole di
gran parte
dei Paesi aderenti) è un elemento politico di
grande rilevanza,
che meriterebbe un sostegno fortissimo da
parte
dell’opinione pubblica mondiale e dell’iniziativa
politica
internazionale. Di questo, però, nessuno parla.
Ci
si avvita in una spirale pericolosissima quanto
inefficace
di ritorsioni e controritorsioni, dislocazioni di
truppe
Nato nei paesi limitrofi con connesso svolgimento
di
esercitazioni che hanno il solo risultato di fornire
argomento
alla propaganda russa.
La Nato dovrebbe
invece dare credibili e chiari segnali
di non avere
obiettivi di espansione e di assunzione
di iniziative di
natura militare miranti a danneggiare
la Russia. Ogni giorno
di guerra da parte russa e ogni
rigonfiamento occidentale di
muscoli non fanno altro
che allontanare le prospettive di
pace. Si rivelerebbe
urgente pertanto porre subito sul
piatto una credibile
manifestazione politica che le forze
Nato non nutrono
alcuna ulteriore mira espansiva. Questo
potrebbe essere
lo scenario per rendere possibile l’apertura
di negoziati
veri tra Russia e Ucraina.
Anziché
dare la parola alle armi, si faccia parlare la
ragione! Oggi
possono gioire solo i fabbricanti e i mercanti
d’armi! Il
quotidiano proseguire dell’orrore in terra
ucraina pone in
chiarissima evidenza come in queste
settimane si sia
dischiusa una rosea prospettiva di buoni
affari per
l’industria degli armamenti. Quasi tutti i
governi stanno
decidendo un ampliamento degli investimenti
e delle spese
militari. È abbastanza verosimile
che quanti lucrano
sull’industria degli armamenti in
questi giorni si stiano
sfregando le mani per le opportunità
che si stanno
schiudendo dinanzi a loro. La cosa
ricorda l’episodio
della gioia manifestata da alcuni imprenditori
nostrani
all’indomani del terremoto in Abruzzo.
E fa un certo
effetto dover rilevare, almeno nel nostro
paese, l’insorgere
di un militarismo di sinistra. Siamo
infatti sorpresi nel
rilevare che autorevoli figure della
sinistra oggi svolgano
funzioni dirigenziali nell’ambito
dell’industria delle
armi, quasi a dar l’apparenza di una
vera e propria lobby.
Addolora dover constatare che
nella sinistra stia diventando
di moda sventolare con
una mano la bandiera multicolore
della pace, mentre
con l'altra si agisce per un aumento
delle spese militari
e si spinge per rifornire d’armi
l’Ucraina.
La vicinanza della guerra in Ucraina ha
avuto anche
l’effetto di distrarre dalle numerose altre
guerre drammaticamente
in svolgimento altrove.
La cosa
più importante oggi è, allora, far tacere subito
le armi e
operare affinché si dispieghi pienamente la
capacità
negoziale della politica di grande respiro.
Fermare le armi
non è vigliaccheria, ma è la scelta
della consapevolezza
indicata alcuni anni fa da Hans
Küng, «sulla via non siamo
da soli, ma con milioni e
milioni di altri uomini (...), con
i quali siamo sempre
dovrebbe combattere per il mio e il
tuo, per la mia verità
- per la tua verità, ma si dovrebbe
piuttosto essere
infinitamente disponibili ad imparare dalla
verità degli
altri e a comunicare senza gelosie la propria
verità»
(Hans Küng, Progetto per un’etica mondiale).
La
tragedia in corso chiama noi credenti europei, probabilmente
in
una forma sinora mai sperimentata in
epoca post-conciliare,
a una testimonianza della pace
incarnata di fronte a
manifestazioni di violenza, di dolore
e di lutti a portata
di mano, vissute e percepite a
noi vicine e che, lo vogliamo
o no, ci coinvolgono direttamente.
È una percezione della
guerra a cui non eravamo
più abituati dalla fine del
secondo conflitto mondiale.
La gravità assoluta della
vicenda ci chiede invece
di far ricorso, probabilmente in
una forma che le
nostre generazioni non hanno avuto sinora
l’opportunità
di sentire, in pienezza al tesoro di fede,
speranza e
amore che ci deriva dal nostro essere al sèguito
di Gesù,
sui sentieri della nostra terra, in questo
drammatico secondo
decennio del XXI secolo. La sfida a cui
siamo
chiamati è quella di saper riconoscere, in quest’ora
dura
che stiamo vivendo, il segno autentico del tempo
attuale,
e l’impegno al servizio della pace a cui il
Signore ci
chiama.
Trasformeranno le loro spade
in aratri e le lance in
falci. Le nazioni non saranno più
in lotta tra loro e cesseranno
di prepararsi alla guerra.
(Is, 2,4)
2800 anni fa le parole profetiche di Isaia. Le
armi
lasceranno il posto agli strumenti che consentiranno
di
dare pane a tutte e a tutti. Ma, si sa, i profeti
quando
sono in vita non sono amati nei palazzi che
contano.
Sono derisi, ritenuti sognatori velleitari che non
sanno
fare i conti con la dura realtà della vita.
E
oggi si scopre che le armi che saranno prodotte in
Italia,
trasferite ed esportate in uno Stato membro dell’Unione
europea,
saranno esenti da Iva e da accise. Il
pane, invece, è
soggetto all’Iva al 4 %, e nessuno si sogna
di detassarlo.
Insomma, un brutto segno dei tempi,
uno dei tanti.
Non
c’è altra via possibile se non armarsi fino ai denti,
ci
dicono. È sempre stato così, dal tempo delle caverne
a
oggi. Bisogna arrendersi ed è inutile illudersi.
Noi, voce
piccola e testarda, non ci arrendiamo.
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