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COMMENTO
Per
oligarchi si intendono i padroni, i tycoon, gli amministratori delegati e
manager di grandi aziende. Si distinguono da altre categorie di super ricchi
per il controllo che esercitano sull’economia e per il rapporto privilegiato
con le istituzioni statali. Compongono, insomma, l’élite finanziaria e
imprenditoriale del capitalismo. Usare il termine per indicare, in tono
spregiativo, soltanto i miliardari russi è mistificante. La peculiarità
russa, se vogliamo cercarla, consiste nell’anarchia economica e nella
rapidità con cui, dopo il crollo dell’Urss, è avvenuta la privatizzazione dell’economia.
Che si è tradotta, com’è noto, in un gigantesco furto di risorse e di beni
comuni da parte di uomini senza particolari meriti e, spesso, provenienti
dall’apparato.
I governi americani ed europei hanno salutato come una vittoria del «mondo
libero» la caduta dell’Unione sovietica e sono stati ben contenti di
stringere accordi con i nuovi padroni.
In Ucraina le cose sono andate, più o meno, allo stesso modo. Gli oligarchi
(circa cento) controllano l’80% delle ricchezze di un paese che, ancora nel
2019, era tra i più arretrati dell’ex Urss. In un report del Parlamento
europeo dell’11 febbraio 2021, sono documentati i motivi che rendono
difficile, in tempi brevi, l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Si parla di
illegalità, dell’influenza degli oligarchi sulla politica, di corruzione, di
mal funzionamento della giustizia, di mancanza di libertà di stampa, di
campagne d’odio e fenomeni d’intolleranza verso femministe, Lgbt, rom. Non
siamo proprio davanti a un modello di democrazia, senza nulla togliere naturalmente
alla solidarietà nei confronti del popolo ucraino, vittima dell’aggressione
della Russia di Putin.
Nell’immaginario collettivo, aerei privati e yachts super lussuosi, ville e
residenze esclusive, rappresentano lo status simbol degli oligarchi. Ma riusciamo
a vedere solo lo strato superficiale di un immenso tesoro accumulato e ben
nascosto nei paradisi fiscali. La smisurata quantità di denaro posseduta
deforma, in molti di loro, la percezione della realtà. Pensano di poter
sopravvivere a qualsiasi tracollo finanziario o a qualsiasi guerra. Vivono
fuori dal tempo. Alcuni, Elon Musk e Jeff Bezos, investono nella ricerca
aereo-spaziale, d’accordo con la Nasa, forse immaginando di costruire rifugi
sicuri fuori dal nostro pianeta. Segnando così la distanza abissale che li
separa dai comuni mortali. Super uomini che sognano di dominare il mondo
dall’alto. A queste stravaganze e abiezioni ci ha portato «il punto di vista»
che trasforma ogni cosa in economia e misura il valore delle persone dalla
consistenza dei patrimoni.
Il potere degli oligarchi è tanto più forte quanto più deboli sono la
democrazia e la politica. Silvio Berlusconi, classificabile a buon diritto
nella schiera degli oligarchi, è entrato nell’agone politico in un momento di
massima crisi dei partiti, per meglio difendere e allargare il campo dei suoi
affari. Sono numerosi gli oligarchi che puntano a governare direttamente i
loro paesi. Una volta al potere, si avvalgono della collaborazione, ben
remunerata, di ex premier, ex ministri, ex parlamentari, abbassatisi al ruolo
di lobbisti, mediatori o faccendieri. Le sanzioni nei confronti degli
oligarchi russi incidono poco proprio per le difficoltà di recidere l’enorme
grumo di interessi e di relazioni opache che li circonda.
Aiuti militari sempre più consistenti stanno prendendo il sopravvento sulle
sanzioni. Siamo ormai dentro la spirale di un conflitto lungo e doloroso. Una
guerra che non è «la continuazione della politica con altri mezzi», come
sosteneva il generale von Clausewitz. Sottolinea, semmai, le difficoltà della
politica, il restringimento degli spazi di democrazia, i pericoli di
recrudescenze nazionaliste e reazionarie. Dà fiato alla corsa agli armamenti.
Alimenta una visione manichea, del bene contro il male, che non aiuta a
comprendere di chi siano le responsabilità dell’emergenza globale in cui
viviamo: i cambiamenti climatici, i rischi per la salute pubblica e, ora, la
guerra.
Lo scenario dello «scontro di civiltà», delineato da Joe Biden, non promette
nulla di buono. Di quale civiltà parliamo? Di quella creata, in trenta anni
di egemonia liberista, con lo smantellamento dello Stato sociale, con la
riduzione delle tutele sindacali, con il saccheggio dei paesi poveri, con
l’acuirsi delle disuguaglianze e delle tensioni geopolitiche? E di quale
democrazia parliamo? Di quella dell’assalto a Capitol Hill, con cui si è
conclusa la presidenza Trump, che ha messo in evidenza la fragilità e la
vulnerabilità delle istituzioni democratiche, anche nei paesi occidentali? E’
tempo di rovesciare il «punto di vista» dominante.
E di trasformare lo scontro di civiltà ideologico, evocato dal presidente
americano, in uno scontro di civiltà reale. Un mondo più giusto, in cui non
comandino le oligarchie, è possibile. La sinistra ha l’occasione, il dovere innanzitutto,
di costruire un movimento largo e unitario che tenga insieme i temi della
pace, della salvaguardia dell’eco-sistema, del rafforzamento della sfera dei
diritti collettivi e individuali.
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