11 NOVEMBRE LUCIANO di Marcella Pera

 

Come ho già detto al  mio corso LEGGERE E SCRIVERE... PER DIVERTIMENTO che tengo a Quiliano (UNIQUI, notizie al link I CORSI PER TUTTI A QUILIANO (DUE SONO MIEI) (senzafine.info), c'è una nuova signora.


"Il mondo è pieno di anime, ciascuna con la propria storia da raccontare e se non ne hanno la voglia o la forza basta osservarle con amore e la storia fluirà da sé. Non importa se il loro vissuto ti è ingnoto... loro ti parleranno."

                                                (Marcella Pera)


11 novembre

Luciano

 

   Tutto quello che aveva era con lui. 

  Nell'ordine: una custodia di chitarra piena di chissacchè, una chitarra, una coperta, qualche cartone di riserva per le serate più fredde, due scarponcelli disassortiti, un trolley e un carretto ormai sepolto di stracci. Strati di abiti addosso come un guardaroba quattro stagioni per far fronte a ogni evenienza, un cappello da pioggia per l'inverno ma anche per l'estate.

  La sua casa, abbandonata ma mai dimenticata, stava su una collina assolata, bianca col tetto di coppi rossi. La facciata, coperta di rampicanti, qua e là occhieggiava di mattoni e pietre a vista, scrostati di intonaco e a nudo come la sua anima.

Luciano viveva lì,  solo, da anni. La mattina si alzava all'alba. Adorava vedere la luce del sole crescere lentamente da dietro le colline e tingere di azzurro e oro il margine del bosco. Mentre il cielo pian piano si rischiarava, un nodo di tristezza gli  chiudeva la gola, un dolore intenso alla bocca dello stomaco che si confondeva con una fitta al cuore unito a uno spasmo di infelicità. Come poteva una visione così bella trasformarsi in un dolore fisico così grande?

Chiudeva gli occhi e si passava le mani ruvide sul viso e tra i capelli lunghi ancora scuri e mossi.

Si faceva pena da solo. Era trascurato, pulito ma trascurato come chi non deve dimostrare a nessuno di essere all'altezza di un qualsiasi rapporto sociale, men che meno di una relazione affettiva con chicchessia.

Aveva rinunciato all'amore tanto tempo prima. 

Forse, non ci aveva mai creduto veramente. 

Aveva preparato quella casa con le sue mani, ogni mattone, ogni tegola era un tassello di quella vita che pensava di meritare e la sera, stanco ma soddisfatto, si sedeva nella parte di muro che guardava a ovest e attendeva tramontare il sole dietro le colline.

Faceva male agli occhi tanto era intenso e allora lui li chiudeva e si lasciava inondare dal calore  fino a che il lembo di sole  spariva del tutto.

Aveva costruito una piccola struttura in legno dove in realtà viveva da quando aveva  iniziato i lavori. 

16 m² di intimità forzata. Un letto, un catino, una stufetta a legna, una lampada su un tavolo, quattro pentole di ghisa sempre sul fuoco con acqua per tutti gli usi, uno scaffale con qualche bicchiere assortito, quattro piatti, quattro posate e un po' di scatolame.

Non c'era bisogno di altro. Se qualcuno l'avesse voluto salutare sarebbe stato il benvenuto. Luciano avrebbe cucinato un po' di fagioli con erbette di campo, versato un bicchiere di vino e tagliato  una fetta di pane che teneva in un sacchetto di juta avvolto in un panno di lana. 

Nessuno veniva mai a trovarlo anche se lui andava ogni tanto in paese dal ferramenta e dal pizzicagnolo. Dall'uno comprava materiale utile per la casa e dall'altro lo stretto indispensabile per sopravvivere. Teneva i soldi che gli aveva lasciato sua madre sotto le assi della casetta dentro una scatola di latta suddivisa in scomparti. Ognuno racchiudeva un po’ di denaro che sua madre aveva ritenuto necessario e sufficiente per un anno di vita.  Luciano usava lo stretto indispensabile mettendo il rimanente in un'altra scatola di biscotti nascosta sotto il letto.

Gli anni passavano e gli scomparti pian piano si svuotavano. La casa era quasi finita ma lui continuava a vivere nella casetta di legno. Quella di pietra era troppo grande per lui e il suono all'interno rimbombava come la sua voce nella sua testa. Un’eco continua dei suoi passi lo inseguiva ossessivamente ed era per lui insopportabile. Ogni volta che decideva di andarci ad abitare, rimandava all'indomani il trasloco delle sue quattro cose  e così passavano le settimane, i mesi e le stagioni. Al sopraggiungere di un altro inverno, la casa era troppo grande e fredda da scaldare e, in  estate, troppo chiusa e calda. Meglio stare all'aria aperta sulla piccola veranda che aveva aggiunto alla casetta di legno. 

Fumava qualche intruglio di erbacce che riteneva buono e salutare, beveva della grappa trovata abbandonata in un cumulo di bottiglie e altre carabattole provenienti dallo sgombro di qualche cantina. Portava a casa nella cesta della sua bicicletta tutto quello che trovava in giro e con calma  sceglieva quello che avrebbe potuto essere utile. 

Ciò che è inutile per tanti per  qualcuno può essere prezioso.

Luciano aveva occhio per scegliere il meglio. Caricava la sua bicicletta e pedalava orgoglioso fino a casa, poi metteva tutto in una stanza nell'attesa di dare a ogni oggetto una disposizione appropriata.

Era passato un anno e le sue scorribande avevano già riempito la prima camera e svuotato il primo scomparto nella cassetta della mamma. Al secondo anno anche quella che doveva diventare la cucina era piena di oggetti impilati fino al soffitto mentre il secondo scomparto si era svuotato. Era diventato veloce con la sua bicicletta e sapeva dove trovare quella roba abbandonata che ormai era la sua droga. Non dovendo più lavorare alla casa, aveva un sacco di tempo libero e lo passava girovagando per le strade limitrofe. In men che non si dica la cassetta dei soldi era vuota e la casa piena. Non avrebbe potuto farci entrare nemmeno uno spillo anzi, anche la casetta di legno era piena e a stento riusciva a coricarsi nel suo giaciglio per dormire qualche ora prima di ripartire con la sua bicicletta per un altro raid sempre più lontano.

A volte stava fuori un'intera giornata per portare a casa  qualche altra carabattola. Una sera tornò a casa con in spalla un grosso bidone di latta. Era stanco, infreddolito, affamato e, appena arrivato, scaricò il fusto ancora sporco di olio. Si sedette sulla solita veranda con la sua pipa e una lampada accesa a fianco a osservare il cielo con lo sguardo perso nel buio della notte. Conosceva bene fin da bambino

tre stelle della Via Lattea e il Grande Carro perché la mamma glielo aveva mostrato. Poi, all’imbrunire, indicandogli  quella stella vicina alla luna che poi era un pianeta, gli diceva che non sarebbe mai stato solo, che sarebbe bastato guardarla per avere la certezza di non essere solo. 

Eppure, quella sera Luciano si sentiva così solo e quella stella non si vedeva, nemmeno la luna era lì per lui. E poi aveva così freddo ed era così buio che prese il fusto, la lampada  ed entrò finalmente in quella casa così piena della vita di altri, di storie di amore, di cose finite, altre iniziate e mai concluse come la sua casa. Buttò la lampada accesa nel fusto e la fiamme si alzarono fino al soffitto dov'erano appesi tutti gli ombrelli che aveva trovato nel tempo. Presero fuoco in un attimo, si estinsero uno a uno come carta leggera, la fiamma purificatrice raggiunse alcune cassette di legno colme di vecchie bambole che si esibirono in  contorsioni spasmodiche,  per poi  diventare orribili resti deformi.

Luciano non riusciva a smettere di guardare quelle lingue di fuoco passare da un oggetto all'altro senza fermarsi diventando sempre più alte e calde. Quando sentì il calore bruciargli la pelle si decise a uscire e nell'oscurità guardò la sua casa andare a fuoco e si sentì finalmente libero. Prese un carretto, lo caricò dell'indispensabile e si avviò verso la città… Tanto tutto quello che possedeva era con lui.


                                                       Marcella Pera 

 

 

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