Il
commento della settimana
Luigi Pandolfi
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La
guerra per i portafogli degli speculatori è manna dal cielo. È una vecchia
storia, anche se adesso c’è di mezzo una rinnovata voracità dei mercati
finanziari globali.
Quelli ufficiali e quelli ombra. Gas e materie prime, ma anche gli alimenti.
Tutto fa gioco nel gran casinò della finanza speculativa. Mentre i cittadini
ne pagano le conseguenze con i prezzi del pane e dei cereali che negli ultimi
tempi, in tutto il mondo, sono saliti alle stelle. In Italia, il prezzo del
grano duro e quello del grano tenero è aumentato rispettivamente dell’85 e
del 70% rispetto al 2021, con gli effetti sui prezzi di pane e pasta che si
possono immaginare. Eppure, il nostro Paese di grano dalla Russia e
dall’Ucraina ne importa poco. Siamo nell’ordine del 3% circa. Cosa sta
succedendo?
Guerra, blocchi alle esportazioni e speculazione sono fattori concomitanti
che si intrecciano in questa faccenda della penuria e dei prezzi dei cerali.
La guerra, con il blocco dei porti ucraini (ci sono 25 milioni di tonnellate
di grano bloccate nei silos del Paese), ha fatto da pavimento ai movimenti
speculativi degli hedge fund. La conseguenza è stata un aumento vertiginoso
del prezzo delle commodity agricole (grano duro e tenero, riso, orzo). Grandi
affari per i player della finanza, un problema per le popolazioni.
Soprattutto quelle del Terzo mondo.
La ragione per cui, ad esempio, l’India ha deciso di punto in bianco di
bloccare le sue esportazioni di grano. A New Delhi c’è preoccupazione per la
tendenza rialzista del prezzo dei cereali, si temono ripercussioni sulla
sicurezza alimentare interna. Meglio tenerselo per sé, viste anche le
condizioni climatiche che potrebbero rendere magro il raccolto di quest’anno.
E la Cina (Pechino, con oltre 130 milioni di tonnellate all’anno, è il primo
produttore di grano al mondo)? Alle prese con i rigurgiti della pandemia, si
mantiene parca, non esporta per soddisfare la sua gigantesca domanda interna.
Ma presto, di questa impennata dei prezzi, potrebbe giovarsene. Come gli
Stati Uniti, che però se ne stanno giovando già adesso.
Non dimentichiamo che gli Usa, come faceva rilevare Luca Celada su questo
giornale, non solo possono contare su una cospicua produzione interna (quarti
nella classifica mondiale dei produttori), ma anche su gran parte della produzione
di quello che un tempo veniva chiamato il «granaio d’Europa». Proprio
l’Ucraina, dove «dieci multinazionali agricole sono giunte a controllare 3,4
milioni di ettari di terre».
Un altro tipo di «invasione», non meno devastante di quella militare avviata
da Putin. Almeno nel medio e lungo periodo. Ucraina, dunque, non soltanto
come vaso di coccio in uno scontro sempre più pericoloso tra superpotenze, ma
anche retrovia della speculazione finanziaria sulle commodity alimentari che
ha come centro nevralgico la borsa di Chicago.
Solo guadagni monetari? No, la finanza decide anche la qualità di cosa
mangiamo. Cresce il prezzo del grano e in parallelo crescono i titoli dei
colossi degli Ogm. Non solo perché questi colossi sono in alcuni casi gli
stessi che fanno shopping di terre per il mondo, ma perché negli Ogm si
intravede la nuova frontiera del guadagno facile nel più breve tempo
possibile, stanti la precarietà del mercato mondiale dei cereali, le
difficoltà nell’approvvigionamento degli stessi, le conseguenze dei
cambiamenti climatici sulla capacità produttiva dei vari Paesi che si
contendono il primato delle terre coltivate a cereali.
Si rischia una catastrofe alimentare nei prossimi mesi. Sono decine e decine
i paesi nel mondo che rischiano grosso per via della contrazione del mercato
di questi beni e dell’aumento sconsiderato del loro prezzo.
Nell’Africa subsahariana, come è stato stimato dalla Fao, la produzione
alimentare rischia di contrarsi di circa 30 milioni di tonnellate nell’anno
in corso, ciò che serve a sfamare più di cento milioni di persone. Ma il
discorso può essere esteso anche alla maggior parte dei Paesi del Sud
America, ai nostri dirimpettai del Mediterraneo, a non pochi Paesi asiatici.
Anche per l’Europa, e per l’Italia, non si prospettano giorni facili. Non c’è
solo il prezzo del pane. È tutto il comparto agricolo che annaspa e soffre
sotto i colpi del caro carburante, dell’impennata dei prezzi dei
fertilizzanti, dei trasporti, dei mezzi tecnici. Forse non arriveremo alla
chiusura dei forni, ma quello che si prospetta è uno scenario a tinte fosche
per i ceti popolari.
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IN EVIDENZA Dott.ssa Zarina Zargar Psicologa (@zarina_zargar_psicologa) • Foto e video di Instagram
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