I RICORDI di Teresa Oppo e l'esodo degli Italiani istriani, fiumani e dalmati

 Per circa cinquant’anni, dunque, la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane e le violente azioni che hanno portato all’esodo, sono rimaste avvolte nel silenzio degli storici di partito, della classe politica e della scuola pubblica italiana. Perciò, afferma lo storico Sabatucci, questa  fase storica risulta essere una ferita ancora aperta, ignorata per troppo tempo!

Dal 2005, « La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
 
dal post


RICORDI DI 

 TERESA OPPO

in relazione agli eventi citati sopra


Finito il bombardamento, invece di riportarci a scuola, ci mandarono a casa. Terrorizzata, feci la strada tanto di corsa che mi sembrava di non toccare neppure l’asfalto. Arrivata a casa, vidi mia madre che preparava le valigie e piangendo mi disse: “È arrivato l’ordine di andare sfollati in un paesino vicino Civitanova che si chiama Daila e partimmo disperati. Arrivammo il giorno di Pasqua, ci accolsero in una scuola, ci diedero la minestra d’orzo. (Non ho mai mangiato una minestra così buona). Poi ci smistarono un po’ in casa di uno e in casa dell'altro. A noi toccò una famiglia di contadini, brava gente però dovevamo aiutarli per gratitudine. Io andavo a pascolare le mucche, mia sorella era più grande di me, aiutava a fare i covoni di grano, mia mamma ricordo sempre piegata sul mastello a lavare per tutti. Eravamo in una camera in 4 e dormivamo sulle foglie di granoturco. Come bombardamenti eravamo abbastanza tranquilli, ogni tanto arrivava una pattuglia di Tito e portavano via tutto il mangiare che trovavano. Finalmente venne il giorno del rientro, ci imbarcarono su di uno zatterone, era stracarico. Eravamo diretti a Zara. A me faceva tanto male un piede, alla spiaggia mi aveva punto un riccio e avevo l’infezione. Non sapevo dove tenere il piede perché non me lo schiacciassero, non mi resi conto che tanta gente piangeva e buttava fuori l’acqua dalla zattera: stavamo affondando. Quello che guidava fece qualche segnale d’aiuto e per tutta risposta cominciarono a sparare, allora spense il motore e anche la minima luce. Per tutta la notte buttarono fuori acqua. Alla mattina qualche anima buona venne a salvarci, non ricordo neppure di che razza erano, comunque fossero, grazie.


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Era una giornata bellissima di primavera, io e mia sorella avevamo deciso di sistemare i fiori nel giardino. Avevamo appena incominciato che suonò il campanello. Si presentarono quattro militari, corsi a chiamare mia mamma che arrivò con mio nonno e, dopo aver parlato animatamente, entrarono in casa, si scelsero due camere e da quel giorno diventò il comando dei tedeschi. Incominciò così il caos più totale, fecero dei campi minati tutti intorno alla villa, costruirono due bunker, io e mia sorella ormai non potevamo neppure più andare in giardino perché c’era un continuo via vai di militari. A me restarono impressi quel battere di tacchi che era il loro saluto, ero terrorizzata. Quando passava Pipetto (un areo da ricognizione), i tedeschi ci mandavano nel bunker perché era sicuro che bombardavano, infatti restammo sepolti sotto i calcinacci, vivi per fortuna, ma i tedeschi che erano nel corridodio andarono tutti all’ospedale. Quando finì tutto, c’era solo tanta desolazione, le due caprette, una morta e la Bianchina aveva un ferro che le attraversava la pancia e doveva avere il capretto: piansi tutte le mie lacrime. Dopo un po’ di tempo, saltò il campo minato e morì l’asina e due cani da caccia. In un breve tempo di calma, mia zia ci mandò a raccogliere un po’ d’erba per i conigli. Mentre ero abbassata mi accorsi di una cosa strana, era uno scarpone, chiamai mia sorella e ci rendemmo conto che era la gamba di un povero militare. Le nostre urla erano più forti dell’allarme, arrivò anche il comandante e dopo avere discusso con mio nonno che voleva seppellirla, lui la prese e la buttò nel pozzo vicino. Io sono arrivata a 89 anni, ma questi ricordi sono sempre vivi nella mia mente, specie in questi momenti. Le guerre sono la rovina del mondo, mai più si devono ripetere, che la gioventù possa crescere con ideali di bontà e pace.

Teresa Oppo


Per informazioni leggi i post:

LA QUESTIONE DELLE FOIBE (contributi di Angela Fabbri, Zarina Zargar, Furio Percovich, Rudi Decleva) (senzafine.info)

10 febbraio, GIORNO DEL RICORDO (senzafine.info)


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