VITE PARALLELE racconti e testimonianze di CHI HA VARCATO LA SOGLIA: Ogni tanto vacillo di Rossella Scotta
VITE PARALLELE
CHI HA VARCATO LA SOGLIA
SVELARE IL CARCERE,
con l'augurio che le molteplici storie personali di coloro che,
a qualunque titolo, hanno varcato la soglia del carcere, condivise,
possano essere spunto di riflessione,
arricchimento intellettuale e letterario
una iniziativa di Cascina Macondo
www.cascinamacondo.com
https://www.zentorino.org/
OGNI TANTO VACILLO
di Rossella Scotta –
insegnante
Ho
varcato “realmente” la soglia
nel settembre 2011.
In
precedenza portavo in carcere una volta all’anno i miei studenti esterni per
assistere alle attività teatrali dei detenuti o per partecipare a qualche
progetto carcerario. Mi ero laureata tanti anni prima in lettere classiche e da
allora avevo sempre insegnato al liceo.
In
quella data la mia scuola aveva attivato un corso di scuola superiore nel
carcere cittadino e avevo scelto di concludere la mia carriera
professionale con l’esperienza della scuola ristretta, che si è rivelata - per
come l’ho vissuta – faticosa e insieme educativa: ho infatti conosciuto la
complessità di questa realtà attraverso la soggettività del mio sguardo e del
mio ruolo, ma anche grazie ad un intenso lavoro di formazione sul campo. Ho
insegnato lettere e coordinato le attività della scuola in tutti i circuiti del
carcere (media sicurezza, protetti, alta sicurezza) fino al momento del
pensionamento, il 1 settembre 2019. Oggi partecipo come volontaria alle
attività educative e ai progetti della scuola.
Che
cosa ho imparato in questi lunghi anni di full
immersion in galera (perché di full
immersion si tratta, come ben sanno tutti i docenti seriamente motivati coinvolti in questo tipo di lavoro…) ?
Ho
capito che l’attenzione per il “sistema-carcere” cresce (anche nel bene). Le
componenti illuminate della ricerca e delle istituzioni fanno progredire il
livello del dibattito. Le componenti illuminate della società civile seguono,
si informano, condividono, recepiscono. Al di là delle buone intenzioni dei
singoli, gli operatori penitenziari e in
primis i Direttori, si trovano però a dover agire in un sistema ancora feudale
per i molteplici centri di potere e per le tendenze centrifughe che lo stesso sistema produce. Per questo il
sistema carcerario italiano è ancor oggi, almeno nella realtà che mi si è
presentata ogni giorno sotto gli occhi, la summa
di molte contraddizioni. Da un lato, infatti, abbiamo di fronte il rapporto del
carcere con l’esterno: grandi energie che si muovono da fuori e da dentro,
intelligenze che si spendono per creare occasioni di formazione e di pari
opportunità, di inclusione, di coscienza civica e di integrazione. Dal lato
opposto della medaglia c’è il dentro/dentro, un sistema scandalosamente
dispendioso in rapporto ai risultati, in cui si gioca a tempo pieno una partita
a guardie e ladri che non finisce mai
– sospesa fuori dal tempo e dallo spazio del mondo reale – una partita giocata
da ciascuno nel ruolo che il sistema pirandelliano, ma forse sarebbe meglio
dire kafkiano, gli ha assegnato.
Questo
sistema, come ormai tutti sanno, produce una recidiva altissima, crea
delinquenza nuova, trasforma il reo (l’oppressore manzoniano) in oppresso,
genera rabbia e perenne frustrazione, alimenta un quotidiano e pernicioso
vittimismo, trasforma i debitori in creditori e naviga in direzione
assolutamente contraria rispetto al sano e primario obiettivo della “presa di consapevolezza”: ecco perché le
nostre sezioni carcerarie sono e saranno vivai dell’ Isis tra gli extracomunitari del penale e di nuove alleanze
criminali associative nell’alta sicurezza.
Il
carcere è una macchina patogena (parole del senatore Luigi Manconi), che
corrode sorvegliati e sorveglianti e riesce a stancare - nel ripetersi
logorante delle prassi quotidiane - anche le personalità più determinate e agguerrite.
Ho
sempre pensato che la scuola ristretta non debba essere “buona” nel senso di
“facile”, perché deve insegnare la disciplina del lavoro quotidiano, il rigore
del rispetto delle regole, l’umiltà della consapevolezza dei propri limiti
contro la tentazione onnipresente del narcisismo e dell’egocentrismo, la
capacità di autocontrollo nell’affrontare la frustrazione degli insuccessi o
dei risultati non immediati. Ho ripetuto spesso ai miei studenti: “Voi non
dovete essere una specie protetta … perciò io ho il dovere di pretendere da ciascuno di voi secondo le sue
possibilità”.
Però
c’è una condizione necessaria: prima di esigere
il giusto, si deve rendere tutto questo possibile,
cambiando l’idea stessa di come
pensiamo il carcere e la pena. Perché io credo che esperienze formative forti possano far aprire
gli occhi alle persone, dare loro un’altra possibilità, anche se cambiare è
molto difficile per i tanti fattori oggettivi esterni che dentro e fuori
ostacolano ogni trasformazione interiore. Ci credo. Altrimenti che cosa ci faccio qui?
Ogni
tanto vacillo … ma non ho perso la speranza e ancora continuo a credere nel
possibile cambiamento.
VEDI ANCHE:
https://www.senzafine.info/2021/03/vite-parallele-racconti-e-testimonianze.html
https://www.senzafine.info/2021/02/vite-parallele-racconti-e-testimonianze_28.html
https://www.senzafine.info/2021/02/vite-parallele-racconti-e-testimonianze_25.html
https://www.senzafine.info/2021/02/vite-parallele-racconti-e-testimonianze.html
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