INTERVISTA INEDITA ALLA SCRITTRICE ANITA di Francesca Ghezzani

 


LA SCRITTRICE ANITA: CON IL PRIMO LIBRO HO MESSO A NUDO LA MIA PARTE EMOTIVA, IN FUTURO VORREI TRATTARE IN MODO CONCRETO TEMATICHE SOCIALI

Di Francesca Ghezzani

“Avrei voluto portarti sulla luna, ma ho trovato posto solo al lago” rappresenta l’esordio letterario dell’autrice genovese Anita, pubblicato con l’Editore Gruppo Albatros Il Filo.

Dalla sua penna è nata una storia dalla grande carica emotiva in cui il lettore, come se fosse preso per mano dalla protagonista, compie al suo fianco un viaggio in un amore drammaticamente meraviglioso.

Il suo romanzo rappresenta, del resto, una doppia vita che viene alla luce: da una parte quella dell’opera stessa pagina dopo pagina e, dall’altra, quella di Anita, nome di fantasia che ha permesso all’autrice di liberarsi dalla convinzione di essere sbagliata, riconquistando se stessa.

“Questo libro - spiega la scrittrice - nasce quasi all’improvviso, mentre guardavo fuori dalla finestra ho sentito la necessità di mettere nero su bianco e descrivere i miei pensieri, le mie fantasie e, forse, anche le mie paure. La spinta è arrivata dalla voglia irrefrenabile di dare voce alle emozioni provate, regalando così un volto a tutto questo”.

Un’opera profonda, ricca di pathos per chi la leggerà e colma di riscatto e catarsi per l’autrice, perché è proprio grazie alla scrittura se Anita è riuscita ad affrontare, appunto, paure e fragilità.

Anita, qual è, secondo te, la fragilità più grande dell’essere umano?


Parlando per quella che sono io e confrontandomi con le persone che ho conosciuto o che conosco attualmente, si esercita su noi stessi un giudizio troppo severo.

Il metro di valutazione che usiamo è esageratamente rigido per darci la giusta realtà di chi siamo e di cosa sono gli altri, tutto questo ci rende fragili.

In molti casi, questa condizione impedisce la nostra crescita personale, ci rende incapaci di agire sulla nostra vita, sugli obbiettivi, sulle nostre ambizioni.

Falliamo ancor prima di poter andare incontro al fallimento.

E la paura?

Penso sia la solitudine, le persone ne sono terrorizzate.

Siamo incapaci di rimanere soli e rapportarci con noi stessi, questo ci porta a circondarci di persone sbagliate, facciamo entrare nelle nostre vite coloro che non potranno mai stare al nostro fianco, se noi per primi non impariamo a stare soli con noi stessi.

Solo quando avremmo imparato a gestire la nostra solitudine, la nostra fragilità emotiva, potremmo accogliere soggetti che porteranno beneficio, amore, gioia nelle nostre vite.

Parlaci di Anita e Agostino, dei loro mondi prima di incontrarsi, del loro amore, della malattia che li vede uniti…

Anita e Agostino sono un uomo e una donna con una esistenza semplice e un trascorso un po' complesso, come il passato di molti. Non mi sono focalizzata sulla vita prima del loro incontro, ho cercato di far capire al lettore che entrambi vivevano una chiusura emotiva che li portava a estraniarsi dalle persone, mostrando solo un’immagine di facciata. Nel momento in cui si sono incontrati e amati si sono concessi la libertà di lasciarsi andare, di raccontarsi, di amarsi, di non avere pudore nei confronti di quello che stavano provando.

Quando ti fidi e ti affidi a un’altra persona, qualcosa cambia, improvvisamente non ti senti più fuori posto, i tuoi pensieri vengono ascoltati e le tue parole capite, trovi una complicità comunicativa e affettiva, così da renderti sicura, una sicurezza che ti fortifica.

Questi sono Anita e Agostino, anche nel momento più atroce della loro vita riescono a trovare un conforto che solo in loro avrebbero trovato, nessuno avrebbe avuto la possibilità di entrare in questa sfera emotiva così intima ed esclusiva.

Se Anita e Agostino fossero stati in una corsia di ospedale oggi, alle prese con una pandemia, con l’impossibilità per gli affetti di stare vicino ai malati ricoverati, come avrebbero reagito?

Il pensiero comune che ha reso questo periodo storico ancora più atroce è quello di non avere avuto la possibilità di stare vicino alle persone che si amavano, di poterle salutare, di stringere le loro mani, accarezzarle, tranquillizzarle nel momento più drammatico che un essere umano possa affrontare.

Un senso di impotenza, dolore e sconforto che non sarà facile da superare.

Provando a trasferire Anita e Agostino in una situazione del genere, probabilmente la drammaticità della loro sofferenza sarebbe stata accompagnata da solitudine e paura, rendendo molto più fragile e ingestibile la fine di questo amore.

Parli di morte e di rinascita: che significato hanno per te?

La morte fa paura, ma penso che gli anni e le esperienze di vita possano aiutarci ad accettarla. Personalmente non ho ancora gli strumenti per poter ‘accogliere’ il senso della morte, cerco di riflettere su quello che prima o poi sarà inevitabile per tutti, ma non è per niente facile.

Voglio pensare che dopo la morte ci sia sempre una rinascita, che le persone che rimangono ad affrontare il dolore e la perdita in questo stesso dolore possano ritrovare, a un certo punto, la forza per ricominciare, per poter riaffrontare la vita. L’esistenza verrà stravolta, dovrà essere rimodulata per imparare a vivere in questa condizione, si vivrà in maniera differente, però vorrei vedere questo nelle persone che amo. Se dovessi morire, vorrei sapere che a un certo punto ripartirebbero iniziando a scrivere un nuovo capitolo della loro vita.

Infine, quali tematiche sociali pensi di non aver toccato in questo tuo romanzo d’esordio e vorresti trattarle in futuro?

Trattare tematiche sociali è una responsabilità che non può essere presa con leggerezza e con tutta onestà non penso di averne trattate, sono certa di aver messo dentro a questo libro la parte emotiva della mia persona, ho raccontato l’amore, la paura, ho descritto come vedo il dolore e come penso di percepirlo, con la convinzione di poter donare emozioni e sensazioni.

In futuro mi piacerebbe affrontare tematiche sociali, ma con la capacità e la maturità di poter offrire ai lettori un materiale che possa sensibilizzare e, allo stesso tempo, possa essere l’inizio di un vero cambiamento, agendo concretamente.

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