IL GRAN FIORENTINO E I PICCOLI DANTISTI di Adriano Maini
IL GRAN FIORENTINO E I PICCOLI DANTISTI
Scritto il 7 MARZO 2021
C’è un brav’uomo, nel web,
che promette di spiegare Dante “facile facile”. Dice tante cose, in parte anche
inventate e insensate: ad esempio, che la bandiera italiana sia nata da Purg.,
XXX, 31-33 (e questo, aggiunge, ci rivela – e chissà perché, poi – la grandezza
di Dante) oppure che Guido da Montefeltro racconti la sua vicenda spinto dal
fatto che il poeta potrà così riportarla nel mondo dei vivi (ed invece le cose
stanno tutte al contrario: Guido parla perché, se ha udito il vero, nessuno è
mai uscito dall’Inferno, e Dante quindi non potrà riferire nulla: e questo
particolare subito ci rivela che la grande astuzia del condottiero soffre
talvolta di tracolli improvvisi).
E c’è il Benigni che ci spiega Dante, poi. Edoardo Sanguineti con lui è
abbastanza sbrigativo: “l’ho trovato eccessivamente serioso e scarsamente
popolaresco, cosa che invece avrei gradito”, dice in un’intervista a Roberta
Ronconi, su “Liberazione”, I dicembre 2007, parlando della lettura benignesca
di Inf., V. Che è stata, “la lettura vera e propria, continuamente
interrotta da spiegazioni del testo a volte sinceramente discutibili”, una
“lettura dantesca eccessivamente carica di pathos e di continua commozione. Se
dovessi definirla, direi una lettura deamicisiana, piccolo-borghese. Un po’
patetica, insomma, costruita più per commuovere che per rapire nel verso e
nella sua ritmicità”.
Massimo Fini, recensendo un libro di cazzullaggini, A riveder le stelle,
su “Il Fatto Quotidiano” (Il Sommo Alighieri e il piccolo Dante, 3 novembre
2020) riesce persino ad affermare che, a differenza “del pur ottimo Sermonti
che si fissa molto sui simbolismi della Divina, che pur ci sono ma che per noi
hanno ormai uno scarso significato”, Cazzullo “ci restituisce un Dante in carne
e ossa”. E lì giù a dire che “Dante è un uomo vendicativo”, “irriconoscente
anche verso chi negli anni bui gli diede generosamente una mano, come i conti
Guidi”, “un legalista, un pio devoto all’ordine supe-riore”, “un moralista
insopportabile a un occhio moderno”. E, scoprendosi un seguace del politically
correct, Fini stronca la tenzone con Forese Donati: “In un colpo solo son
sistemati i brutti, i grassoni, le persone che non corrispondono a un canone di
bellezza standard, le donne, gli omosessuali”. E aggiunge: “In Dante ci devono
essere delle gravi turbe psichiche”, “ha una personalità sadomaso-chistica”. Ad
esempio, in un “passaggio dedicato a due ladri Buoso Donati e Francesco
Cavalcanti (padre del delicato poeta, suo amico) li accoppia fondendo così
l’uno nell’altro”.
Ma qui, come si suol dire, casca l’asino. Perché, come tutti sappiamo (a parte
il Fini che ci fa l’elogio del Cazzullo, e speriamo pochissimi altri) il padre
del delicato poeta è Cavalcante Cavalcanti, e si trova in tutt’altra zona
dell’Inferno. E anche in questo caso – come nel caso della premessa che Guido
da Montefeltro fa a Dante e presto travisata nella spiegazione web ad uso degli
scolari pigri – l’errore è marchiano. Giacché la scena di Cavalcante è una
delle pagine più note della cantica infernale: teatrale, drammatica, melodrammatica:
mio figlio, ov’è? perché non è con teco? hai detto “egli ebbe”…, è forse morto?
Stiamo citando a memoria, è una pagina notissima e da sempre dibattuta. Ma
dov’era, il Fini, in tutto questo tempo?
Per fortuna ci viene in soccorso Giuseppe Conte che, in Dante mi è apparso
(capitolo 2: Guido, i’ vorrei), pubblicato in appendice al suo
Dante in love, rievoca l’entrata in scena di Cavalcante: Mentre Dante
dibatte fieramente di Guelfi e Ghibellini con Farinata degli Uberti, ritto e
sdegnoso fuori dall’arca dove sconta la sua pena, un’ombra si affianca a
quest’ultimo, emergendo soltanto sino al mento, e si guarda intorno come
sperando di vedere qualcuno vicino al poeta. Quando la speranza è spenta,
piangendo l’ombra chiede perché suo figlio non è lì.
La cerchia degli amici Fedeli d’Amore era stata così stretta che nel pensiero e
nella speranza di Cavalcante Cavalcanti – questo il nome dell’ombra – il figlio
Guido, certo non inferiore a Dante “per altezza d’ingegno”, avrebbe dovuto
essere vicino all’amico, avrebbe dovuto avere anche lui il privilegio di
percorrere da vivente il “cieco / carcere” dell’Inferno.
Si direbbe che qui Conte, per Fedeli d’Amore, intenda il gruppo informale di
coloro che sarebbero poi stati chiamati stilnovisti. E secondo lo scrittore
ligure la loro concezione dell’amore non era certo quella di un sentimento
asessuale: Lasciamo cadere una volta per tutte le memorie scolastiche
di Dante e Guido cantori di donne “angelicate”. Chissà quante generazioni di
studenti adolescenti e canaglie hanno ridacchiato e sgranato oscenità sentendo
i loro professori parlare di teneri amori platonici di poeti che vedevano
angeli nelle ragazze del loro tempo.
Una rilettura di Dante, discutibile quanto si voglia e quanto possano esserlo
tutte le cose di questo mondo, ma per lo meno priva di forzate attualizzazioni.
E senza facili riferimenti all’oggi, ma anzi con vero piglio di storico,
finalmente agisce Franco Cardini, che, a proposito dei Fedeli d’Amore, fa
presto a chiudere la questione: “Una strana storia, un equivoco nato fra Otto e
Novecento e in seguito bizzarramente trascinatosi” (Dante e i Fedeli
d’Amore: soltanto fake news, su “Avvenire” del 1 dicembre 2020).
E la nostra polemichetta contro lo sciapo dilettantismo e a favore delle vere
follie creative e delle autentiche indagini storico-critiche potrebbe finire
qui. Precisando che, comunque, un’attualità di Dante – come per tutti,
d’altronde, da Platone a Perec – esiste, ma non è certo quella cazzullosa da
cui siamo partiti. Un altro esegeta e lodatore del Cazzullo, l’arguto Massimo
Gramellini (Dante, il viaggio dall’Inferno all’Italia, “Corriere della
Sera” del 19 settembre 2020) così icasticamente definisce il nostro autore (il
Cazzullo, intendiamo): “gli basta un verso di Dante sul golfo del Carnaro per apparecchiare
un excursus sull’irredentismo, Alcide De Gasperi e Nazario Sauro”. Quando sono
proprio queste le cose da evitare.
Poi, vabbè, c’è Rossano Sasso, il sottosegretario all’Istruzione del governo
Draghi, che crede di citare Dante e invece cita Guido Martina (e come non
ricordare qui, a proposito di riferimenti disneyani, che nella prima edizione
dell’Enciclopedia Garzanti della Letteratura, il sunto del canto VII dell’Inferno si
apriva così: “Custode del quarto cerchio, dove sono puniti gli avari e i
prodighi, è il cane a tre teste Pluto”). Ma a noi non ci preoccupa tanto
l’attribuzione sbagliata (a queste cose siamo avvezzi, ormai) quanto la replica
del Sasso, almeno stando a quanto riportato dai mass media: “Faccio ammenda,
per penitenza rileggerò tutti i canti dell’Inferno”. Se crede nelle punizioni
basate su letture (o assistenza sanitarie o mansioni cosiddette umili, ec.)
obbligate, ci viene da pensare che il Sasso di pedagogia non abbia capito
proprio niente. Prima di Dante, forse è bene che si vada a leggere un po’ di
Rodari. E lo diciamo senza nessun intento punitivo.
Ma dai, qualche baggianata sulla Commedia (e in quest’anno dantesco, poi, in
cui siamo da poco entrati) la si dovrà pur ascoltare, no? Vogliamo mica essere
troppo seriosi? Su, su, facciamoci delle belle e approssimate lecturae
dantis, che tanti riferimenti al mondo odierno acchiappati qui e là, e che
siano facili facili.
Marco Innocenti [redattore de IL REGESTO <Bollettino
bibliografico dell’Accademia della Pigna – Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM)> ed autore di diverse
opere, tra le quali: Verdi prati erbosi, lepómene editore,
2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio
del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54
pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli
in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento.
Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi,
2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo
Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sanguineti didatta e conversatore, Lo
Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che
urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sull’arte retorica di
Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore
Casabianca, Sanremo (IM), 2010]
Commenti
Posta un commento