VITE PARALLELE racconti e testimonianze di CHI HA VARCATO LA SOGLIA: Lettera di una moglie di Anna G. moglie di un detenuto
VITE PARALLELE
CHI HA VARCATO LA SOGLIA
SVELARE IL CARCERE,
con l'augurio che le molteplici storie personali di coloro che,
a qualunque titolo, hanno varcato la soglia del carcere, condivise,
possano essere spunto di riflessione,
arricchimento intellettuale e letterario
una iniziativa di Cascina Macondo
www.cascinamacondo.com
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LETTERA DI UNA MOGLIE
di Anna G. - moglie di un detenuto
Ciao amore mio,
che disperazione venire a trovarti e
saperti lì dentro. L'avevi descritto bene, il carcere. Ho fatto due ore di
treno, poi mezz'ora di pullman e sono scesa sulla statale deserta, accanto alla
tangenziale dove passano i tir. Che squallore, vedere scritto il nome della
fermata alla pensilina dell'autobus, carceri. È un nome duro da sopportare e da
mandare giù.
Quello che mi ha colpita di più, è stato l'odore
del carcere rispetto all'aria gelida e pulita di fuori. Un odore forte, di
metallo e di umanità compressa, anche se ieri era un giorno di visita in cui
non c'era quasi nessuno. È stata dura essere perquisita. E la poliziotta non
era neanche poi così gentile. È una grande tristezza, essere qui, le ho
mormorato mentre mi metteva le mani addosso. Poi mi ha anche fatto aprire la
bocca e ha indagato sopra e sotto la lingua. Ho dei brutti denti, lo so, ho
detto, non è colpa mia. E mi vergognavo senza motivo di vergognarmi. Solo per
il fatto di essere lì.
Poi mi hanno dato un foglio con un numero, che
era il numero del tavolo al quale avremmo potuto parlare. Era un grande otto
disegnato, e ho pensato tra me e me, il numero dell'infinito, com'è infinito il
mio desiderio di vederlo, e la mia sete di lui. Poi abbiamo attraversato
cortili e porte blindate con i vetri antiproiettile, e finalmente hanno aperto
la porta di ferro pesante con una chiave che faceva rumore, e ti ho visto, di
là del vetro, il tuo viso da ragazzino. Il tuo sorriso. Per me.
Dimmelo, forse tu lo sai? Che senso ha il
carcere? Privare una persona della libertà e basta, non fare niente per lei,
non coltivarla come una pianta cresciuta storta cui si mette un'asticella per
raddrizzarla. Siete chiusi lì dentro, stipati come bestiame cui non si dà una
seconda, o una terza, o una quarta possibilità. Siete esseri umani, cazzo,
esseri umani.
Una delle cose che mi ha lasciata con il fiato
sospeso è stata la somiglianza dei detenuti con i secondini. Man mano che si
aprono le porte, e si attraversano i cortili, il filo che vi unisce e nello
stesso tempo vi separa dai vostri carcerieri si assottiglia sempre più. Che
tristezza. Anche loro erano uomini, ma ora forse non lo sono più.
Durante il colloquio ti ho chiesto se nel
carcere ci sono dei corsi di studio per i detenuti. Mi hai detto che no, a
parte, forse, un corso di computer che tu non te la sei sentita di fare. E poi
hai aggiunto, I corsi sono per quelli che hanno tanti anni da scontare...
E che differenza fa? Perché ti hanno dato solo
un anno tu dovresti uscire senza essere migliore? Ma quale logica perversa è
questa, non so capacitarmene. Lo sanno tutti che la situazione dei detenuti in
questo paese è drammatica, ma ieri, ieri! Vederti così pallido, come davvero un
viso che non vede mai la luce.
Abbiamo parlato tanto, ogni tanto appoggiavo il
viso sulle tue mani, le tue mani piccole, da bambino. Mani che non sono mai
cresciute. Le tue mani, che tanti direbbero sporche, ma che per me sono le tue.
Non tenerle chiuse, schiudile al sole e lascia che il cielo le purifichi di
luce e di consapevolezza. Le tue mani. Ti guardavo, ti indagavo gli occhi, come
per entrarci dentro. Le due ore di colloquio sono passate in fretta, sono
volate via. Poi mi sono ritrovata al sole rancido dell'inverno, sulla statale.
È stato bellissimo vederti. Ma quando ti ho lasciato, lo sapevo. Ti stavo
lasciando sulla porta dell'inferno. E la pena più grande è non dividere il suo
fuoco tremendo con te.
A presto.
Cascina Macondo
Arti e Culture Associate
Associazione di Promozione Sociale
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