GLI ULTIMI SCHIAVI D'EUROPA di Morena Prediali

 


Gli ultimi schiavi d’Europa

di Morena Prediali


“Seppelliteci in piedi, perché siamo stati in ginocchio tutta la vita.” Proverbio rom

Sono tante le narrazioni che, nel corso della storia rom, sono state silenziate. Punti di fumo da dimenticare lungo la linea temporale, 'segreti' di sangue e catene di cui ancora oggi l'Europa fatica a parlare.

Quella di cui vi parlo oggi, in particolare, è la storia della schiavitù rom in Romania. Il 20 Febbraio scorso ricorreva il 165° anniversario della sua abolizione. 165 anni potrebbero sembrare molti indietro, ma non lo sono affatto ed è per questo che ricordare ciò che fu è, oggi, estremamente importante.

Pare che la schiavitù dei rom in Romania fosse già attiva da diverso tempo quando, nell'Ottobre 1385 Dan I, principe di Valacchia regalò al Monastero di Tismana “40 famiglie rom e altri accessori” (come viene riportato nel documento, primo che parli esplicitamente di schiavi rom, redatto in questa occasione).

È verosimile che i rom siano arrivati per la prima volta in Valacchia e Moldavia già schiavi dei tartari, che lì li lasciarono dovendo battere in ritirata intorno al 1192. Una volta lì, le - ancora recenti - origini indiane e il colore della pelle, mediamente più scuro rispetto alla popolazione rumena non rom, fece sì che le popolazioni romani fossero facilmente distinguibili e, di conseguenza, estremamente facili da censire, catturare e impiegare nuovamente come schiavi.

Esistevano tre tipi di schiavi rom: schiavi del Principe, schiavi dei monasteri e schiavi dei capi boiardi.

Le leggi a cui dovevano sottostare dipendevano dal tipo di padrone e dall'influenza che questi aveva o meno sul territorio.

In generale, in quanto schiavi, i rom non potevano possedere proprietà, decidere della propria vita, erano alle totali dipendenze dei padroni che ne potevano fare ciò che volevano: merce di scambio, schiavi domestici, 'regali' per altre famiglie o monasteri, alla pari del bestiame. Secondo la legge i rom erano schiavi per nascita, chi nasceva da madre schiava era schiavo, i padroni potevano farne ciò che volevano e qualsiasi rom che non avesse padrone diretto, era schiavo del Principe.

Le condizioni di vita riportate dagli storici e dagli scrittori del tempo possono essere sintetizzate nel seguente modo: denutriti e seminudi, i rom erano perlopiù costretti a lavorare all'interno dei palazzi o nei possedimenti terrieri, senza alcuna paga o possibilità di affrancarsi.

Ian Hancock[1] nel 1987 descrive punizioni esemplari inflitte dai boiardi: se un rom veniva sorpreso nell'atto di fuggire, gli venivano bastonate le piante dei piedi fino a creare delle piaghe, veniva fatto indossare un collare di ferro che non permetteva alla testa di muoversi e di conseguenza allo schiavo di dormire e riposare.

I padroni potevano punirli quanto e qualora lo desiderassero, torturarli fino alla morte. Ma, almeno formalmente, non erano concesso loro ucciderli.

A livello legislativo esisteva, infatti, una legge che puniva con la morte colui che avesse ucciso uno schiavo rom, ma nei fatti non fu mai applicata ed era comune, invece, risolvere la faccenda con un'ammenda in denaro al boiardo o al proprietario in questione, il quale, sempre secondo la legge, aveva perso una mera e semplice merce utile al profitto, non una vita umana. Da notare, in questi documenti, i rom venivano trattati esattamente così, alla pari di merce. Si può dire che la vita umana non fosse nemmeno contemplata in relazione alle popolazioni romanì.

Sposare un rom era consentito ma significava diventare schiavi a propria volta, il che demarca un'impossibilità delle famiglie di affrancarsi in alcun modo. Inoltre, i matrimoni misti erano socialmente inaccettabili (nel 1781 Moruzi Voda, sottoprefetto di Vaslui, vietò definitivamente i matrimoni tra rom e moldavi).

Inoltre ai rom era imposto il pagamento di una tassa annuale, che variava generalmente in base alla condizione di nomadismo o sedentarietà, condizione che si può definire 'liquida' ed estremamente mobile (era comune passare dal nomadismo alla sedentarietà, a seconda di ciò che il padrone decideva di farne). Gli schiavi rom sedentari, chiamati Vatrasi, appartenevano generalmente a monasteri e boiardi. È durante il Medioevo che inizia anche ad allargarsi l'uso della parola 'tigan' (tradotto con l'italiano 'zingaro').

I 'tigani' erano gli schiavi rom, la parola in sé indicava specificatamente una condizione servile dovuta alla ragione etnica di essere rom (si legga, in merito, ad esempio Alexandru I. Gota). Dapprima il nome 'tigan' veniva esteso anche agli schiavi tartari, ma con il tempo, data la quantità di rom ridotti in schiavitù (e cioè la totalità di quelli presenti sul territorio), il nome viene utilizzato solo in relazione agli schiavi rom. Da qui nasce anche il senso dispregiativo e offensivo della parola, che molto spesso si utilizza ancora oggi (pensiamo a quante volte nei media italiani, sentiamo dire la parola 'zingaro' come se fosse un sinonimo e anche più conosciuto e validato di rom e sinti).

All'inizio dell'800 si inizia a parlare di una possibile liberazione degli schiavi rom, dovuta a nuove e differenti condizioni economiche e di conseguenza sociali e politiche di Valacchia e Moldavia. Il processo e’ però lento e complesso. Intorno al 1816 si parla degli schiavi rom come 'schiavi affrancati', nonostante, di fatto, la loro condizione sia più o meno la stessa e i matrimoni misti siano ancora vietati. In Valacchia nel 1843 abbiamo una prima bozza di legge per la liberazione degli schiavi rom, che però viene ufficialmente sancita solo nel 1847. Gli schiavi vengono affrancati, i matrimoni tra rom e non rom consentiti e i rom divengono, a tutti gli effetti, cittadini dello Stato. In Moldavia questa legge si avrà soltanto nel 1856. In ogni caso, ulteriori leggi vietano il nomadismo e costringono i rom presenti sul territorio rumeno a scegliere, nel giro di qualche settimana, un territorio nel quale stabilizzarsi.

La condizione sociale dei Rom in Romania, resta, tuttavia critica ancora oggi. Un rapporto dell'UE del 2000 afferma che in Romania “i continui alti livelli di discriminazione sono una seria preoccupazione”. Basti pensare che nel 2007 l'ex presidente Traian Basescu definisce pubblicamente una donna rom 'una sporca zingara' e che pochi anni dopo, nel 2011, il sindaco della città di Baia Mare, Catalin Chereches, costruisce un muro, ancora in piedi, per racchiudere e ghettizzare la locale comunità rom. Per non contare le aggressioni fisiche che dal 1990 (da quando si inizia cioè a documentarle in modo più dettagliato) ad oggi rimangono quasi giornaliere e la segregazione all'interno dei sistemi educativi, sanitari, sociali, politici ed economici resta molto forte, tanto da portare a una migrazione di massa verso altri Paesi Europei. Proprio per questo è necessario continuare a parlarne, continuare a chiedersi: a distanza di 165 anni che cosa è cambiato?


(Ringrazio per le fonti e le informazioni Lupu Regina admin di @roma.culture, pagina attiva su Instagram per la divulgazione e sensibilizzazione riguardo alla storia rom).

Nell’immagine: schiavo rom rumeno, secolo XIX


[1] Ian Francis Hancock linguista e attivista rom inglese, tra i principali specialisti mondiali in romanologia e nella linguistica delle lingue creole, direttore del Programma di studi sui rom e del Centro di documentazione e archivi dei rom presso l'Università del Texas ad Austin, dove dal 1972 è professore di inglese, linguistica e studi asiatici. Ha rappresentato il popolo rom alle Nazioni Unite ed è stato membro del Consiglio del Memoriale dell'Olocausto degli Stati Uniti.

https://www.kethane.org/

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https://www.senzafine.info/2021/03/larte-di-rom-e-sinti.html

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https://www.senzafine.info/2020/09/da-kethane-il-sorriso-di-will-e-gli.html

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LEGGI L'ESTRATTO:

https://www.amazon.it/REDDITO-CITTADINANZA-Ecuador-modelli-confronto-ebook/dp/B08HY3WLFF

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