Il DDL Zan, tra bufale e realtà [Vol. 1] da https://www.butac.it/
Il DDL Zan, tra bufale e realtà [Vol. 1]
L’argomento di tendenza di questi giorni è il famoso
DDL Zan, nome popolare dell’Atto Senato 2005 (potete leggere il testo in discussione qui),
recante “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della
violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale,
sull’identità di genere e sulla disabilità”.
Arriviamo tardi, lo so, ma abbiamo cercato di fare
un’analisi super completa, dettagliata e verificabile. Potete fidarvi o
controllare da voi le fonti linkate (L’Espresso ad esempio ha fatto un articolo molto più breve,
ma qui ci piace essere puntigliosi – e prolissi).
Riassunto: questa
legge serve, non è perfetta ma funziona, modificarla farebbe danni
enormi e la condannerebbe inutilmente all’oblio per molti anni.
(PROSSIMAMENTE SUL BLOG)
Le altre parti del nostro speciale sul DDL Zan:
Mi ero già interessato alla questione quando la 2°
Commissione Permanente (Giustizia) della Camera aveva approvato il testo base,
nato dall’unificazione di diverse proposte di legge. Il testo iniziale,
seguendo i pareri del Comitato per la Legislazione e quello delle altre
Commissioni interessate, è stato quindi modificato nel suo passaggio in
assemblea, migliorando notevolmente. La ratio rimane la stessa, ma:
- sono
state aggiunte le definizioni di sesso, genere, orientamento sessuale e
identità di genere;
- il
raggio d’azione della legge è stato esteso anche alle discriminazioni
dovute alla disabilità;
- è stato
recepito il finanziamento dei centri di aiuto per le vittime dei reati
creati stabilito dal Decreto Rilancio (che prima era coperto da altre voci
di bilancio);
- è stata
meglio chiarita la questione del libero pensiero e della libertà di
espressione, tutelati dall’art. 21 della Costituzione.
I netti miglioramenti non hanno però unito
tutto il Paese in sostegno di questa legge, che viene chiesta da decenni. Continua
l’opposizione della destra (che da anni ripete le solite balle imprecisioni),
ma emerge anche quella di alcune (poche) esponenti del centrosinistra o del
femminismo radicale. Queste ultime hanno fatto molto scalpore, anche a causa
di questo tweet del
nostro caro, sempre un po’ avventato, Carlo Calenda.
L’articolo che Calenda condivide come spunto di
discussione proviene da “La Verità” (sic), nella sezione “Dittatura Gender”
(vabbè…). Consiste in un’intervista a Marina Terragni, femminista di lungo
corso e fondatrice di RadFem Italia, che dice di parlare a nome della “gran
parte del femminismo italiano – Udi [Unione Donne in Italia, NdA],
Se non ora quando, RadFem, ArciLesbica e altri gruppi”.
La richiesta principale? Togliere dai motivi di
discriminazione sanzionati l’identità di genere, e sostituirla con la
transessualità. Il motivo? In parole povere, questa modifica
continuerebbe a condannare le violenze contro le persone trans proteggendo però
le donne da una sorta di “invasione” dei loro spazi protetti e dei loro diritti.
Questa richiesta era già stata avanzata durante il passaggio alla Camera, ma,
rimasta inascoltata, è stata riproposta al Senato.
A supporto di questa richiesta compaiono diversi
articoli e appelli, come questo e questo. Molte di queste
osservazioni, e anche altre, vengono espresse nella diretta trasmessa il 27 aprile 2021 sul canale
YouTube di RadFem Italia dalle partecipanti, che includono la
stessa Marina Terragni, Francesca Izzo e altre attiviste.
Per le loro posizioni sono state duramente attaccate
(come d’altronde succede da anni in tutto il mondo). Ovviamente condanniamo
ogni minaccia o espressione che travalica il diritto di critica e scade nella
gretta violenza, ma invito a non pensare che la forma – entro certi limiti –
sia più importante dei contenuti. Analizziamoli.
Il DDL Zan serve?
Sì. L’ordinamento giuridico italiano in materia di
diritti delle minoranze LGBT è rimasto molto indietro, e quello che abbiamo (le
unioni civili) è frutto di una battaglia combattuta per decenni contro chi si è
sempre ferocemente opposto a qualsiasi parità di diritti. Che poi sono gli
stessi che oggi dicono che siamo tutti uguali e che quindi il DDL non serve,
così come il Pride. Buffo, no?
Il fenomeno dell’omofobia e della
transfobia nel nostro Paese è drammaticamente diffuso: non sono singoli
episodi, ma una questione culturale. Solo pochi casi giungono sulle pagine dei
giornali: il sommerso è inquantificabile. Le persone LGBT sono a rischio ogni
singolo giorno; ogni atto di violenza non colpisce solo le vittime, ma ha
effetti sull’intera comunità, con lo scopo di infondere paura e insicurezza. Se
n’è occupato, tra gli altri, Simone Alliva, che ha
scritto un libro proprio a questo riguardo.
Attualmente i reati commessi per omofobia e transfobia
(così come per misoginia, e per abilismo, cioè contro le persone disabili,
ancora molto discriminate) non sono puniti in modo specifico dalla
legge. Spesso si ricorre all’uso delle aggravanti generiche ex art. 61 c.p
(motivi futili o abietti), ma è solo uno stratagemma per ovviare alle mancanze
della legge. In ogni caso, quelle sono aggravanti a reati che esistono già:
attualmente le discriminazioni non sono reato. Riconoscere in modo specifico
questi delitti è cosa buona e giusta non solo per facilitare i processi, ma
anche per capire effettivamente, e in modo efficace, la loro diffusione a
livello statistico. A chi dà fastidio chiamare le cose con il loro
nome?
Cosa fa il DDL Zan?
Come avrete sicuramente letto in giro, il DDL Zan va
primariamente a estendere le fattispecie già previste dalla legge Mancino, alcune
rimaste nel testo di legge, altre accorpate nel Codice Penale agli artt.
604-bis e -ter. Questa punisce i reati commessi per motivi religiosi,
razziali, etnici e religiosi. A questi vengono aggiunti quelli fondati sul
sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.
Questo permette quindi di punire le condotte discriminatorie e violente e la loro istigazione, e di aggravare le pene dei reati commessi per i suddetti moventi, escludendo però la propaganda e diffusione di idee, che continua a costituire reato solo quando si basano sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.
Il DDL Zan non ha però un impianto esclusivamente
punitivo (che avrebbe utilità limitata). Prevede infatti:
- che le vittime di questi reati siano considerate
in condizioni di particolare vulnerabilità, con le relative tutele
previste dal Codice di procedura penale;
- che i condannati possano eseguire
attività non retribuite presso le associazioni che proteggono le vittime
di questi reati, anche in alternativa alla pena;
- il recepimento della Giornata Internazionale
contro l’Omobitransfobia (IDAHOBIT), che cade il 17 maggio, con attività
organizzate dalle scuole e dalle istituzioni;
- sostegni economici alle case rifugio per le
vittime;
- che l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni
Razziali) elabori una strategia di prevenzione e contrasto
all’omobitransfobia;
- che l’ISTAT realizzi indagini statistiche almeno
triennali sul fenomeno dell’omobitransfobia.
Non è la rivoluzione (mi aspettavo di più dalle lobby
gay), ma è già qualcosa.
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