Il DDL Zan, tra bufale e realtà [Vol. 3] da BUTAC - Bufale Un Tanto Al Chilo
Il DDL Zan, tra bufale e realtà [Vol. 3]
Ancora qualche chiarimento sul DDL Zan...
14 Mag 2021 • Patrick
Jachini
Il DDL Zan, tra bufale e realtà [Vol. 2] | Butac - Bufale Un Tanto Al Chilo
Ancora una volta analizziamo il molto discusso DDL
Zan, stavolta rispondendo ad alcuni dei più popolari e importanti dubbi
riguardo gli effetti sull’uguaglianza, le iniziative nelle scuole, il
femminismo, il sesso e il genere.
Il DDL Zan discrimina gli uomini o gli eterosessuali?
No. Il DDL Zan parla di sesso, genere, orientamento
sessuale e identità di genere, senza riferirsi in modo specifico a un sesso, a
un orientamento e così via. Del resto, è quello che è stato fatto nel 1975 con quello che ora è l’art.
604-bis: si puniscono infatti i crimini motivati dall’appartenenza a un gruppo
nazionale, etnico o razziale. Anche se lo scopo primario della legge è
proteggere le minoranze, questa formulazione copre tutti, così da
rispettare l’uguaglianza formale stabilita dall’art. 3 della Costituzione.
Allo stesso modo, non si parla di omosessualità o transessualità, ma si
usano termini generici proprio per coprire tutti, perfino i maschi etero
cis. In questo modo si proteggono le donne e le minoranze LGBT dalle continue
discriminazioni e violenze, ma senza metterle in una posizione di vantaggio
(anche se solo teorico) rispetto agli altri, anzi: sono messi tutti sullo
stesso piano.
Il DDL Zan considera le
donne deboli o una minoranza?
No. Il DDL Zan è nato effettivamente con l’obiettivo
primario di combattere le violenze contro le minoranze LGBT, ma poi è stato
esteso anche a tutela delle donne e delle persone disabili. Per quale motivo?
Perché tutte queste categorie di persone (spesso sovrapposte) subiscono
gravi violazioni dei propri diritti, delle proprie libertà e della propria
dignità, anche se in modo diverso. Estendere le tutele del 604-bis alle
donne rafforza gli strumenti di contrasto ai reati contro di loro: è vero che
ci sarebbero tante altre cose ben più incisive da fare, ma rinunciare a questa
sfaccettatura della legge significherebbe sprecare un’occasione per fare anche
solo un piccolo passo avanti.
Ritengo inoltre interessante quest’intervista a un’attivista
favorevole al DDL Zan, che fa notare come le discriminazioni contro le donne e
contro le minoranze LGBT abbiano in realtà una matrice comune: quella
patriarcale.
Il DDL Zan introduce il
gender nelle scuole?
Partiamo da un presupposto fondamentale: come
spiega questo articolo, l’ideologia o teoria gender
NON esiste. I vostri figli non verranno esposti a teorie
assurde che negano l’esistenza del sesso biologico o delle differenze tra uomo e donna, non gli insegneranno
a essere gay o trans, a fare
sesso o a masturbarsi.
Tutto questo semplicemente non esiste, e chi
vi vuole convincere del contrario vi sta prendendo in giro e ammette di non sapere di cosa parla. È pura
propaganda, anche perché progetti e attività vengono scelti dalle scuole,
ascoltando insegnanti e genitori. Qui su Butac potete trovare decine di
articoli che fanno chiarezza, andando oltre i titoli indignati.
Questo scalpore serve a certe persone per imporre il loro stile di vita e la
propria morale religiosa agli altri, instillando la paura che l’educazione
sessuale corrompa la morale dei bambini.
Ma il DDL Zan non parla di educazione sessuale, bensì
di una Giornata – che esiste già a livello internazionale
– contro l’Omobitransfobia. Le attività organizzate dalle scuole
dovranno avere lo scopo “di promuovere la cultura del rispetto e
dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le
violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in
attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla
Costituzione”.
A me sembra tutto normale: la scuola è sempre stata
fondamentale per educare al rispetto e all’uguaglianza, per
combattere i pregiudizi, l’odio e la violenza fin da piccoli. Si fa
giustamente da anni con i progetti contro il bullismo e il razzismo, perché
non si dovrebbe fare contro l’omofobia? Tanti ragazzi e ragazze gay o
trans subiscono queste violenze tutti i giorni a scuola, spesso con
effetti devastanti (alcuni arrivano a togliersi la vita per l’esasperazione):
perché non dovremmo proteggerli? Sapere cosa vuol dire essere gay o trans non
vuol dire diventarlo (non è contagioso), ma ci libera dalla paura, dai
pregiudizi e anche dai legittimi dubbi, e ci aiuta a stare con gli altri
pacificamente. A chi dà fastidio ostacolare i progetti che promuovono il
rispetto?
Il femminismo radicale è
davvero maggioritario?
Le rad-fem (spesso definite negativamente TERF: cosa
significa e perché viene usato è spiegato qui) sostengono di parlare a nome della
maggioranza del femminismo italiano. Come in tutte le cose, ci sono
diverse correnti di pensiero all’interno del femminismo, e molte
pensano che quella radicale non sia quella prevalente, nonostante la forte
presenza mediatica. Ci sono infatti altrettante voci di posizioni
opposte, a partire da quello che è il femminismo inclusivo o transfemminismo,
che si definisce intersezionale: si occupa dei diritti delle donne non solo
nelle dinamiche uomo/donna, ma anche in quelle LGBT, razziali e di classe. È la
corrente cui aderisce Non Una Di Meno, movimento molto recente ma
altrettanto partecipato, massicciamente presente nelle tante
manifestazioni e mobilitazioni femministe degli ultimi anni. Il movimento
ha espresso una posizione molto netta in questo post.
E a partire dai nostri corpi sappiamo che
non ci sono verità nel sesso biologico, ma condizioni materiali di oppressione
che su quel sesso si costruiscono. Per questo lottiamo anche per dare spazio
a identità di genere impreviste e imprevedibili. E di questa lotta le
persone trans e non binarie sono parte integrante.
Anche altre attiviste hanno firmato appelli e articoli
come questo e questo.
Insomma, soprattutto tra le più giovani, l’approccio
inclusivo e intersezionale è probabilmente il più popolare.
Il sesso viene
sostituito dal genere?
Partiamo dai concetti generali: il sesso,
volendo semplificare, è quello biologico, anatomico, con cui si
nasce. Di base, i sessi sono due: uomo e donna, ma a volte la distinzione non è
così netta, come per le persone intersessuali. Per modificare il proprio sesso
(sarebbe più corretto parlare di caratteristiche sessuali, che sono molteplici)
si possono trasformare gli organi sessuali, si possono assumere ormoni, ma il
DNA chiaramente non cambia. A livello anagrafico, però, è possibile far
coincidere il sesso con il genere in cui ci si identifica, secondo le
procedure stabilite per legge.
Viene quindi spontaneo chiedersi: cos’è il genere?
Una buona definizione di genere è quella fornita
dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul (ratificata
dall’Italia la scorsa legislatura), che al comma c) dice:
Con il termine “genere” ci si riferisce a
ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una
determinata società considera appropriati per donne e uomini;
Il genere (come il femminismo
sostiene da decenni) è un costrutto sociale:
consiste nel ruolo e nelle caratteristiche che la società e la cultura
attribuiscono ai due sessi. In fondo sono stereotipi, e cambiano secondo la
storia, la religione e le tradizioni locali. Anche se meno di un tempo, in
Italia esistono ancora distinti ruoli di genere, sia negli aspetti più innocui
– modi di fare o apparire – che in quelli più lesivi: non di rado la donna
viene percepita in subordinazione all’uomo, se non proprio una sua proprietà.
Le notizie di cronaca nera a riguardo ormai non si contano più. Da questo nasce
il concetto di violenza di genere (da cui deriva la distinzione del
femminicidio dal comune omicidio). Un utilissimo documento informativo riguardo
alla Convenzione, redatto dal Consiglio d’Europa, spiega infatti che:
Lo scopo di questo termine [violenza di
genere NdA] non è di sostituire la definizione biologica di “sesso”, né i
termini “donne” e “uomini” ma sottolineare che le disuguaglianze, gli
stereotipi e di conseguenza la violenza non derivano da differenze biologiche
quanto piuttosto da una costruzione sociale, in particolare da atteggiamenti e
percezioni dei ruoli che le donne e gli uomini hanno e dovrebbero avere nella
società.
Nella maggior parte dei casi, quindi, le
discriminazioni per genere e quelle per sesso coincidono, in quanto il genere
si basa proprio sul sesso. Perché, allora, il DDL parla separatamente di
discriminazioni di genere?
La definizione che il DDL Zan fornisce in realtà
corrisponde alle “espressioni di genere”, cioè il modo in cui
una persona esprime l’appartenenza al proprio genere, in modo conforme o
meno agli stereotipi (parliamo di modo di fare, parlare, truccarsi, vestire e
così via). Qui il senso è che le discriminazioni in base al genere (in quanto
ruolo sociale) sono di solito quelle in cui qualcuno viene trattato in modo
diverso per il solo fatto di comportarsi o apparire diversamente da come ci si
aspetterebbe (cioè dal genere, che infatti si definisce come “il complesso dei
caratteri essenziali e distintivi di una categoria”) da un appartenente a quel
sesso. Va detto, il ragionamento non è linearissimo, ma ha una sua coerenza
interna, e la fattispecie mi sembra comunque chiara.
Tutto questo andrebbe a sostituire di nascosto il
sesso con il genere? No, in quanto tutto il nostro ordinamento, nel
distinguere tra uomini e donne, parla sempre di sesso, a partire proprio
dalla Costituzione, negli articoli 3 e 51, così come nel Codice delle Pari Opportunità o nel TUEL.
Il genere compare quasi solo nell’espressione “violenza di genere”. Ci sono
però rari casi in cui il genere viene usato come sinonimo di sesso (la
sovrapposizione quindi è in vecchie leggi, non in questa!). Gli unici che ho
trovato sono la legge sulle quote rosa nelle società quotate e
l’attuale legge elettorale (qui Senato, qui Camera) – limitatamente alle liste elettorali. È
evidente che ci si riferisce comunque al sesso, in quanto il genere non è
presente in alcun documento e quindi non è legalmente dimostrabile (ma
si presume corrisponda al sesso). In ogni caso, negli anni passati dalla
promulgazione di queste leggi non mi sembra che i CdA o le aule parlamentari
siano stati invasi da uomini che, desiderosi di arraffare i posti riservati
alle donne, si dichiarano tali. Proprio per il motivo sopracitato: per
legge è il sesso (anagrafico) a fare fede.
Insomma, scardinare il sesso come elemento di
identificazione mi sembra nei fatti molto difficile (praticamente
incostituzionale). E il DDL Zan non ci prova nemmeno.
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