ROMA MUORE DAL RIDERE

 

Roma muore dal ridere

Caro (Fu) Estinto. Solo nella Capitale si può scherzare sui funerali. Giungla pubblicitaria fra agenzie fino a additare gli «sciacalli». «Ma con il Covid il tema è tornato sacro e serio», spiega il sociologo Asher Colombo

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Sdoganato perfino il gesto dell’ombrello e il termine «sciacalli», la battaglia pubblicitaria delle agenzie funebri a Roma assume i tratti dell’avanguardia che rivela inedite conseguenze sociologiche.
La cronaca esclusivamente romanocentrica – atavico vizio di gran parte del giornalismo e dei media – è legittimata dal fatto che solo in questa città si assiste a un pullulare di cartellonistica mortuaria che tappezza le strade. Una tradizione ormai trentennale, partita a metà anni ’90 dello scorso millennio con «l’agenzia di onoranze funebri Eugenio Fabozzi» che nel 1994 con il figlio Valter si lanciò con slogan del tipo: «Schianti classico», «Quanto sfumi al giorno?», «Guidate piano e ci vedremo molto tardi».

IL PROVERBIALE DISINCANTO morale dei romani, contrappasso del millenario dominio della chiesa, si è tramutato in uso della satira prima e ora in mercificazione della sepoltura. Il low cost si è trasferito dalle compagnie aeree alle «pompe funebri» diventando rivoluzione dei costumi. E così l’agenzia Exequia è arrivata a additare gli sciacalli, quegli oscuri personaggi che si rivolgono ai familiari nelle camere mortuarie degli ospedali, negli hospice o nelle case di cura proponendo «il pacchetto completo per un funerale dignitoso».

Il 40enne fa il gesto dell’ombrello e di fianco c’è la scritta: «Quando in ospedale ti propongono l’agenzia funebre». Poi la spiegazione: «Occhio agli sciacalli. Da noi funerale completo sempre a 1.250 euro». Exequia – funerale in latino, ma molti a Roma considerano anche «prezzo equo» – ormai si considera leader nella capitale: «un padre e due figli che da sempre hanno condiviso l’obiettivo dell’avanguardia e del primato, hanno dato vita a ciò che per tutti oggi è: l’impresa funebre di Roma», recita il sito.

In principio era Taffo, la prima agenzia funebre low cost a dotarsi di della strategia comunicativa del «black humor» con Riccardo Pirrone, digital strategist (sic) di KiRweb, l’agenzia creativa che dietro alla svolta, suggellata nel libro Ironia della morte.

A fine 2018, prima del Covid, Pirrone viene scaricato e arriva Raineri Design che decide di far cambiare nome e brand a Taffo: diventa Exequia e il logo diventa il Colosseo stilizzato puntando tutto sul franchising lungo la penisola.

È altrettanto un fatto però che la pubblicità di Exequia-Taffo nel resto d’Italia non ha sfondato, bloccando l’idea di creare una rete di franchising. A Venezia ad esempio a luglio le polemiche sull’ultimo slogan «Regalo locale. Seminterrato» con la foto della bara hanno provocato la rimozione dei manifesti. Non si scherza sulla morte in Italia. Si scherza solo a Roma.



La pubblicità seriosa dell’agenzia Giovannoni

Ma quest’estate a Roma è accaduto un altro fenomeno unico in Italia. La risposta delle agenzie funebri tradizionali che – sfruttando anche la scia della reazione al Covid – contestavano la deriva satirica. L’agenzia Giovannoni ad esempio ha scelto l’immagine del giovane e avvenente titolare in abito scuro per rivendicare il tradizionale servizio offerto: prima a maggio ha riempito le strade di cartelli con su scritto un enigmatico “Noi non scherziamo”, reso più comprensibile qualche settimana dopo dal nuovo manifesto: «Rendiamo unico il vostro ricordo» rilanciando il suo motto: «Serietà, professionalità e discrezione assoluta». Altro che satira e low cost.

UNA REAZIONE CHE CERCA di ripristinare la sacralità del funerale, dell’ultimo addio e che oggettivamente sfrutta anche l’onda emotiva del Covid con il suo carico di dolore e di restrizioni che hanno riguardato anche i funerali con il blocco delle cerimonie nel periodo peggiore delle prime due ondate e le limitazioni alla partecipazione alle funzioni durante le prime riaperture. Come dire: oltre che banalizzare la morte voi agenzie low cost state offendendo anche la memoria di chi è stato colpito dalla malattia sia come vittima finale che come parente che non ha potuto partecipare alle esequie.

La novità però è che tutto questo avviene per la prima volta ancora attraverso la pubblicità, canale finora inutilizzato dalle agenzie funebri se non per far conoscere il solo proprio nome, non per veicolare un messaggio.
Il tutto senza scomodare la letteratura: il riferimento al Fu Mattia Pascal in realtà è totalmente sbagliato in quanto il protagonista del libro di Pirandello finge di essere morto e alla fine sceglie di tornare in vita mentre la serie americana Six Feet Under su un’agenzia funebre a inizio millennio non era certo comica.

Il professor Asher Colombo, direttore dell’istituto Cattaneo di Bologna, ha recentemente scritto un libro (La solitudine di chi resta, La morte ai tempi del contagio, Il Mulino, 2021) e ha coordinato una ricerca sul settore. Nelle sue parole c’è una sostanziale conferma della unicità della guerra romana delle pompe funebri.

«Come sostengo nel libro il dramma del Covid ha rimesso al centro la solennità dei riti riducendo inevitabilmente un atteggiamento più leggero nei confronti della morte», spiega Asher Colombo.

OLTRE L’ASPETTO SIMBOLICO ne esiste uno molto più terreno. «Le imprese funebri hanno dovuto affrontare un danno economico molto pesante per le limitazioni dei servizi e per le prescrizioni mediche con il personale che è si è dovuto cautelare da un forte rischio professionale di contagio: nel libro cito un addetto che dice: “Ci siamo trasformati in monatti”. A testimonianza della tragicità del periodo del Covid», sottolinea Asher Colombo.

UN FENOMENO UNICO che sfata il mito inossidabile delle pompe funebri mai in crisi ancor più paradossalmente in un periodo in cui i morti sono aumentati. «In realtà la sovramortalità c’è stata solo in alcune zone d’Italia, Lombardia, Veneto e alcune zone dell’Emilia, e comunque non così a lungo da produrre un incremento del fatturato». Nel Lazio e a Roma la mortalità non è aumentata e ancor di meno i ricavi delle imprese, colpite in più dalle lentezze sulle cremazioni e tumulazioni dovute ai problemi del Comune e della sua controllata Ama che gestisce i servizi.

«Dal punto di vista del mercato – continua Colombo – questo fenomeno è avvenuto in un periodo di trasformazione delle imprese funebri: il suo numero negli ultimi anni è aumentato e abbiamo assistito a una polverizzazione. Molte imprese operano senza personale e strumentazione e si appoggiano ad altre più grandi che forniscono servizi».

In questo quadro l’aggressività delle agenzie low cost stava pagando con all’allargamento del mercato. Al contempo la regolamentazione legislativa stava andando di pari passo.
«Dal 2000 le Regioni, competenti in materia, hanno emanato leggi che hanno facilitato la cremazione e perfino il trasporto della bara aperta, prima impossibile, dando la possibilità anche in Italia di avere le “case funerarie” di origine anglosassone: la possibilità di avere una camera ardente privata dove accogliere familiari e amici senza fare la funzione in chiesa». Una pratica comunque ancora assai limitata. «Pochi casi al Nord visto anche che i funerali religiosi in chiesa sono ancora il 97% del totale rispetto al 50% dei matrimoni, a testimonianza che anche le famiglie non credenti scelgono il funerale in chiesa».

Poi hanno normato la vergogna degli «sciacalli» che offrono pompe funebri nelle camere mortuarie. «Le leggi hanno combattuto, vietato e comunque reso molto difficile la pratica di contattare i familiari negli ospedali o nelle case di cura».

Indovinate qual è l’unica regione in Italia a non avere una legge in materia? «Mi risulta che il Lazio non la abbia», risponde Colombo. E così la guerra romana delle pompe funebri andrà avanti per molto. Si spera solo che non si arrivi a promettere spedizioni di cadaveri nello spazio come nel film Il caro estinto.

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