UNO SGUARDO DA RICORDARE di Francesco Di Ruggiero
UNO SGUARDO DA RICORDARE
“Disabilità cognitiva”, così hanno diagnosticato
quando sono nato, ma io non so cos’è,
so solo che sto bene con i miei ritmi e i miei riti,
l’amore dei miei genitori, i miei compagni,
lo sport in tv da vedere e la musica come amica
fino all’altro giorno, quando al Parco Nord
di Sesto San Giovanni, seduto su una panchina,
una panchina in cui mi rifugio e passo il tempo
a respirare il giorno guardando il cielo
azzurro di colore, a volte grigio,
a lasciarmi accarezzare del vento leggiadro
e ascoltare il cinguettio degli uccelli in volo
e osservarli mentre fanno acrobazie,
un giovane si è avvicinato e mi ha aggredito.
La colpa? Ma può essere una colpa uno sguardo?
Uno sguardo di curiosità prolungato,
perché avevo visto alcuni suoi amici ballare.
Prima mi ha schiaffeggiato,
poi mi ha coperto di pugni e calci.
Non capivo il perché di tanta rabbia,
ho provato a scappare, ma inutilmente.
Cercavo con lo sguardo un aiuto
soprattutto verso i suoi compagni,
ma nessuno si è mosso,
anzi, ridevano del pestaggio.
Il tempo sembrava interminabile.
Cercavo di proteggermi,
ma di continuo arrivavano pugni.
A terra ho raccolto il mio dolore.
In ospedale mi hanno ricoverato:
mandibola fracassata, sei ore di operazione
con prognosi di cinquanta giorni
e lesioni permanenti: questo
il risultato di uno sguardo.
Tante le domande che faticano a trovare risposte.
Affranti, stupiti e anche addolorati, i miei genitori.
Altri perché inondano la loro mente.
Che cosa ha provocato tanta violenza?
Che cosa albergava nel suo cuore
vedendo che non reagivo?
Mi hanno detto in tanti
che questo comportamento da “bullo”
è il risultato di questa nostra società “liquida”
figli del “tutto e subito”,
affetti dal delirio di onnipotenza,
devono dimostrare di essere dei duri,
cresciuti con i videogiochi violenti
tanto da identificarsi,
protagonisti dell’attimo da immortalare per i like,
sempre in branco a scandire prepotenza.
Sono solo a raccontare la mia amarezza
e il mio dolore per la mia incomprensione
verso quello che ho vissuto.
Mi hanno anche detto che questi “bulli”
restano e sono dei perdenti,
perché nella forza dimostrano debolezza,
nella violenza, infamia
nell’aggredire, vigliaccheria.
Forse domani tornerò a respirare il giorno
in quella panchina
testimone di una “follia”
e porterò dentro di me un grande dolore
non solo fisico, ma anche umano
per la sconfitta dei valori,
del rispetto del diverso e della sua libertà…
Ma tornerò a guardare ciò che mi circonda
perché per me è vita…
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