IL DISPREGIO DEI MORTI di Renata Rusca Zargar
In questi giorni, i cimiteri, un po’ dappertutto, si sono allegramente colorati di fiori freschi o finti, e le tombe sono state pulite e riordinate. Sembrerebbe che i defunti siano onorati e ricordati con affetto.
D’altra parte, seppellire e pensare ai morti non è una novità. Sono stati ritrovati resti fin dal Paleolitico (due milioni di anni fa) con tombe che, magari, erano solo semplici fosse ricoperte di terra, arricchite, però, da oggetti importanti: cibo, armi e strumenti. L’essere umano, unico animale, ha sviluppato da sempre un senso religioso e ha immaginato una vita dopo la morte.
Ho notato, però, che ci tormenta e ci dispiace la morte solo di parenti, amici e conoscenti. Gli altri, vengono liquidati con un “Si deve pur morire!”, frase che non verrebbe mai usata per nostra madre, ad esempio, o altro consanguineo.
Ho notato anche che abbiamo la memoria molto corta e, oggi, abbiamo completamente dimenticato i 140000 e più morti per Covid solo in Italia (nostri connazionali), affermando che il Covid non esiste o simili fantasticherie.
Tutte quelle bare trasportate dai camion militari perché non si sapeva dove metterle, in fondo, - si pensa - non racchiudevano un nostro parente. Pazienza, se erano madri, padri, fratelli, sorelle di qualcun altro che li amava, pazienza se avevano fatto una morte disumana, soffocati in totale solitudine. Come detto, “Si deve pur morire!”. E poi, avevano altre patologie, sicuramente, - si sostiene ancora - e non ha importanza se quelle patologie avrebbero loro concesso altro tempo di vita, né se le speranze loro e dei loro cari fossero state ben diverse.
Quei morti non contano più nulla ed escludo addirittura dal conteggio i milioni di morti nel mondo perché, per le nostre misere riflessioni, sono davvero troppo lontani!
Eppure, io credo, invece, che quelle vittime innocenti abbiano salvato la mia vita. Morendo, hanno dato il via e il tempo alla ricerca scientifica che ha trovato il vaccino. Se molti di noi potranno scampare a questa orribile pandemia è anche grazie al sacrificio di chi è stato colpito all’inizio.
Ora, c’è persino qualcuno che chiama il green pass la “tessera del pane” e passeggia ostentando il filo spinato e la pettorina a righe.
Eppure, anche i più ignoranti hanno visto, almeno in televisione, quei corpi scheletrici avviati alle camere a gas e ai forni crematori. Torturati, dileggiati, picchiati, affamati, terrorizzati e, infine, uccisi, colpevoli solo di far parte di categorie che qualcuno aveva deciso di sterminare.
Prenderli in giro, paragonare lo sterminio di milioni e milioni di persone innocenti con l’uso di una misura che ci permetterà di salvarci la vita, significa essere portatori di una grave malattia psichiatrica.
È vero, il green pass non è perfetto, certamente, dovrebbe essere più esteso, almeno a tutti i luoghi dove ci siano gruppi di persone, proprio per salvaguardare la nostra incolumità fisica, cioè la nostra libertà.
Perché solo da vivi possiamo essere liberi.
In ogni caso, è una regola dell’odierna vita in società e le regole sono necessarie, altrimenti, si deve andare ad abitare da soli, nel deserto.
Disturba che lo chiedano per lavorare?
Ci sono molte altre richieste per i lavoratori: indossare tute, caschi, rimanere ore in un determinato luogo, avere la patente, un titolo di studio, un apprendistato, un orario…
Nessuno se ne è mai stupito.
Quando io ho iniziato a insegnare, moltissimo tempo fa, ogni anno mi chiedevano di fare l’esame del sangue per essere sicuri che non avessi la sifilide, come pure i raggi al torace per sapere se fossi affetta da tubercolosi. Non mi è mai venuto in mente di ribellarmi e di travestirmi da deportato.
Prima di tutto perché desideravo lavorare e poi perché mi sembrava giusto che accertassero le mie condizioni di salute, visto che sarei stata a contatto con delle persone fragili, in via di formazione.
Ora, io con il green pass mi sento di nuovo libera. Finalmente, posso prendere un bus, un treno a lunga percorrenza, andare al ristorante, in piscina o dove mi pare, con una certa tranquillità.
Finalmente, molti tornano a lavorare e, qualcuno, forse, riuscirà a non chiudere la sua attività.
Dopo due anni di clausura e di sospensione della quotidianità, non mi sembra poco!
Renata Rusca Zargar
PUBBLICATO SU:
VERSI IN VOLO: IL DISPREGIO DEI MORTI di RENATA RUSCA ZARGAR (e commento di Danila Oppio)
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Sai cosa faccio quando la notte al TG fanno l'elenco COVID?
RispondiEliminaGuardo solo quello dei morti.
Angela
INSERISCO UN ARTICOLO SCRITTO A SUO TEMPO DA ANGELA FABBRI DURANTE IL LOCK DOWN
RispondiEliminaRicordo le bare trafugate nella notte
Se uno si ferma a pensarci, a tutte quelle bare trafugate nella notte sui camion dell'esercito... La prima volta li hanno fatti vedere solo a tarda notte, ma poi, i giorni seguenti, erano una vera 'chicca' dei telegiornali e quei camion passavano e ripassavano in un flash veloce a ogni angolo di posto che c'era e di occasione che minimamente potesse riferirsi a loro.
Non so, cosa pensavano che avremmo fatto, noi cittadini? Noi cittadini confinati ognuno nel proprio comune e quasi ai domiciliari? Che avremmo preso ognuno la macchina e saremmo corsi a Bergamo o a Brescia o a Crema per abbracciare e dare conforto ai parenti dei defunti? Che avremmo riempito di lettere il Viminale o Palazzo Chigi? Che saremmo usciti tutti, nella piazza + importante del proprio comune corrispondente, e avremmo alzato le braccia al cielo davanti al Municipio?
Cosa fu? Forse una PROVOCAZIONE?
Una provocazione a noi che avevano recintato nei confini della propria Regione, e + addentro nei confini della Provincia e ancora + addentro nei confini del proprio Comune, chiudendo un cerchio sempre + stretto che ci aveva circoscritto in Casa?
Una provocazione, un metterci alla prova? Perché tutto il mondo sa che gli Italiani sono Indisciplinati, Ribelli di natura a tutte le regole dettate dall’alto (chiunque ci sia in alto). Rivoluzionari sempre. E così intenti in questo malcostume, da non pensare affatto al debito pubblico esorbitante, ma solo alla propria scarsella privata: lo sanno tutti, se lo raccontano tutti in Europa.
E dunque. Anzi: E duncVe Was faranno qVesti ‘Taliani?
Ci hanno reclusi. A chiavi in mano. Abbiamo preso le chiavi e le abbiamo messe in uno stipetto. Siamo stati chi solo e chi con i figli chi con marito/moglie e figli, nella casa che molti di noi si sono guadagnati col proprio lavoro o con quello dei genitori. Abbiamo girato per la nostra casa come fossimo in una gita turistica, l’abbiamo ritrovata, abbiamo spalancato le finestre, abbiamo fatto uscire(almeno lui) il nostro tricolore e lasciato libero al vento, abbiamo riordinato le stanze, acceso la radio, fatto musica, rivisto foto, guardato film, ascoltato telegiornali, attraversato l’etere con cellulari e con skype, cenato, pranzato, ascoltato telegiornali, ascoltato telegiornali…
Ci hanno reclusi. Ma abbiamo fatto delle sortite, siamo usciti per procurarci il cibo, come gli animali selvatici, lesti a ritornare nella tana per non essere inseguiti da pattuglie di Polizia o addirittura da camionette dell’Esercito, corsi a chiederci conto della nostra presenza in strada …
Così siamo rimasti vivi, nonostante i telegiornali, nonostante il Virus, nonostante l’ansia per chi amiamo e non è con noi.
Nonostante i decessi nelle RSA, nonostante ormai non so + cosa. E neanche cosa siamo adesso noi Cittadini Italiani. E cosa faremo dopo. Cosa saremo dopo.
Tutto il mondo ci ha detto che ‘SIAMO STATI BRAVI’. Ci ha detto ’60 volte BRAVI’. Tanti sono stati i nostri giorni di completa reclusione.
Siamo stati bravi.
Siamo stati bravi. Ma quelle BARE ci hanno spezzato il cuore. A tutti. A tutti noi Cittadini Italiani.
Angela Fabbri da Ferrara (Emilia-Romagna) notte fra 10 e 11 maggio 2020