COME SARA' LA CINA DEI TRE FIGLI
Nel 2019 la Cina ha registrato il numero di nati più basso della storia del paese, e a distanza di qualche anno dalla concessione del secondo figlio, il governo ha da poco annunciato che le coppie potranno avere tre figli. Sarà davvero un'inversione di tendenza?
Nel 2021, il capo dell’Ufficio statale di statistica della Cina, Ning Jizhe, ha affermato che nel 2020 erano nati in Cina 12 milioni di bambini, due su tre rispetto al 2016 (18 milioni di nati), con un calo del 18% rispetto al 2019. Dopo aver analizzato i risultati del settimo censimento nazionale della Repubblica popolare cinese (Rpc) i vertici del partito comunista cinese hanno così preso la decisione di attivare la "politica dei tre figli".
Per capire come questa politica inciderà sull'andamento demografico dei prossimi anni è importante analizzare cosa è successo prima.
La politica del figlio unico è stata una delle misure di controllo delle nascite adottate dal governo cinese, accanto alla distribuzione della contraccezione e alla promozione dei matrimoni tardivi, per contrastare l’esplosione demografica a metà del XX secolo, quando la popolazione cinese era cresciuta a un ritmo record.
Tale politica demografica avrebbe dovuto portare a un dimezzamento della popolazione, via via più lento col progressivo allungarsi della vita media. Il successo fu del tutto evidente: negli anni Duemila il tasso di fecondità totale (numero medio di figli per donna) era drasticamente sceso da 6 (anni ’50 e ’60) a 1,6 (periodo: 1995-2020) – nonostante alcune concessioni di flessibilità sul controllo statale delle nascite.
Le sanzioni previste per i trasgressori non si applicavano alle gravidanze multiple; le coppie nelle zone rurali potevano avere un secondo figlio senza pagare alcuna ammenda se la primogenita fosse stata una femmina; in caso di disabilità (mentale o fisica) del primo figlio, non scattava la sanzione per la nascita del secondo.
Anche alle minoranze nazionali era permesso di avere 2 o 3 figli. Escluse, tuttavia, queste “eccezioni”, chi trasgrediva la regola del figlio unico era sottoposto a pesanti penalità (perdita del posto di lavoro, versamento di multe elevate). Per contenere le nascite si ricorreva persino a pratiche brutali come la sterilizzazione, l’aborto selettivo in base al genere e l’infanticidio femminile per la preferenza tradizionale per i figli maschi, sbilanciando gravemente nel tempo il naturale rapporto tra i generi nel paese.[1]
Lo squilibrio tra i sessi ha contribuito all’instabilità sociale del paese. Uno studio pubblicato nel 2013 rilevava una correlazione tra il divario di genere e i tassi di criminalità maschile in Cina, soprattutto nei giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni. All’origine dello squilibrio c'era la “politica del figlio unico”, che aveva causato danni sociali ed economici devastanti.
Dal 2013 il governo cinese ha progressivamente abolito le restrizioni sulle nascite, sino all’adozione di una legge entrata in vigore nel 2016 che ha esteso a tutti i nuclei familiari la possibilità di una seconda nascita.
A seguito delle restrizioni introdotte in campo demografico, la crescita della popolazione ha iniziato a rallentare dai primi anni Novanta – con un calo del numero di figli per donna al di sotto del livello di ricambio generazionale, pari a 2,1 – incidendo profondamente sulla struttura della popolazione.
Popolazione della Cina per genere dal 1980 al 2020
Fonte: China Statistical Yearbook, elaborazione BBC
Oggi la popolazione cinese sta rapidamente invecchiando. Secondo le Nazioni Unite, la quota di popolazione anziana (dai 65 anni in su), che nel 2010 era solo dell’8%, raddoppierà entro il 2030 e triplicherà entro il 2050.
Per effetto della tendenza all’invecchiamento, lo squilibrio di genere nella popolazione è migliorato negli ultimi anni, riducendosi da 33,66 milioni (uomini in più rispetto alle donne) nel 2015 a 30,49 milioni nel 2019.[2] La riduzione è dovuta anche al fatto che ora in Cina è illegale identificare il sesso del feto prima della nascita per scopi non medici o interrompere la gravidanza per preferenza di genere.
Come tutti i paesi in via di sviluppo, la Cina deve, comunque, fare i conti con i nuovi squilibri che le “quattro modernizzazioni” (agricoltura, scienza e tecnologia, industria e difesa nazionale) lanciate da Deng Xiaoping hanno prodotto negli ultimi decenni, modificando a fondo l’assetto del paese.
I bassi tassi di natalità e mortalità, motivo dell’invecchiamento della società (età media 38 anni, raddoppiata rispetto al 1970) e della lenta crescita annuale della popolazione (0,15% nel 2020 – dal 2027 inizierà la decrescita), hanno determinato uno squilibrio generazionale senza precedenti storici, alterando la struttura del mercato del lavoro.
La Cina evidenzia un indice di dipendenza strutturale (41,5% nel 2019, destinato a salire oltre il 70% nel 2055), che potrebbe accelerare l’esaurimento del dividendo demografico per la crescita economica.[3]
Il dividendo demografico ha rappresentato quasi il 20% della crescita economica potenziale della Cina dal 1981 al 2010, ma il suo contributo è risultato quasi nullo dal 2016 al 2021, e rischia di trasformarsi negli anni a venire in un “debito demografico”, che porterà a un rallentamento della crescita per via della contrazione della domanda.
La piramide demografica cinese del 1980 (a sinistra) confrontata con quella del 2050
Fonte: populationpyramid.net
Se l’economia cinese è ancora in fase di espansione, con una concentrazione in settori quali le infrastrutture, i crediti al consumo, i servizi per l’infanzia e i consumi in generale, l’influenza dei fattori demografici sull’equilibrio economico si farà presto sentire, impattando, ad esempio, sulla sostenibilità del sistema pensionistico cinese.[4]
Ecco perché già dalla fine di ottobre 2015 la Cina ha annunciato ufficialmente la fine della politica del figlio unico e la concessione di due figli per nucleo familiare. Le corrispondenti modifiche alla legge sulla popolazione e la pianificazione familiare (1978) sono state adottate il 27 dicembre 2015 e sono entrate in vigore il primo gennaio 2016. Con questa decisione, le autorità cinesi hanno pianificato un incremento delle nascite su base annua di 3 milioni di bambini in più.
I dati demografici mostrano, però, una costante caduta della natalità nel corso degli anni: se nel 2014 in Cina sono nati circa 17 milioni di bambini, nel 2019 questo paese ha registrato il numero di nati più basso dell’intera storia del paese – 14,6 milioni di bambini.
Per tale ragione, le autorità cinesi, a distanza di qualche anno dalla concessione del secondo figlio per nucleo familiare, hanno annunciato il 31 maggio 2021 che le coppie ora potranno avere tre figli. La decisione è stata presa durante una riunione del Politburo del Comitato centrale del Partito comunista cinese, con lo scopo di eliminare le evidenti distorsioni e migliorare le performance sociali ed economiche. A partire dall’asimmetria di genere in campo demografico, particolarmente accentuata nelle generazioni nate subito dopo l’introduzione della politica del figlio unico (116,54 maschi su 100 femmine nella fascia d’età 10-14 anni).
Non poche sono state le critiche a livello mondiale, cominciando da quella di Amnesty International, secondo cui ancora una volta la Cina, regolando il numero di figli per famiglia, viola i diritti sessuali e riproduttivi delle persone (rimane rigorosamente vietato avere più di tre figli).
Inoltre, l’allentamento della politica sulle nascite introdotto nel 2016 si è rilevato poco efficace (a esclusione di una crescita del tasso di natalità nei due anni successivi alla riforma, la politica dei due figli non è riuscita a invertire il trend negativo delle nascite), poiché lo sviluppo complessivo del paese ha creato le condizioni strutturali per una bassa fertilità (es: la scolarizzazione universale, in particolare per le ragazze, l’industrializzazione e urbanizzazione, standard di vita e redditi più elevati, l’inclusione attiva delle donne nel mercato del lavoro, la secolarizzazione, ecc.).
Perché mai la nuova misura dovrebbe dare risultati soddisfacenti? Chi poi in Cina desidera oggi avere tre figli, tenuto conto di altri fattori contestuali come l’elevato costo della vita, dei consumi, dell’educazione dei figli, e dei prezzi “alle stelle” delle abitazioni, soprattutto nelle grandi metropoli? Tanto più con un mercato del lavoro in contrazione, causa la pandemia e le tensioni commerciali con gli Stati Uniti, tale per cui i giovani cinesi devono lavorare più a lungo per raggiungere i risultati prefissati - gli straordinari e il superlavoro malpagato sono diffusi -, mentre le giovani donne scelgono di proseguire gli studi e trovare un’occupazione, piuttosto che mettere subito su famiglia.
È un dato di fatto che la presenza femminile sia in ascesa nelle grandi e nelle piccole imprese e nel settore del management di alto livello delle imprese private, dove sono richiesti lavori professionali e qualificati. Inoltre, le forti migrazioni interne dei giovani verso le città, che li allontanano dai genitori (potenziali nonni di supporto alla famiglia che si allarga), non favoriscono l’aumento del tasso di natalità.
C'è da tener conto, tra l’altro, che la gran parte degli istituti di assistenza all’infanzia è gestita da privati, mentre gli asili nido pubblici rappresentano meno del 20% del totale e che, come riportato da una nota dell'Ansa a dicembre 2020 “meno di un terzo delle famiglie cinesi può permettersi di iscrivere i propri figli ad asili nido privati”.
Per contrastare il declino demografico, la Cina dovrebbe elaborare dunque altre strategie.
I benefici marginali di determinate scelte sono sempre decrescenti; se la scelta di passare dal figlio unico a due figli ha avuto benefici trascurabili, quella di passare da due a tre figli non avrà alcun ritorno. I sondaggi e le ricerche demografiche rilevano che la maggior parte delle coppie in Cina non ha intenzione di avere più di un figlio, e non c’è molto da fare per convincerle.
Tassi di nascita in Cina dal 1908 al 2020
Fonte: China Statistical Yearbook, Elaborazione BBC
La Cina ha forti disparità di reddito, soprattutto a livello territoriale. La messa in campo di politiche redistributive potrebbe favorire la fertilità. Così come l’eliminazione delle pratiche di discriminazione di genere sul mercato del lavoro verso donne incinte o neo-mamme, che si sono ampiamente diffuse dopo l’avvio della liberalizzazione economica alla fine degli anni Settanta.
Infine, la diaspora cinese verso il resto del mondo ha indubbiamente avuto un impatto demografico negativo nel paese – dato che a emigrare in genere sono i giovani. La Cina, potenza economica mondiale, che ha tanti paesi limitrofi poveri, dovrebbe puntare sugli immigrati che solitamente abbassano l’età media dei paesi di accoglimento.
Attualmente la Cina si colloca nel trend demografico dell’invecchiamento globale della popolazione. Secondo le previsioni degli scienziati dell’Università di Washington, fatte nel luglio 2020, entro il 2050 in 151 paesi, ed entro il 2100 in 183 su 195 paesi del mondo, il tasso di fecondità scenderà al di sotto del livello di sostituzione delle generazioni.
Si prevede che la popolazione mondiale diminuirà di almeno la metà in 23 paesi entro il 2100 e che altri 34 paesi subiranno un calo demografico dal 25 al 50%, inclusa la Cina. La popolazione cinese calerà da 1,4 miliardi nel 2020 a 732 milioni nel 2100, restando solo il terzo paese più popoloso al mondo dopo India (1,09 miliardi) e Nigeria (791 milioni).
Note
[1] Durante il periodo 1970-2017, le nascite femminili “perse” (per motivi di discriminazione) sono state in Cina 23,1 milioni. In: F. Chao, P. Gerland, A. R. Cook, and L. Alkema, Systematic assessment of the sex ratio at birth for all countries and estimation of national imbalances and regional reference levels, PNAS, vol.116, no.19, May 7, 2019, p. 9303.
[2] Le donne sorpassano gli uomini con un rapporto di 2 a 1 nella fascia d’età 90-94 anni e un rapporto di 5 a 1 per i centenari.
[3] Per ogni 100 persone in età lavorativa circa 42 anziani e bambini dovranno essere sostenuti. Age dependency ratio in China from 2009 to 2019, statista, online.
[4] La maggior parte dei futuri pensionati cinesi ha lavorato in periodi di bassa prosperità economica e non potrà contare su un risparmio accumulato che le consenta di trascorrere una vecchiaia serena, né potrà contare su una seconda generazione che possa contribuire al reddito familiare. La situazione è più grave nelle campagne dove spesso gli anziani rimangono soli, poiché i figli emigrano verso i centri urbani, e dove i servizi statali sono minori e il risparmio privato ancora più basso.
Riferimenti
L. Edlund, et. al., Sex Ratios and Crime: Evidence from China, Review of Economics and Statistics, December 2013, 95(5), pp. 1520-1534
Total fertility rate (live births per woman), World Population Prospects: The 2019 Revision, United Nations Population Division
C. Bonifazi, D. De Rocchi, G. Panzeri, La politica demografica cinese: dal figlio unico al terzo figlio; Neodemos, 13 luglio 2021
S. McDonell, China allows three children in major policy shift, BBC news, 31 maggio 2021
Young Chinese protest by ‘lying flat’ against a culture of overwork for little reward, AsiaNews.it, 9 giugno 2021
L. Wang, J. Klugman, How women have fared in the labour market with China’s rise as a global economic power, Asia & the Pacific Policy Studies (Australian National University), vol. 2, issue 1, January 2020, p.54
In Cina la politica dei tre figli non servirà a molto, il Post, 5 giugno 2021
AA. VV., Fertility, mortality, migration, and population scenarios for 195 countries and territories from 2017 to 2100: a forecasting analysis for the Global Burden of Disease Study, Global Health Metrics, vol.396, October 17, 2020, p.1285.
Database consultati
Data National Bureau of Statistics of China
Population in China by gender, Statista online
Gender ratio in China, Statistics Times
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