IL CILE VERSO IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI

 

Il Cile approva i matrimoni egualitari. E ha eletto la prima deputata trans


Femminismo. Emilia Schneider Videla, militante del Frente Amplio: «Il risultato di anni di lotta femminista e dissidente»



Dopo il sì al progetto di depenalizzazione dell’aborto (ancora in attesa del voto del Senato), la Camera dei deputati cilena fa un ulteriore passo avanti in tema di diritti civili, approvando a larghissima maggioranza, con 101 voti a favore, 30 contro e 2 astensioni, la legge sul matrimonio egualitario.

Il provvedimento, presentato per la prima volta nel 2017 sotto il governo Bachelet, aveva già ricevuto a luglio il via libera – sempre a larga maggioranza – del Senato, ma dovrà tornare alla Camera alta in seguito ad alcune modifiche introdotte dai deputati, tra cui quella a favore di una terminologia più neutra sotto il profilo di genere. Si tratta, però, di poco più di una formalità: a favore del progetto, che concede alle coppie dello stesso sesso gli stessi diritti e doveri riconosciuti a quelle etero, si è schierato infatti lo stesso presidente Piñera, il quale aveva sottolineato già il primo giugno scorso il carattere d’urgenza del provvedimento. Così, a meno di colpi di scena dell’ultimo minuto, il Cile si avvia a diventare il settimo paese latinoamericano a riconoscere il matrimonio egualitario, dopo Argentina, Brasile, Colombia, Uruguay, Ecuador e Costa Rica (a cui però vanno aggiunti vari stati del Messico).

E lo fa dopo aver appena celebrato l’elezione a deputata della prima trans della storia cilena, la dirigente studentesca Emilia Schneider Videla, militante del Frente Amplio, la quale ha definito la sua impresa come frutto di «anni di lotta femminista e dissidente» per poter «vivere senza paura» ed «essere ciò che si è».
Soddisfazione è stata espressa anche dal Movilh (Movimiento de Integración y Liberación Homosexual), la cui portavoce, Daniela Andrade, ha voluto ricordare anche l’elezione di Marcela Riquelme Aliaga e Camila Musante Muller, le prime donne apertamente lesbo/bisessuali ad arrivare al Congresso: «Queste donne perseveranti – ha dichiarato – hanno voluto affermare sulla scena politico-elettorale che l’orientamento sessuale e l’identità di genere non possono più essere oggetto di censure o di discredito a livello di candidature a cariche pubbliche».

Ma se, da un lato, si celebrano tali conquiste, dall’altro non si nasconde il timore che possano tutte venir meno dopo il ballottaggio del 19 dicembre. Il primo sondaggio divulgato dopo il primo turno delle presidenziali non permette infatti di dormire sonni tranquilli, indicando una perfetta parità tra il candidato progressista Gabriel Boric e quello di estrema destra José Antonio Kast, l’uno e l’altro impegnati ora a moderare i rispettivi discorsi per conquistarsi i voti del centro.

Si spiega così il commento conciliatore di Kast sul risultato della votazione di martedì sul matrimonio egualitario: «Quando la maggioranza raggiunge un accordo e questo si converte in legge, per quanto possa non piacermi è comunque una legge della Repubblica». Toni che vorrebbero suonare rassicuranti, se non fosse che il suo programma non lo è neanche un po’, cancellando di fatto le donne dalla scena pubblica ed eliminando qualsiasi traccia di politica a favore della comunità Lgbt (per non parlare di tutto il resto, dagli attacchi ai migranti e ai mapuche fino all’intenzione di eliminare la gratuità dell’insegnamento superiore o di innalzare l’età pensionistica). Tristemente nota è, per esempio, la sua proposta di eliminare il Ministero della donna sostituendolo con un Ministero della famiglia, riducendo di fatto il ruolo delle donne a una dimensione meramente familiare e privata.

A esemplificare ciò che avverrebbe in caso di vittoria di Kast ci ha pensato comunque il suo deputato Johannes Kaiser (fratello dell’ideologo della destra cilena Axel Kaiser), di cui sta circolando sulle reti sociali un video sulla «schizofrenia delle donne», le quali avrebbero paura delle aggressioni dei migranti ma poi voterebbero i partiti che continuano a permettere l’arrivo di «questa gente». Cosicché, conclude, verrebbe da chiedersi se concedere loro il voto «sia stata una buona idea».


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