Il
commento della settimana
Enzo
Scandurra
|
Quando
le prime volte sentii in TV e annunciato dai quotidiani, che all’Italia erano
stati assegnati dall’Europa oltre 200 miliardi, che poi andarono a formare il
famoso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pensai ingenuamente che
finalmente sarebbero stati affrontati, se non proprio risolti, gli annosi
problemi della sanità, della scuola e dell’università e chissà quanti altri
ancora.
Immaginai
subito il sollievo di ex colleghi d’università che avrebbero finalmente visto
l’ingresso di nuovi e giovani ricercatori fino ad allora precari e anche
l’arrivo di preziose risorse per la ricerca. Pensai ancora che, accanto agli
ospedali che versano nelle condizioni drammatiche che ben conosciamo,
sarebbero sorti presidi territoriali sanitari di prima accoglienza e sarebbe
finito l’incubo di ore e ore di attesa nei pronto soccorso dei nosocomi.
Credei che i problemi della scuola italiana sarebbero finiti con nuovi
ingressi di docenti, con la manutenzione dei vecchi e fatiscenti edifici, che
ci sarebbero stati molti più docenti per consentire agli studenti di rimanere
a scuola fino al pomeriggio, che si sarebbero costruite nuove e più moderne
scuole, che sarebbe finita la questione delle “classi pollaio”; se no che
ripresa era?
Pensai che si sarebbero realizzati moltissimi impianti eolici e fotovoltaici
in modo da abbandonare la dipendenza dai fossili e avviarsi verso quella che
era stata già denominata riconversione ecologica, per la quale era stato
chiamato un famoso tecnico che avrebbe dichiarato guerra all’uso dei fossili.
Insomma
i territori, nel mio immaginario, sarebbero divenuti i luoghi dove produrre
energia pulita, disseminati di presidi socio- sanitari e scolastici e
comunità energetiche. Presidi della difesa degl istessi territori – basta
vedere la tragedia di Ischia di questi giorni alla cui origine c’è la
devastazione ambientale incrementata dall’abusivismo perlopiù condonato.
Pensai ancora al sud che con tutti quei soldi del PNRR avrebbe potuto
risalire la china del malsviluppo per avviarsi a diventare un’area strategica
del Mediterraneo in Europa, un ponte verso le aree dell’Africa
settentrionale.
Giunsi fino a fare, nella mia mente, qualche conto grezzo: si trattava di
oltre 200 miliardi quando, fino ad allora, le manovre economiche che si
potevano al massimo sognare erano dell’ordine di 5-6 miliardi e comportavano
lunghi dibattiti parlamentari.
Ci ho messo un po’ di tempo a capire che le cose non sarebbero andate così,
che tutti quei soldi non avrebbero cambiato di una virgola la situazione
italiana e che soprattutto per sanità, scuola e università le cose sarebbero
andate anche peggio.
Immaginate
la delusione, per esempio, che ho provato nel sapere che tra le grandi opere
da finanziare, probabilmente inutili, ci sarebbe stata anche quella del
famigerato Ponte sullo Stretto, diventata quasi leggendaria.
Mah! Mi dicevo all’inizio, pazienza, magari si farà con i soldi avanzati da
quei famosi 200 e oltre miliardi.
Qualcosa non va, mi sono detto ad un certo punto. Ho letto della proroga per
le trivellazioni per estrarre ulteriore fossile dai nostri mari, del nucleare
che credevo scomparso dal futuro (ci sono stati ben due referendum per
tentare di cancellarlo), degli inceneritori che, se non sbaglio, devono
essere alimentati anche essi con combustibili fossili, di quella strana
tecnologia che serve per catturare la CO2 prodotta per poi seppellirla sotto
la crosta terrestre (cosa che in passato aveva fatto sapientemente la natura
formando i depositi naturali di fossili), poi ancora delle auto elettriche le
cui batterie richiedono consumi di metalli rari, presenti solo in certi
paesi, poi dei gassificatori e ancora l’idrogeno, prodotto anch’esso coi
combustibili fossili.
Un giorno sono passato nella la mia facoltà universitaria, l’ho trovata
vuota. Una volta c’erano lotte furiose per accaparrarsi una stanza, ora
sembrano luoghi abbandonati per qualche nuova, misteriosa epidemia. Negli
ospedali il clima non è diverso, anche lì sale d’attesa strapiene per essere
visitati velocemente da qualche medico, spesso davvero eroe, che non ha
ancora abbandonato il luogo pubblico per un assai più proficuo stipendio nel
privato.
Infine la scuola del Merito, quasi don Milani non fosse mai esistito, dove
ancora si svolgono doppi e tripli turni e di tanto in tanto cedimenti strutturali
mettono a rischio la vita degli studenti.
Le
città sommerse di rifiuti e il traffico privato fa perdere ore e ore di tempo
per raggiungere il dentista o una banca per la quale è tassativamente
necessario richiedere un appuntamento. E nei territori: fabbriche che
chiudono i battenti per trasferirsi altrove, operai licenziati, povertà che
aumenta, disuguaglianze che crescono, intelligenze costrette ad emigrare.
Ma quei soldi, dirà l’uomo di strada imbottigliato nel traffico o in attesa
in qualche corridoio del pronto soccorso, non dovevano servire, almeno un
po’, a questo?
|
Commenti
Posta un commento