IL FEMMINISMO DELLE DIFFERENZE Un'interpretazione multidisciplinare di TOMMASO BADANO

 

Tommaso Badano


Il femminismo delle differenze

Un’interpretazione multidisciplinare


Il femminismo delle differenze. Un'interpretazione multidisciplinare - Tommaso Badano - Libro - Casa Editrice il Filo di Arianna - Saggistica | IBS


SINOSSI


Questo lavoro nasce in età matura (ho passato i 50) come tesi magistrale in economia etica, dopo decenni che mi ponevo interrogativi sulla posizione della donna nella società capitalista. Il titolo originale era “La donna nel capitalismo: una pedina o un'alternativa?” e la volontà era, e resta, quella di individuare quale sia il ruolo che la donna sta acquisendo nella nostra società e quale possa invece avere volendo migliorare la società stessa.

Il lavoro è iniziato affrontando il tema del matriarcato e delle società matriarcali (Heide Göttner-Abendroth e Merlin Stone), culture appartenenti non solo all'assai probabile passato remoto di ogni civiltà ma anche al passato prossimo e alla contemporaneità di alcune società ancora esistenti.

Uno spunto importante, che mi ha permesso di costruire il capitolo conclusivo, me lo ha dato il libro “I conti con le donne” di Katrine Marçal, condividendone buona parte del pensiero anche se, a mio avviso, l’autrice ha affrontato il tema con atteggiamento prevalentemente giornalistico e manca soprattutto di una preventiva valutazione della assai differente neurobiologia di donna e uomo. Un tema notoriamente non considerato dalla sociologia di genere (direi apertamente rifiutato) e avviato da qualche decennio dalla nota neuropsichiatra Louann Brizendine (cui si aggiungono alcuni recenti Nobel per la medicina) e affrontato anche dalla biologa tedesca Kirsten Armbruster. Nel mio lavoro multidisciplinare affronto analiticamente la posizione di entrambe, non mancando di estrapolare considerazioni anche dall’assai significativo lavoro di David Geary.

Questo studio vuole individuare la posizione raggiunta dalla donna ripercorrendo la storia del nostro passaggio dalle religioni della dea madre ai monoteismi maschili, dalle società matriarcali ai patriarcati e dall'economia di sussistenza, gestita delle donne, all'economia capitalista di conquista, di stampo patriarcale fino all'odierno finanz-capitalismo neoliberista. Il tutto passando attraverso un'analisi della neurobiologia e della psicologia di genere nonché in piccola parte della cultura e della letteratura occidentali. Un percorso multidisciplinare affrontato scientemente per evitare di incorrere nei semplicismi e negli stereotipi tipici di un'analisi monosettoriale quale ritengo essere quella sociologica attuale, alla ricerca spasmodica ed assoluta di una celebrata “uguaglianza” che si riduce spesso in una sorta di omologazione che mi permetto di definire di stampo post coloniale.

Assai più vicino alla realtà, a mio avviso, l’approccio al problema portato negli anni dal movimento del femminismo della differenza di Luisa Muraro e delle filosofe di Diotima, approccio peraltro relegato al lato B del tema da una sociologia che lo snobba, con una parte di incoscienza ed una parte di sottomissione al sistema capitalistico.

La nostra evoluzione ha visto cambiamenti importanti in pochi millenni, ma ancor prima di questo passaggio, uomo e donna hanno avuto un'evoluzione parallela ma assai differenziata che ha permesso la sopravvivenza della nostra specie. Un fattore che ha indotto importanti peculiarità soprattutto comportamentali e che, in parallelo con la crescita della complessità sociale, si sono riversate in ogni cultura e in ogni società. E in questa evoluzione la donna è passata dall'avere la completa gestione dell'economia nelle società matriarcali, al vedersi costretta dai patriarcati in ruoli selezionati e non riconosciuti per il loro reale valore perché non direttamente inseriti né nel circuito dell'economia industriale degli albori del capitalismo né in quella iperfinanziarizzata di oggi.

Viene legittimo chiedersi se la donna sia ora prossima all'ottenimento di una nuova posizione o se stia rischiando piuttosto di dover scegliere tra il perpetuare i suoi ruoli storici (che, per quanto fondamentali e insostituibili, la nostra società spesso considera “inferiori”) e l'emanciparsi in direzione forzatamente “mascolina”. Personalmente temo l'approssimarsi di un punto di non ritorno, a causa di un patriarcato costruito per essere gestito da uomini e in cui lo spazio per le donne viene appunto o limitato alle sue funzioni biologiche (in linea di massima: la procreazione, le cure parentali, il lavoro domestico e - nel campo extradomestico dei paesi non ancora sviluppati in senso occidentale - l'agricoltura non industriale), oppure ricavato forzando (anche culturalmente) le donne nei ruoli storicamente maschili auspicandone un comportamento ed una resa altrettanto maschili: un modello di colonizzazione della mente ma al di fuori del contesto coloniale standard così come visto e descritto, per fare un esempio, da Ngugi Wa Thiong'o.

In particolare, il concetto di “lavoro” è stato trasformato nei secoli da attività volta alla ricerca e alla produzione di beni per le necessità della famiglia e del benessere sociale, in attività per produrre una ricchezza illimitata, tale peraltro solo in senso monetario. Siamo passati da una finanza strumento dell'economia, a un'economia serva della finanza; il lavoratore è passato dall'essere una componente umana della società all'essere una pedina depersonalizzata del sistema neoliberista: un lavoratore unisex appiattito sulle necessità del mercato dal sistema il cui ruolo precipuo è produrre reddito, uomo o donna che sia. In questo la critica di Marx ci aveva sicuramente visto bene.

Non è che la donna si trovi a rischiare, con questa falsa emancipazione, di dover rinunciare alle caratteristiche che milioni di anni l'hanno resa tale e che hanno permesso alla nostra specie di sopravvivere?

Cosa è meglio o più giusto fare? Cambiare la donna per adeguarla alla società o cambiare la società affinché la donna venga valorizzata tal quale senza che venga altrimenti considerata “difettosa” o “inferiore” per il sistema? Emancipare la donna trasformandola in una macchina d'affari per adeguarla alla società maschilista o trasformare piuttosto la società in un compromesso, valorizzando attitudini, valori e capacità neurobiologicamente precipue della donna, lasciando comunque sempre libera ogni peculiarità individuale (mai rinunciare all'eccellenza)?

Forse l'attuale crisi legata all'allarme corona virus mette bene a nudo la fragilità della società patriarcale neoliberista con tutti i suoi limiti; limiti assai più marcati di quanto si potesse immaginare sinora. Un’occasione per sperare che le donne possano ancora salvare la nostra cultura occidentale recuperandone i valori solidali trasfigurandoli dal ruolo “peso” a quello di “ricchezza” sociale, esattamente la posizione che per secoli, se non addirittura millenni, ha occupato la donna stessa. Sempre che non vengano nel frattempo tutte mascolinizzate o che non pretendano loro stesse di “emanciparsi” in quella direzione.



Sassello, lì 09 settembre 2021

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