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Spero non dover chiarire che ritengo la
scalata di Putin al vertice della Russia una sciagura e, sebbene
sia tutt’altra storia, anche su Xi Ping avrei qualcosa da ridire.
Ma quando hanno detto la loro sull’Ucraina ho pensato: menomale
che ci sono.
Perché la cosa più insopportabile che ormai silenziosamente
subiamo è l’arroganza del nostro Occidente nel presentarsi come
il modello ottimale di società e per questo il garante della
democrazia nel mondo, nonostante i disastri seminati in tutto il
Medio Oriente, in Afghanistan, ma anche dalle nostre parti dove
la disuguaglianza cresce ogni giorno di più.
MERAVIGLIA LA MERAVIGLIA di chi si allarma perché Putin ha
schierato tanti carri armati al confine ucraino: e cosa si
aspettavano che facesse uno come lui, cui così è stata regalata
la possibilità di conquistare popolarità nel suo paese – e di
usarla per il peggio – vista la scellerata politica
dell’Occidente nei confronti della Russia? Dopo la caduta del
Muro si sarebbe finalmente potuto dare avvio a un processo
inclusivo, graduale adesione dell’Europa dell’est e
collaborazione con la Russia, europea solo a metà, è vero, ma
difficilmente separabile dal nostro contesto storico-culturale. E
invece si è imboccata la strada opposta, in parte annettendo, in
parte costruendo un lebbrosario dove isolare la Russia.
Di cosa la accusiamo? Di aver ammassato
carri armati ai suoi confini, sempre in terra russa, con
l’Ucraina? Ma gli Stati Uniti, per conto loro o con gli alleati,
non hanno forse riempito da decenni il mondo di centinaia basi
militari e guerre ma a migliaia di chilometri dalle proprie
frontiere?
RICORDO BENE COME fu avviata la politica dell’Unione Europea
quando il Muro cominciò a vacillare, in quegli anni ero a
Bruxelles nell’Europarlamento. A capo dell’ Unione sovietica
c’era finalmente un uomo come Gorbaciov che generosamente offrì
il ritiro delle sue truppe dai territori del Patto di Varsavia in
nome di un superamento della guerra fredda e dunque con l’impegno
che si facesse altrettanto, di non estendere all’est il Patto
Atlantico. In favore di una simile ipotesi c’era un grande
movimento pacifista, il solo grande movimento realmente europeo
che ci sia stato, che lottava per «un’Europa senza missili
dall’Atlantico agli Urali»; c’erano molti leader socialdemocratici
di sinistra alla direzione dei loro rispettivi partiti che
l’appoggiavano (Foot, Palme, Kreiski, Papandreu, molti Spd; in
Italia, ma isolato nel suo stesso partito, Berlinguer). Si
sarebbe potuto tentare un nuovo assetto che seppellisse la guerra
fredda.
E INVECE QUELL’OCCASIONE fu sepolta e siamo oggi difronte a un
rischio molto peggiore. Perché prima c’erano le grandi bombe
atomiche di cui i presidenti avevano le chiavi, ora il nucleare è
diventato componente di munizioni maneggevoli alla portata di
molti, matti o umani che sbagliano. Ricordo quando, nel ’93,
l’Europa, avendo già appiccato con gli americani il fuoco nel
Medio Oriente, passò ufficialmente da Comunità, alla più
impegnativa Unione, e per Costituzione al famigerato Trattato di
Maastricht.
NON ERANO STATE ANCORA rimosse le bandiere disposte a ornamento
della Sala dove si era tenuto il battesimo che uno dei suoi
membri più autorevoli, la Germania, si affrettava a intervenire,
inizialmente da sola poi seguita da tutta l’Unione, nelle vicende
jugoslave riconoscendo, in barba ad ogni norma internazionale in
vigore, l’indipendenza della Croazia che si proclamava tale su
base etnica. Soffiando così sul fuoco che stava divampando con un
ridicolo richiamo persino alla comune appartenenza al cattolico
Impero Austroungarico, comunità storica da contrapporre a slavi e
ortodossi.
Il tutto accompagnato da una campagna di
lusinghe per rendere più infuocata l’ossessione nazionalista e
così smontare l’intrusa Repubblica jugoslava, corposo ingombro
nel rapporto fra est e ovest. E così fin dall’inizio,
l’«allargamento» comandato da Bruxelles, è diventato reclutamento
di chi poteva presentare più similitudini con l’Occidente, nel
bene e anche nel male.
UFFICIALMENTE la lungimirante linea venne lanciata a un summit a
Copenaghen, nel 1999, nuovo Presidente della Commissione Ue
Romano Prodi, appena reduce dalla presidenza del Consiglio
italiano. Una operazione presentata come caritatevole, e a chi,
come la nostra sinistra obiettava, il rimprovero di non esser generosi
e perciò di voler escludere i poveri dell’est dall’accesso alla
bella torta con la panna che l’Ue rappresentava.
Una carità avvelenata: lunghe trattative
preliminari per obbligare i candidati all’ingresso ad ingoiare
tutto quello che era stato stabilito senza di loro nei
quarant’anni precedenti – “l’acquis communautaire” (“il diritto
comunitario acquisito”) – in buona sostanza le regole del libero
mercato: la privatizzazione di banche, servizi pubblici, libera
competitività e il libero scambio e dunque l’esposizione alla
libera concorrenza internazionale, abbinata alla proibizione di
sostegni statali alle aziende. Più o meno come in Africa: ottimo
per una nuova borghesia compradora, ulteriore miseria per i più
poveri (è bene guardare i dati completi, per capire cosa questo
regalo ha prodotto).
IL VELENO PIÙ MORTALE è stato tuttavia quello le cui possibili
nefaste conseguenze si vedono oggi: nell’“acquis communautaire”,
mai ufficialmente validato da un atto formale, c’è di fatto la
Nato, la libertà, dunque, di piantare missili nucleari ovunque
arrivino le frontiere dell’Unione. Fin sotto il naso della
Russia. Con che faccia possiamo protestare per la Crimea quando
abbiamo riconosciuta una dopo l’altra l’indipendenza di tutte le
nazioni della federazione Jugoslava, nonostante l’accordo
postbellico di non toccare i confini di nessuno stato senza un
negoziato fra tutte le parti?
Perché mai adesso non riconosciamo
uguale diritto alla Russia che ha almeno qualche ragione in più
per appoggiare la scelta della grande maggioranza degli abitanti
della Crimea, russa da secoli e poi, per un gesto di cui nessuno
poteva allora valutare il peso, regalata all’Ucraina, allora
federata, dall’ucraino Krusciov e che oggi, con un voto al 95 %,
è tornata ad essere parte del paese cui è appartenuta per secoli?
NEL 1947 HENRY WALLACE, ministro e ex vice del presidente
Roosvelt, disse in un grande raduno popolare a New York che
bisognava condividere con l’Urss i segreti nucleari e garantire
ai suoi confini, in qualche modo come la dottrina Monroe di cui
godevano gli Stati Uniti: fu estromesso dalla sua carica entro 12
ore. E 15 anni dopo, in nome di quella dottrina, rischiammo la
guerra perché la piccola Cuba, concretamente minacciata come
sappiamo, per via di quattro missili impiantati a sua difesa
veniva ridicolmente accusata di voler attentare all’impero
americano, un azzardo per il quale da più di 60 anni paga il
prezzo altissimo delle sanzioni.
PURTROPPO L’EUROPA unita non è nata a Ventotene, ma a Washington:
il primo voto in suo favore non fu di un Parlamento europeo, ma
del Congresso americano, il 10 marzo 1947, su proposta di John
Foster Dallas, Segretario di Stato e fratello di Alan, potente
capo della Cia. La guerra fredda era appena cominciata e
l’Occidente aveva bisogno di garantirsi una forza politicamente e
militarmente unita lungo la Cortina di Ferro. Quell’impronta è
rimasta sempre, e la nostra battaglia è recuperare l’ispirazione
dei prigionieri antifascisti che mentre la guerra ancora
infuriava avevano disegnato tutt’altro progetto.
Dio mio che fatica continuare ad essere
europeisti! Se insistiamo è solo perché l’idea di affidarsi al
proprio Stato nazionale sarebbe infinitamente peggio.
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