IL COMMENTO di Luigi Pandolfi

 


 

Il commento della settimana

Luigi Pandolfi

La guerra va avanti e il rischio che la situazione sfugga di mano è sempre dietro l’angolo. In un articolo apparso qualche giorno fa sul quotidiano La Stampa, Lucio Caracciolo fotografava bene la situazione: la sproporzione di forze tra russi e ucraini è tale che una sconfitta dei primi può avvenire solo con l’ingresso diretto delle forze Nato nel conflitto.

Nel frattempo, mentre i cannoni tuonano, l’economia mondiale accelera la sua transizione. Alla guerra guerreggiata, di eserciti, missili e carri armati, si accompagna, strisciante ma non troppo, un guerra economica che coinvolge ben altri attori, oltre quelli direttamente o indirettamente impegnati nel confronto militare che da quasi un anno si consuma – e consuma vita umane – sul suolo ucraino.

Le stesse sanzioni, in questo quadro, rappresentano un grimaldello per scardinare vecchi assetti economici su scala globale. Energia, materie prime, commercio, bilance commerciali, debiti e valute. Kiev brucia e il mondo cambia.

Da un lato la più grande potenza economica e militare del mondo, gli Usa, che avvertono la minaccia di un indebolimento della loro posizione dominante nelle dinamiche del potere globale, dall’altra i nuovi colossi orientali (Cina, India, la stessa Russia) che vedono nell’ordine unipolare odierno un limite alle proprie possibilità di crescita e di espansione commerciale.

In mezzo, l’Europa, sempre più vaso di coccio tra vasi di ferro. Si pensi alla questione del gas. Gli Usa sono riusciti ad imporre il taglio del cordone ombelicale che legava la manifattura europea alle fonti energetiche russe. Un obiettivo a lungo agognato. Per punire Putin? Anche. Ma soprattutto per vendere il proprio gas liquido. Un grande affare, ma non per l’Europa.

Il Gnl americano costa il 50% in più di quello siberiano: facile immaginare le conseguenze per la competitività delle merci prodotte nel Vecchio Continente, che, come se non bastasse, patiscono anche il dumping delle produzioni d’oltreoceano, adesso sostenute da lauti sussidi del governo. Stati Uniti sempre più leader mondiali nell’esportazione di gas liquefatto, insomma.

E non è solo una questione commerciale. Ci sono due aspetti che bisogna tener presenti. Il primo è che Washington intende consolidare le proprie sfere d’influenza anche attraverso la dipendenza energetica dei paesi «alleati». Il secondo ha a che fare con l’esposizione debitoria degli Usa col resto del mondo e con i saldi della propria bilancia commerciale.

Finora gli Stati Uniti, indebitandosi con l’estero, hanno garantito quella che gli economisti chiamano «domanda di ultima istanza» nel commercio mondiale. Bilancia commerciale in rosso, compensata dalla supremazia del dollaro negli scambi internazionali. È così da decenni, dalla fine degli accordi di Bretton Woods (1971).

Ora però nel sistema si sente qualche scricchiolio. Cina e Russia è da tempo che lavorano per scalfire l’egemonia del biglietto verde. Provano ad imporre le proprie valute negli scambi commerciali, pensano ad una nuova moneta transnazionale, magari ancorata ai beni energetici. Ci vorrà del tempo. Ma a Washington sono convinti che il momento di migliorare la propria posizione con l’estero sia già arrivato. I numeri, d’altronde, sono allarmanti.

Alla fine del 2021, i loro debiti col resto del mondo ammontavano a 18mila miliardi di dollari. Una cifra da capogiro, alla quale faceva da contraltare un attivo di 4.100 miliardi vantato dalla Cina (l’attivo della Russia era di 596 miliardi di dollari).

Creditori da un lato, debitori dall’altro. Gli uni contro gli altri armati. E la guerra, quella vera, che per gli Usa, fin da subito, si è rivelata un’occasione d’oro, oltre che per indebolire i propri nemici, per riequilibrare i propri conti. Gas, armi e sussidi alle imprese. Esportare di più, importare di meno.

Un radicale cambio di paradigma, che già sta dando i suoi risultati. A dicembre, deficit commerciale giù del 15,6%. C’entrano molto l’esportazione di Gnl (400 milioni di metri cubi al giorno nel 2022, un aumento del 70% rispetto all’anno precedente) e i profitti del complesso militare-industriale.

Siamo solo all’inizio. È la fine della globalizzazione, per come l’abbiamo intesa fino ad ora? Andiamo verso una compartimentazione del mercato globale, ovvero verso un equilibrio permanente di guerra? Difficile prevedere con esattezza come andrà a finire. Di certo c’è solo che quella in Ucraina non è solo una contesa per ridefinire i confini tra due stati nello spazio post-sovietico.


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