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Come stai? Tutto bene!
Ragione e sentimento :
“Dottore, devo liberarmi di questa sensazione, voglio smettere di stare male!"
Dott.ssa Massobrio Dott.ssa ZargaremozioniPsicologia
https://psiche.org/articoli/come-stai-tutto-bene/
Le emozioni fanno soffrire, sono turbolente e a volte mal tollerabili. È vero!
Siamo sicuri, però, che cancellando le emozioni negative dalla nostra vita potremmo finalmente arrivare a stare bene?
Proviamo a pensarci.
Senza le vostre emozioni sapreste con facilità che cosa vi piace? Sapreste che è l’aggressività del vostro capo che vi porta a cercare un altro lavoro? O che il vostro partner trascurandovi vi provoca una ferita?
In un mondo senza emozioni ci troveremmo disorientati e, sicuramente, molto più in difficoltà nel cercare di capire che cosa ci succede.
Capita spesso, nella pratica clinica dello psicologo, di incontrare persone che lamentano difficoltà emotive: vorrebbero fare sparire l’ansia che le blocca, la tristezza che le spegne, la rabbia che le logora e così via.
La richiesta è sicuramente comprensibile.
Dinanzi alla sofferenza, che sia fisica o psicologica, la tendenza naturale e più immediata è quella di fuggire.
Assecondare questo desiderio di fuga e tentare di trovare un escamotage per non provare più l’emozione scomoda e andare avanti alla svelta, però, sarebbe la maggior parte delle volte un errore.
Le nostre emozioni, infatti, sono fondamentali e ci dicono tanto su chi siamo, cosa vogliamo, cosa ci fa stare bene e cosa no. Se le escludessimo dalla nostra vita per dare spazio soltanto alla logica della ragione perderemmo tanto di noi stessi, perderemmo la possibilità di conoscerci e comprenderci profondamente.
Proprio per questo motivo le emozioni sono centrali in psicologia, permettono di accedere all’intimità della persona, alla sua vera struttura al di là di ogni apparenza.
Nello studio dello psicologo, quindi, si parla tanto di come la persona si sente e si cerca di arrivare al perché tante volte non sta bene, alla motivazione, per poi mirare al ristabilire un equilibrio più accettabile e sicuramente meno sofferente.
Ma quindi a cosa servono le emozioni?
Charles Darwin il famoso naturalista de “L’origine delle specie” aveva già intuito nel corso dei propri studi del 1800 che le emozioni hanno una funzione cruciale e adattiva per l’essere umano.
Egli si era impegnato a osservare più e più volte i movimenti dei muscoli facciali dell’uomo nel tentativo di comprendere e stabilire se tale mimica, in seguito all’emozione, fosse elicitata da fattori innati o appresi. Nel corso di queste osservazioni, però, era arrivato a convincersi che l’espressione emotiva riuscisse a comunicare dei contenuti e facilitasse, allora, la relazione sociale con gli altri membri della specie (Ekman P., 2012).
Un importantissimo psicologo studioso delle emozioni, Paul Ekman, ha successivamente ripreso in esame gli studi di Darwin ed elaborato la propria teoria neuroculturale andando a confermare l’universalità dell’espressione emotiva delle emozioni primarie e anche la loro funzione comunicativa e adattiva (Ekman P., 1971).
Anche Reev, poi, un altro studioso del settore, ha approfondito gli aspetti legati alla motivazione e alla funzione dell’emozione attribuendo proprio alle emozioni una triplice funzione: adattativa, motivazionale e comunicativa/sociale (Reeve 2018).
Le nostre emozioni, quindi, sono essenziali e irrinunciabili. Sono la nostra bussola esistenziale in una realtà piena di variabili che è difficile valutare sempre con accuratezza.
Di tanto in tanto può succedere a chiunque, magari in situazioni concitate o momentaneamente troppo pesanti, di non riuscire a orientarsi all’interno di sé e non capire bene ciò che si prova.
La difficoltà è dettata da un evento in particolare, dalla fretta, da necessità non posticipabili…
Quando succede sistematicamente, però, le cose si complicano notevolmente per la persona: si trova a dover escogitare strategie alternative per comprendere ciò che le accade e agire di conseguenza.
Nel caso di una difficoltà costante, appunto, si può parlare in termini clinici di alessitimia.
Cos’è l’alessitimia?
Partendo dalle origini possiamo dire che il termine alessitimia è stato usato per la prima volta da Peter Sifneos per descrivere una difficoltà nell’identificare e descrivere i sentimenti (Sifneos, 2000). Tale difficoltà riguarda, appunto, sia l’elaborazione interna e la conseguente capacità di rilevare e comprendere i propri stati emotivi a livello cosciente che la loro verbalizzazione.
Sicuramente la pratica clinica e la ricerca scientifica concordano nel rilevare con frequenza un’associazione tra disturbi psichiatrici e alessitimia. Le spiegazioni in merito a questo fenomeno, la natura dell’interazione e la possibile influenza sui trattamenti terapeutici rimangono, però, molto controverse.
Uno studio condotto dall’università degli studi di Bologna, per esempio, individua come la presenza di alessitimia associata a tratti dipendenti di personalità possa influenzare negativamente la risposta al trattamento della sintomatologia ansiosa in modo significativo e possa creare degli effetti negativi anche sul trattamento della sintomatologia depressiva seppur, in quest’ultimo caso, in modo non significativo. Lo studio individua la possibilità che l’alessitimia possa essere un fattore di tratto in grado di interagire con altri tratti di personalità e in grado di modulare l’effetto dei trattamenti (Mori et al., 2012). Ciò rivela come potenzialmente questa condizione possa, in molti casi, fare la differenza.
Il concetto di alessitimia, però, spesso sfuma e si sovrappone ad altri tipi di deficit quali la disregolazione delle emozioni e il deficit nel riconoscimento delle emozioni altrui.
Nonostante questa sovrapposizione però ci si può riferire all’alessitimia come ad una condizione specifica o più probabilmente potrebbe collocarsi come un punto lungo uno spettro di disturbi emotivi (Pandey R. et al.).
Sicuramente non è in nessun caso facile entrare in contatto con le proprie emozioni, soprattutto quando sono percepite come sgradevoli e disturbanti.
E’ questione, come spesso accade, di pazienza, allenamento ed amore, perché è assolutamente possibile imparare a individuare e definire ciò che accade in noi e diventare sempre più abili nel prestarci attenzione.
Si può iniziare fin da subito.
Voi come state?
Prendetevi il tempo che vi serve per rispondere.
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Bibliografia
-Ekman, P. (a cura di), L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali. Edizione definitiva, tradotto da F. Bianchi Bandinelli e I. C. Blum, Universale Bollati Boringhieri-S. scient., 3ª ed., Torino, Bollati Boringhieri, 2012, ISBN 978-88-33-92296-6.
-Ekman, P. (1971). Universals and cultural differences in facial expressions of emotion. In Nebraska symposium on motivation. University of Nebraska Press.
-Mori E., Drago A., De Ronchi D., Serretti A. (2012); Alessitimia, personalità e outcome: uno studio naturalistico in pazienti con depressione maggiore e disturbi d’ansia; Journal of Psycopathology;18:138-144.
-Pandey R., Saxena P.,Dubey A., Emotion regulation difficulties in alexithymia and mental health; Europe’s Journal of Psychology, 7(4), pp. 604-623.
– Johnmarshall Reeve J (2018); Understanding motivation and emotion; John Wiley & Sons.
– Sifneof P. E. (2000); Alexithymia, Clinical Issues, Politics and Crime; Psychotherapy and Psychosomatics; vol. 69, No. 3; pp. 113-116.
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Zarina ZargarPsicologa clinica (iscr. 11466-A) e psicoterapeuta in formazione. Con diverse esperienze formative e lavorative alle spalle, la Psicologia è indiscutibilmente la mia passione. Amo approfondire i più disparati ambiti psicologici e credo che da ogni esperienza si possa imparare qualcosa. Quest'ultimo è il concetto fondamentale che mi guida nella stesura dei miei scritti: siamo esseri umani incredibili, capaci di modificarci ogni giorno. Anche un piccolo spunto oggi può portarci a intraprendere nuove strade un domani!
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