L'ALBERO DELL'INDIPENDENZA DI SABBIA di Mauro Armanino
L’ albero dell’indipendenza di sabbia
Era il 3 agosto del 1960, l’anno delle indipendenze di una
buona parte dei Paesi dell’Africa subsahariana, che il Niger proclamò la sua
indipendenza dalla ‘protezione’ coloniale francese. La proclamazione della
repubblica autonoma in seno della Comunità Francofona fu il 18 dicembre del 1958.
Per la circostanza, si è affermata
l’usanza di piantare un albero, l’albero dell’Indipendenza. La celebrazione
della festa dell’Indipendenza e quella degli alberi si congiungono come per
dare radici alle promesse di cui questo avvenimento era fautore. Il Niger si
era aggiunto ai Paesi africani che avevano già dichiarato l’Indipendenza. La
nostra è appesa ad un albero piantato il giorno dell’ Indipendenza di sabbia.
Di questo, senz’altro senza immaginarlo, parlava, nel
discorso ufficiale il giorno dell’Indipendenza, il primo presidente del paese,
Diori Hamani, il 3 agosto del 1960…’In
questo importante momento della nostra storia, c’è un sentimento di profonda
fierezza che riempie il cuore degli uomini e delle donne del Niger. Affermo che
questa fierezza è legittima, perché affonda
le sue radici nella sacra dignità della persona umana, nel suo bisogno di
liberà e nel suo desiderio di pace e di fraternità’… Proprio per questo, in
seguito, si è cominciato a piantare l’albero, perché l’Indipendenza prendesse radici
e, forse un giorno, portare quei frutti che all’inizio solo si potevano
immaginare. Un albero piantato nella sabbia e il vento del Sahel.
Nell’anno in questione, nel mese di gennaio, aveva
cominciato la danza delle indipendenze il Camerun a cui era seguito il Togo, il
Madagascar e la RDC in giugno. La Somalia a luglio e poi il folto gruppo di
Paesi in agosto. Il Benin, il Niger, Il Burkina Faso, La Costa d’Avorio, il
Ciad, il Centrafrica, il Congo- Brazzaville, il Gabon e il Senegal, tutti in
agosto. Il Mali in settembre, la Nigeria in ottobre e infine La Mauritania nel
mese di novembre del 1960. La tradizione dell’albero voluta dal secondo
presidente del paese, l’ufficiale Seyni Kountché, autore del primo colpo di
stato militare. Piantare alberi per radicare la democrazia dopo la presa di
potere nel 1974. L’anno seguente avrebbe istituito la festa dell’albero, il
giorno dell’indipendenza.
Eppure, nella nostra vita, tutto parla e grida ‘dipendenza’.
Cosa saremmo senza l’altro e io sono perché siamo, dice la socialità africana.
L’indipendenza è ciò per cui si lotta e perfino si dà la vita e poi non è che
una fitta rete di dipendenze che arriva. L’economia, la politica, la religione,
l’amicizia, il matrimonio, il lavoro e quanto costituisce la vita non è che una
serie indefinita di dipendenze. Gli aiuti, i giochi olimpici, gli orari dei
voli e dei treni, le onde del mare e il transito dei migranti nel deserto coi ‘passeurs’,
sono solo dipendenze appena mascherate dalla finta autosufficienza. Ecco perché
hanno scelto di piantare gli alberi per la festa nazionale. Solo per imparare a
dipendere dalla terra con le radici e aggrapparsi all’altro coi rami.
Vivere significa scegliere da chi dipendere. Ci sono legami
che liberano e altri che rendono schiavi. Trent’anni fa, nel mese di luglio del
1991 iniziava a Niamey, la capitale, la Conferenza Nazionale Sovrana con le
forze vive della nazione. Dopo i primi decenni di stanca democrazia tradita si
trattava di contribuire a rifondare su basi consensuali e partecipative una
società aperta, libera e portatrice di dignità per tutti. La Conferenza citata
era stato un sussulto di novità che
aveva scritto sulla sabbia che un altro Niger era possibile. Dopo trent’anni si
è passati ad altre esperienze politiche per arrivare all’attuale ‘rinascimento’
nigerino che non può essere visto come erede della Conferenza. La dipendenza
dal denaro rende schiavi.
Martedì pianteremo altri alberi nel Paese che celebra l’indipendenza per rincorrere le frontiere che l’Europa ha comprato e che i trafficanti usano a piacimento per arricchirsi. Pianteremo alberi mentre continuano a massacrare i contadini che hanno il torto di coltivare la terra e di rimanere attaccati alla loro terra. Metteremo altri alberi come una diga contro le prossime invasioni coloniali e uniremo i rami per formare la sola eredità che vorremmo lasciare ai nostri figli. Ci ostiniamo a chiamarla libertà.
Mauro Armanino, Niamey, 1 agosto 2021
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