PALLONCINO CHE VOLA VIA di Chiara Macina
Sono piccola e felice, agghindata a festa con un vestito a fiori, con le maniche a sbuffo e un po’ stretto in vita, la gonna arricciata, ai piedi calzo delle ballerine bianche con la stringa alla caviglia, e non le scarpe ortopediche con la punta di acciaio che mi fanno tanto male e che indosso ogni giorno, lo devo fare ho i piedi piatti e la mamma dice che non c’è altro modo di correggere questo difetto, sono a una festa di paese nell’aria c’è profumo di zucchero filato e salsiccia, quella usata per imbottire i cassoni che a questo genere di eventi non mancano mai, sento un odore di cipolla soffritta, intorno a me l’eco di una musica flok, una piccola orchestra romagnola si sta esibendo, alcuni signori ballano il valzer, altri partecipano alla pesca o alla tombola, sono vestiti a festa, tutti ridono e sono felici.
Lo sono anche io, ho strappato ai miei genitori una promessa, un regalo: hanno acquistato per me un palloncino riempito con l’elio, a forma di cane, il venditore me lo ha assicurato al polso con un nodino e io attraverso la piazza con il mio tesoro al polso.
Qualcosa non deve essere andato per il verso giusto, in una frazione di secondo vedo il mio palloncino in aria, forse non era assicurato molto saldamente, non riesco ad afferrarlo continua la sua salita verso al cielo, lo posso solo guardare mentre si allontana da me, penso si stia avvicinando alle nuvole.
Piango, lacrime calde e salate rigano il mio volto, come sempre le lecco per farmi coraggio, intorno a me gli adulti ridono, questa perdita non deve sembrare loro troppo grave, la festa continua, io continuo a guardare in su, mi sento triste e impotente.
Provo la stessa sensazione ancora oggi quando perdo una persona cara e non riesco a capirne il motivo, quando continuo a rivolgermi la stessa inutile domanda “che cosa ho fatto di sbagliato per perderla?”, in che momento il filo che ci univa ha cominciato ad assottigliarsi sino a farla volare via? Non ho mai coscienza di questo passaggio sono solo testimone dell’atto finale: la dipartita.
La dipartita: a volte la impongo, altre la subisco, non cambia il dolore che provo.
Le perdite più dolorose della mia vita hanno sempre avuto per protagonisti i miei familiari, andati via a seguito di una malattia oppure di un’incomprensione mai chiarita e che è finita per diventare un macigno, un muro divisorio di cemento armato.
Qualche anno fa una bambina raccontandomi come aveva trascorso la domenica mi ha detto che era triste perché il suo palloncino le era volato via ma che poi la mamma le aveva detto “E’ andato a rendere felice qualche bimbo in cielo a tenergli compagnia” e lei a questo pensiero si è subito molto rasserenata.
Forse dovremmo imparare dai bambini…chi se ne va ci lascia per rallegrare qualcun altro nell’incessante corso della vita e dovremmo solo imparare a lasciare andare, anche perché a volte “lasciare andare fa meno male che trattenere”.
Perdere la paura di perdere
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