Il
commento della settimana
Gaetano
Azzariti
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Nel
dibattito parlamentare sulla guerra in Ucraina la Costituzione è stata
rimossa. Mai richiamata né nell’intervento del presidente del Consiglio, né
nella risoluzione approvata con il concorso di maggioranza e opposizione. In
fondo può comprendersi.
Non è facile coniugare lo scontro armato con il diritto, la guerra assieme al
suo «ripudio». Ben presente invece la Nato, richiamata nel discorso rivolto
alle Camere per ben sei volte. C’è allora da chiedersi se, in caso di guerra,
i principi costituzionali debbano essere sostituiti con i vincoli
internazionali. Domanda per nulla peregrina poiché è evidente che la crisi
Ucraina ha una sua determinante dimensione globale e la soluzione deve essere
ricercata coinvolgendo il diritto internazionale più che quello nazionale.
Ciò non toglie però che il comportamento del nostro Governo, anche sul piano
dei rapporti con gli altri Stati e nelle organizzazioni cui è parte, deve
essere indirizzato dalla sua legge suprema.
D’altronde la nostra Costituzione fornisce precise indicazioni. Non tanto
nelle disposizioni che prevedono il «sacro dovere di difesa della Patria»
(art. 52) e dunque la legittimità della guerra difensiva (secondo quanto
specificato negli articoli 78, 60 e 87), quanto nel sempre richiamato, ma
poco meditato, articolo 11 della Costituzione. È questa una disposizione più
articolata e meno «arresa» di quanto non si dica solitamente.
Infatti, non solo si enuncia il principio pacifista del «ripudio della guerra
come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali», ma si indica con chiarezza in
che modo si deve assicurare quest’obiettivo. In assoluta continuità
concettuale, stilistica e sostanziale (l’articolo non è distinto in commi,
bensì composto da un’unica frase separata da punti e virgola) si richiamano
le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia
tra le Nazioni. Nei confronti di queste, in condizioni di parità, sono
ammesse limitazioni di sovranità; richiedendosi altresì che esse siano
promosse e favorite. Il richiamo all’Onu è del tutto esplicito (anche
storicamente fondato, basta leggere gli atti dell’Assemblea costituente).
Non può invece farsi risalire a questa disposizione né la nostra adesione
alla Nato, né i vincoli di natura militare che comporta. Il che non vuol dire
che sia «incostituzionale» l’adesione al patto atlantico (almeno fin tanto
che si presenta come organizzazione di «difesa» dei Paesi aderenti), ma
semplicemente che non è questa l’organizzazione idonea a conseguire
l’obiettivo supremo della pace e la giustizia tra le Nazioni. Non è neppure
difficile comprendere perché sia necessario affidarsi ad organizzazioni che
perseguono la pace come obiettivo e non la difesa armata come strategia. In
Ucraina, in questo momento, se vuoi la pace devi far cessare il confronto
militare, non solo quello armato che sta producendo gli orrori della guerra,
ma anche quello tra le potenze e gli Stati che si armano per continuare lo
scontro, magari in altre forme.
È il tempo dei «costruttori di pace», ovvero di soggetti che in piena
autonomia possano operare come mediatori tra le parti in lotta.
Organizzazioni terze, non perché prive di giudizio – è chiaro in questo caso
chi siano gli aggressori e chi le vittime – ma perché estranee al conflitto.
Per poter svolgere la funzione di mediazione necessaria, infatti, non si può
al tempo stesso partecipare alla guerra.
Sono note le enormi difficoltà in cui si trova ad operare oggi l’Onu. Ma, nel
rispetto del principio pacifista della nostra Costituzione, ci si può
arrendere e piegare alle logiche di potenza che stanno prevalendo, alla
cultura del riarmo come strumento di difesa, all’orribile latinetto «si vis
pacem, para bellum»? Ma veramente si pensa di poter fermare l’esercito di
Putin contrapponendogli le vittime civili e armando agli aggrediti?
Non voltarsi dall’altra parte oggi vuol dire dirsi disponibili a mediare,
chiedere a gran voce – l’intera comunità internazionale – una conferenza
internazionale per affrontare la questione Ucraina, disposti a riconsiderare
i rapporti geopolitici che ci hanno condotto alla soglia della distruzione
dell’intera umanità. Una soglia che varcheremo se dovessero concretizzarsi le
minacce nucleari, che vengono ormai cinicamente prospettate, con incredibile
superficialità, dai vari leader del mondo.
Una domanda prima di ogni altra dovremmo a questo punto con urgenza e
realisticamente porci: se non può essere l’Onu l’organizzazione
internazionale in grado di «salvare le future generazioni dal flagello della
guerra», riaffermando «la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella
dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli
uomini e delle donne e delle nazioni grande e piccole» (così è scritto nel
preambolo dello Statuto delle Nazioni Unite), chi altri? Seguendo la via
maestra della nostra Costituzione – oltre che il nostro senso dell’umano –
qualunque organizzazione internazionale rivolta a tali scopi. Un ruolo non
indifferente possono esercitare le organizzazioni sociali non governative, le
chiese e i partiti che credono che per costruire la pace non bisogna
prepararsi alla guerra.
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