UN ULIVO DI SPERANZA di Paolo D'Arpini
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Quanti millenni ci son voluti per passare dall’olivastro, la pianta selvatica originaria, e giungere sino all’olivo, ricco di frutti gonfi di liquido benefico? Forse se l’Italia non fosse stata ricca di olio, vino e farro non sarebbe mai sorta la civiltà latina e Roma non avrebbe mai illuminato il resto del Mediterraneo con la sua luce di civiltà.
Noi siamo tutti debitori alla cultura/coltura dell’olivo, simbolo di ogni bene. Basti pensare alle parabole di Cristo e prima di lui ai riti dell’antica mitologia pagana in cui l’olio e l’unzione erano il simbolo di guarigione spirituale e di consacrazione regale. “Unto” era un titolo ambito e denotante nobiltà in tutti i sensi… Non come oggi che si pensa subito all’unto, sporco e sgradevole, appiccicatosi sugli abiti e da lavare al più presto con il detersivo… dal profumo chimico, non certo come il sapone naturale, poiché il sapone “vero” è fatto appunto con l’olio d’oliva!
Ma andiamo per ordine…
La raccolta delle olive a Treia
A partire da settembre sino a dicembre era tutto un andirivieni di trattori e carri… prima l’uva ed infine il Re olio, che garantiva la sopravvivenza familiare per tutto l’anno. Ma erano ancora i vigneti che venivano curati e corteggiati e soprattutto gli oliveti, le vere sedi della ricchezza e della sicurezza alimentare.
Ed anche negli orti urbani non era raro vedere tralci di vite ed olivi, e di questi ultimi ancora molti ve ne sono soprattutto nel terreno precedentemente adibito a coltivazioni sperimentali dall'Accademia Georgica. Pure nell'orticello di Caterina, in via Sacchette, vi sono 4 piante di olive di San Francesco, ottime da fare in salamoia o sotto sale.
Quanti racconti ho ascoltato da vecchi treiesi che ricordavano le bevute di "acquaticcio" e poi di vino novello… e quanti assaggi di olio… da sorbire con il cucchiaio prima di bere il vino, in modo da creare una patina oleosa nello stomaco e non ubriacarsi ai primi bicchieri…
Quelle erano le giornate più belle dell’anno. Bei tempi! Che io sappia l'unica famiglia che ancora si fa il vino in casa è quella dei Fratini (per intenderci la famiglia di Don Vittorio, di Dumì e di Italia e suo marito)
Ma oggi a Treia… son rimasti solo anziani, e pian piano con la vecchiaia incipiente sempre più sento dire “Oh quest’anno le olive sono poche e brutte e malate, non le ho nemmeno raccolte…” – “Oh, la vigna l’ho tagliata, non c’era più nessuno che se ne prendesse cura…”… Persino gli alveari che sino a vent’anni fa erano il modo più facile per ricavare un dolce frutto, senza molta fatica, sono stati dismessi..
Quanti anni ancora ci restano prima della definitiva fine di questo mondo? E Poi?
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