IL RITORNO DELLA GUERRA IN EUROPA

 



Il commento della settimana


Tommaso Di Francesco









Scrivo come una persona che le guerre le ha viste e raccontate insieme al patire dei civili straziati sotto le bombe. E che per questo è contro ogni guerra.

Così vedo in una sequenza temporale unica insieme all’elenco criminale delle stragi sanguinose in corso in questi giorni in Ucraina ad opera dei bombardamenti russi a Mariupol, Irpin, Kharkiv, anche la memoria testimoniata dei tanti «effetti collaterali» dei bombardamenti della Nato nel 1999 sull’ex Jugoslavia – Surdulica e Grdelica, strage di bambini la prima e di viaggiatori di un treno la seconda – , e quelle delle vittime civili dell’ospedale afghano di Medici Senza Frontiere a Kunduz colpito dai raid della Nato nell’ottobre 2015.

E proprio sotto l’effetto della tragedia delle donne e dei bambini dell’ospedale di Mariupol bersaglio delle bombe di Putin, mi interrogo rispetto alla scelta scellerata dell’Europa che, ringraziando Putin, riarma e su questo si ricompatta sotto l’egida della Germania che assegna 100 miliardi di spese militari alla Bundeswehr – una svolta preoccupante all’indietro di 360 gradi della Storia europea -, e poi decide, Italia compresa, di inviare armi in sostegno a Kiev.

Ma così si pensa davvero di fermare la guerra in Ucraina? Ce ne sono forse poche di armi in Ucraina? Oppure è vero il contrario che, nei tre mesi dell’ammassamento di truppe russe alla frontiera, ogni paese occidentale – Gran Bretagna in primis – ha inviato tonnellate di armi e istruttori a quel paese.

Forse che sono pochi i foreign fighters in quella crisi che ne ha visti a migliaia combattere dal 2014, l’inizio del conflitto, visto che si esaltano ora «i combattenti internazionali»? È vero esattamente il contrario. Come è tragicamente vero che più armi servono solo ad allargare il conflitto: il paese che le invia diventa cobelligerante agli occhi del nemico o no? E peggio, servono a rendere questa guerra endemica, un Afghanistan nel cuore d’Europa, un altro Afghanistan dove l’invio di armi è servito a cacciare nel 1989 i sovietici, poi l’invio di armi ha sostenuto i mujaheddin, poi ha aiutato i talebani, ai quali abbiamo fatto guerra con una occupazione militare di 20 anni per restituire il potere nelle mani dei nemici. Che ha risolto quella guerra da noi scientemente alimentato se non a riempire di strumenti di morte gli arsenali dell’integralismo islamico, come in Siria?

E se siamo tutti impegnati nell’accoglienza dei profughi e perché i civili possano fuggire con i corridoi umanitari, argomento vitale di ambigue trattative tra russi invasori ed ucraini, che cosa produrrà nei confronti dei civili in fuga, l’esistenza parallela di “corridoi per le armi” che diventeranno obiettivi militari da colpire?

Tanto per essere chiari: le armi italiane e di altri Paesi saranno allocate – se già non lo sono – in Polonia e poi ci saranno “corridoi” per andare a prenderli e consegnarli a quali paramilitari? Saranno o no occasione di nuove battaglie in un territorio che a quel punto non sarà solo l’Ucraina?

Inviamo armi per la resistenza degli ucraini, ma quali? Perché l’arma più efficace sarebbe quella aerea, nelle due opzioni: la no-fly zone, corridoi aerei di interdizione ai jet nemici, quelli russi, e invio di caccia militari sempre alla Polonia da inviare (come?) in Germania e poi in Ucraina sul fronte di guerra.

Zelensky ad ogni pié sospinto lo chiede, ma è la stessa la Casa bianca a dire no, spiegando che la decisione porterebbe ad un confronto militare diretto con la Russia.

In buona sostanza solo una soluzione negoziata del conflitto in corso, con un ruolo dell’Ue non appiattita alla Nato e delle scomparse Nazioni unite, potrà fermare la guerra. E invece nuove armi – vere non simboliche – inviate tanto per costruire il martirio altrui che ci salvi dai nostri sensi di colpa, responsabilità e colpevole ignoranza di questa crisi durata 8 anni di guerra civile, allargheranno la guerra al punto che «non sarà possibile più nessun compromesso» scrive sul New York Times Thomas Friedman.

Perché c’è una domanda, la più importante, che aleggia nell’aria: come mai le belle promesse di tenere la guerra lontana dall’Europa, «mai più la guerra», promesse sono rimaste avendo l’Europa delegato la propria sicurezza e politica estera a Washington e alla Nato? C’è davanti ai nostri occhi lo spettro sempre più evidente della Terza guerra mondiale, tutta insieme non più a pezzi come denunciava inascoltato papa Francesco.

Questa va impedita, non è un ricatto è il baratro nel quale ci siamo inseriti. Ma dichiarare questa verità è “pacifismo cinico”? Rispetto per tutti, ma attenzione a non indossare l’elmetto invece di comprendere la tragedia che stiamo vivendo, come fanno in Europa solo Podemos, Syriza, Linke in piazza come noi contro l’aggressione di Putin.

E poi basta con il doppio standard: perché gli Stati occidentali non inviano allora armi anche ai palestinesi, ai kurdi, agli yemeniti – popoli abbandonati come paria -, oppure è impossibile perché magari è proprio l’Occidente ad essere l’aggressore o a sostenere gli aggressori?

E Il Vietnam? Il Vietnam vinse perché aspirava ad una sua rivoluzione e a riunificare legittimamente un Paese insidiato da una divisione artificiale sostenuta dagli Usa invasori. Una memoria personale.

Quando i vietnamiti impegnati nelle trattative di pace di Parigi passarono per Roma per parlare con il Pci, chiesero di incontrare Aldo Natoli che nel frattempo era stato radiato con il gruppo del Manifesto. L’incontro ci fu e a conclusione ricordo le parole di Aldo: i vietnamiti non voglio armi, né combattenti, vogliono che intensifichiamo le manifestazioni per la pace perché la guerra deve finire altrimenti non fanno più la loro rivoluzione…E quelle manifestazioni, quella potenza mondiale di milioni di giovani in tutte le piazze del mondo – credo che sia nata allora – pesò sui destini della guerra molto più di ogni invio di armi.

Ultimo interrogativo. Ma che farebbe in queste ore Gino Strada, strumentalizzato spesso come un santino ma poi dimenticato, non un pacifista a chiacchiere ma un uomo che per tutta la vita è stato “contro la guerra” – così amava definirsi – non dal divano di casa ma lì dove la guerra distrugge le vite degli esseri umani: invierebbe e porterebbe ospedali da campo e aiuti sanitari e umanitari, oppure chiederebbe all’Italia di inviare mitra, sistemi antiaereo e proiettili anticarro?

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