LA PARITA' DEVE PARTIRE DAL TEMPO da inGenere
La parità deve
partire dal tempo
Tra gli obiettivi della Strategia nazionale di genere presentata dal governo per il 2021-2026 c'è anche il dominio del tempo. E i dati dell'ultimo Gender Equality Index ci confermano che le donne ne hanno troppo poco per sé
Tra gli obiettivi della Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, oltre a lavoro, reddito, competenze e potere, c'è il dominio del tempo. Un aspetto quantomai cruciale per la parità di genere nel nostro paese, che in questo articolo commenterò alla luce della pubblicazione del nuovo rapporto dell'Istituto europeo per la gender equality (Eige) sul Gender Equality Index, rilasciato lo scorso 28 ottobre, in uno sconcertante silenzio della stampa nazionale.
Come è noto, in Italia la ripartizione del tempo dedicato a cura e lavori domestici è significativamente sbilanciato tra i sessi, con l’81% di donne che vi si dedica tutti i giorni contro il 20% degli uomini (in confronto al 79%-34% in Europa al 74%-56% in Svezia) e tale fenomeno si è significativamente inasprito in conseguenza della pandemia da Covid19.
La sesta edizione del Gender Equality Index ci mostra ancora una volta fanalino di coda nella parità di genere su questo fronte, con un indice pari a 59 (su un massimo di 100) contro il 67 della Francia, il 65 della Germania e il 64 della Spagna, in un confronto limitato ai grandi paesi dell’Unione europea. Sebbene i punteggi dell'indice si basino principalmente sui dati del 2019, e quindi non possano catturare l'intero impatto della crisi sulla parità di genere, il rapporto fornisce ampie prove delle ripercussioni negative della pandemia sulle donne in tutti i domini considerati.
Nella strategia nazionale, con l’obiettivo di ridurre l’onere di genitorialità e di accudimento principalmente a carico delle madri e di promuovere una più equa divisione dei suddetti compiti tra i generi, anche assicurando un’offerta accessibile e di qualità di servizi per l’infanzia, si misurano due indicatori.
La percentuale di padri che usufruiscono dei congedi di paternità – a oggi solo il 21% degli aventi diritto, il target è di superare il 50%, guardando a esempi meritevoli di paesi europei che hanno istituito il congedo parentale obbligatorio per legge e supportato dalle istituzioni, ove la quota raggiunge valori molto superiori (ad es., in Svezia è pari al 70%).
La disponibilità di posti in asili nido esistenti, sul totale dei bambini aventi diritto (bambini di età inferiore ai 3 anni) – tale valore è attualmente del 25% circa, con differenze sostanziali sul territorio: l’obiettivo duplice è quindi di superare il 50% di copertura a livello nazionale, raggiungendo però almeno il 33% (ovvero il valore minimo indicato dall’Unione Europea nel 2010) in tutte le regioni italiane. Come si legge a pagina 16 nel documento, "l'obiettivo appare difficile, ma raggiungibile, guardando sia a economie europee simili all’Italia, quali il Belgio o la Francia, ove l’indicatore raggiunge il 51% e sia molte regioni italiane che hanno già raggiunto livelli premianti, quali ad esempio il 40% dell’Emilia-Romagna o il quasi 50% della Valle d’Aosta. Un significativo impegno è necessario soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, dove il livello medio rimane sotto la soglia del 15%".
Molte sono le misure indicate per raggiungere l’obiettivo, tenendo a mente gli indicatori di sintesi contenuti nel documento (pp. 26-28):
- Estensione del congedo obbligatorio parentale per i padri, anche se lavoratori autonomi, ed alle medesime condizioni della maternità.
- Versamento una tantum aggiuntivo al c.d. Bonus Bebè o Assegno Unico per i padri che estendono il congedo di paternità oltre il limite minimo previsto per legge per ulteriori mesi aggiuntivi.
- Attuazione del piano asili nido, parte del PNRR italiano, al fine di garantire una maggiore offerta di servizi per i bambini da 0 a 3 anni di età.
- Potenziamento dei Poli 0-6 e servizi integrativi.
- Obbligo o sistema di incentivi per grandi aziende con stabilimenti/uffici di realizzare asili nido aziendali o simili.
- Defiscalizzazione del welfare aziendale ove legato a erogazione di servizi o fondi per asili nido.
- Rafforzamento della possibilità di frazionare le ultime settimane di congedo genitoriale per favorire il rientro a lavoro, ai fini della conciliazione della sfera professionale/lavorativa con i compiti di genitorialità.
- Revisione del regime di defiscalizzazione per i costi sostenuti per servizi di cura di figli piccoli (ad es., baby-sitter), genitori anziani (ad es., badanti) o disabili (ad es., educatori).
- Promozione dell’assistenza e la cura dell'infanzia, degli anziani, dei degenti e della persona tramite detassazione di beni necessari (ad es., pannolini, pannoloni per anziani affetti da patologie, assorbenti).
- Conversione delle indennità a favore di soggetti fragili (ad es., indennità di accompagnamento) in ore di servizi garantiti (ad es., secondo un criterio di equivalenza tra l’importo da ricevere e le ore di servizio di assistenza domiciliare).
- Estensione dell’orario e del periodo scolastico sia tramite lezioni curricolari o con istituzione di servizi scolastici estivi (ad es., visite scolastiche, centri estivi STEM, attività di laboratorio di scienze, musica, teatro, cinema).
Di molte di queste misure abbiamo dibattuto sulle nostre pagine nel corso dei nostri dodici anni di attività, ma alcune risultano, a mio parere, di particolare importanza in un’ottica di priorità.
L’emergenza innescata dalla pandemia ha evidenziato la necessità di una profonda riforma del sistema di assistenza e cura per gli anziani, già evidente di fronte alle sfide dell’invecchiamento della popolazione. È positivo che si parli di detassazione di beni necessari e di revisione del regime di defiscalizzazione per i costi sostenuti per servizi di cura, ma come abbiamo più volte segnalato la riforma della cura degli anziani va collegata a strumenti e soluzioni innovative, che utilizzino la tecnologia per agevolare il lavoro di assistenza e cura, mettere in rete le persone e le strutture, portare nelle case e nelle residenze gli strumenti necessari. L’innovazione tecnologica nella cura potrebbe diventare un fattore di politica industriale. In altri termini, l’uso delle tecnologie innovative nel settore della cura può fare da volano per una domanda pubblica e privata di tecnologie per l’assistenza, e così diventare un traino all’innovazione e uno strumento di politica industriale a supporto della produzione domestica, come già succede in altri paesi d’Europa.
Altro fronte cruciale è costituito certamente dagli asili nido, di cui è importante prevedere il potenziamento come previsto dalla strategia e inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza nella missione relativa all’istruzione. Tuttavia, bisogna ricordare che non si tratta soltanto di una misura atta a ridurre l’onere di genitorialità e di accudimento principalmente a carico delle madri: i nidi servono soprattutto ai bambini, al loro sviluppo cognitivo, e alla riduzione nella differenza di opportunità di partenza. Come già segnalato sulle nostre pagine, la nuova offerta di asili dovrà essere a tempo pieno e con orari flessibili; una errata o mancata quantificazione dei costi e dei benefici, anche in relazione ai bisogni dei giovani genitori lavoratori, potrebbe rischiare di creare nuovi asili ma senza domanda, oppure di far cadere un carico eccessivo sui comuni.
E parlando di comuni, stupisce che nella strategia nazionale non ci sia neppure un accenno al tema della mobilità sostenibile in relazione ai tempi delle donne e degli uomini nelle città. Difficile pensare a nuovi modelli di condivisione e di cura senza ripensare il nostro rapporto con i trasporti pubblici, con la viabilità, con l’housing sociale, e così via. Su questo fronte, molte proposte e materiali di ricerca sono a disposizione, nella comunità scientifica e nelle pratiche dell’attivismo associativo delle donne.
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