LA FAVOLA DEL POTERE E I FIGLI DEL RE da Mauro Armanino, Niger
La favola del potere e i figli del re
C’era un volta un Re. Avvicinandosi l’ora di lasciare il suo
trono ad uno dei tre figli pensò bene di chiamarli a sé e di inviarli in
missione. Ognuno di loro avrebbe dovuto tornare con un dono rappresentativo di
come avrebbero voluto il loro regno, una volta al potere. Il Re avrebbe scelto
il suo successore in funzione dell’importanza e il significato del simbolo presentatogli.
Passarono anni da quando i figli erano partiti per il lungo viaggio di ricerca
e già il Re loro padre disperava di poterli rivedere. Un giorno però, quasi al
tramonto del sole, il figlio maggiore tornò alla reggia e gli consegnò ciò che
aveva messo da parte per lui. Si trattava di una splendida spada lavorata a
mano da uno dei migliori artigiani del mondo allora conosciuto. Un’arma così
affilata, maneggevole e leggera, da destare invidia perché da essa emanava un
senso di potenza e di invincibilità. Un’arma del genere, simbolo di forza,
destava timore, ammirazione e assicurava sicurezza e perpetuità al regno. Al Re
il simbolo piacque molto e, con un gesto impulsivo, avrebbe voluto affidargli le chiavi del regno.
Una promessa però è una promessa, specie se si tratta della parola di un Re. Decise
dunque di aspettare il simbolo del regno sognato che gli altri figli
avrebbero portato a casa.
Qualche giorno più tardi tornò il suo secondo figlio. Con
malcelata soddisfazione aprì quanto aveva custodito in una curatissima borsa
ricamata d’oro. Si trattava di diamanti mai visti prima da occhio umano. La forma,
i colori e la purezza del taglio al vederli mozzavano il fiato. Il Re, pure
avvezzo a diamanti, pietre preziose e ori raffinati, ne fu sedotto e, per un
momento, dimenticò la promessa che aveva fatta a sé stesso e agli altri. La luce
che emanava dai diamanti era unica e avrebbe rappresentato la luminosità, la
ricchezza e la prosperità del futuro regno come il secondo figlio l’immaginava.
Il Re, che aveva accumulato una notevole esperienza di governo nei decenni del
suo regno, era soddisfatto per quanto i primi due figli gli avevano mostrato.
Aveva l’impressione di aver loro trasmesso qualcosa di necessario per governare
i sudditi qualora avrebbe lasciato il potere. Con un poco di apprensione si
accinse ad attendere il terzo e ultimo dei suoi figli, il più giovane di loro.
Passavano i giorni, le settimane, i mesi e forse gli anni. Il tempo di abdicare
si stava ormai avvicinando. Finché una mattina, di buonora, arrivò il terzo e
più giovane dei suoi figli. Suo padre lo trovò trasformato nello sguardo e nel
volto. Molto più maturo di quando era
partito.
Il giovane spiegò a suo padre, stanco ormai dall’attesa, il
motivo del suo ritardo. Era rimasto per tutto il tempo, dopo aver invano
cercato un simbolo per il suo futuro regno, con un vecchio saggio, consumato dall’esperienza
della vita. Stare con lui e abbeverarsi alla sua ancestrale saggezza era stata
una lezione di vita più importante dei corsi che aveva seguito nelle università
del regno. Non si era accorto del tempo passato ad ascoltare la saggezza antica
del suo unico e indimenticabile maestro. Alla domanda del padre di mostrargli
quanto gli aveva portato come simbolo del regno che avrebbe sognato servire, il
giovane figlio, da una consunta bisaccia estrasse i doni. Si trattava di due
modesti sacchi di pelle chiusi con cura alla sommità con un laccio di corda
usata. Il figlio, in silenzio, mostrò al padre ormai stanco, i due simboli che
aveva ricevuto in dono dal vecchio saggio. Era stata la sua ultima eredità perché il vecchio saggio era deceduto il giorno
prima del suo ritorno alla reggia. Aprì sotto gli occhi attenti del padre e
degli altri fratelli il primo dei sacchi che conteneva cenere. Poi, con lentezza e nello stupore dei
presenti, aprì il secondo sacco che conteneva sabbia. Cenere e sabbia è quanto
il più giovane di figli aveva portato al Re suo padre che, stupito e deluso dal
figlio minore, si accingeva a scegliere tra i doni dei primi due figli.
Era, il vecchio e stanco Re, tentato dal primo e dal secondo
dei regali mentre si sentiva offeso da quanto il terzo figlio gli aveva
portato. Non volle prendere però nessuna decisione prima di aver riposato una
notte sperando che il sonno gli avrebbe portato consiglio. E così fu. Il
mattino seguente convocò i tre figli e li informò della decisione di affidare
il suo regno al terzo figlio, il minore. Spiegò loro che un regno basato sulla
ricchezza avrebbe avuto bisogno di armi per difenderla e che le guerre non
avrebbero mai avuto fine. Il nuovo Re, alla fine, aveva capito a sue spese che
il potere non è che cenere che il vento disperde. Avrebbe infine ricordato che
le tutte ricchezze del mondo, usate senza saggezza, non sono altro che sabbia.
Mauro Armanino, niamey, 10 gennaio 2021
Vedi anche:
NEI GIORNI DELLA MEMORIA, l'Africa di Padre Armanino (senzafine.info)
http://www.senzafine.info/2021/01/proibiti-gli-aquiloni-margine-di-un.html
http://www.senzafine.info/2021/01/il-quarto-re-magio-era-originario-del.html
http://www.senzafine.info/2020/12/mauro-armanino-dal-niger.html
http://www.senzafine.info/2020/08/lettera-dal-sahel-di-padre-mauro.html
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