KRINÒ E L'ALTROVE di Federico Sollazzo


"Krinò” e l’altrove

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it) 


Come molti probabilmente avranno notato, oggi iniziano a proliferare discorsi e attività extra-, quando non anti-, accademiche e, come sempre, sono le sottigliezze a fare la differenza.

L’esperienza di “Krinò”, iniziata nel 2017 come seminario universitario e proseguita dal 2018 come centro culturale indipendente, non è assimilabile alla filosofia pratica, alle pratiche filosofiche, alla consulenza filosofica, né è un discorso che vuole dire che siamo tutti filosofi, né però che lo siano coloro che studiano la filosofia. Mi spiego meglio.

Tutto quello che siamo abituati a chiamare creatività, ispirazione, viene da un altrove. Se fosse già qui, infatti, non sarebbe una creazione ma un già creato; peraltro, sarebbe meglio parlare di apparizione e non di creazione, e questa differenza deve essere argomentata, ma ora vorrei essere sintetico. Questo significa che qualsiasi idea umana viene da un altrove. Anche quando diciamo che un'idea è derivata semplicemente dal metterne insieme altre, è quello specifico mettere insieme che prima non era presente e che quindi si è manifestato qui, venendo da un altrove.

Il saggio di Heidegger Costruire, abitare, pensare ci parla del ponte, che diventa costruibile non grazie ad un incremento delle conoscenze derivanti dallo studio, ma nell'istante in cui le due sponde del fiume non appaiono più agli occhi umani come enti di natura, ma come elementi tecnici per innestarci le fondamenta del ponte. Ed è questa apparizione, misteriosa e che viene da un altrove, che produce il ponte; lo studio, in questo caso ingegneristico, viene solo dopo e in conseguenza di un'apparizione che si è già data.

Per questo la soglia essenziale che io vedo non è quella fra una conoscenza o pratica ed un'altra (filosofia, meditazione – che oggi andrebbero distinte – matematica, chimica, pittura, ecc...), poiché tutto quello che è mondano ha una comune origine estatica. La soglia essenziale è invece quella tra quelle esperienze che sono consapevoli della loro origine, extramondana, estatica, e quelle che non lo sono. Le prime, vanno messe sotto il nome di arti (quindi, non intendendo comunemente le belle arti), le seconde, sotto il nome di scienze (quindi, non intendendo comunemente le scienze esatte). Ecco perché anche la chimica può essere arte, se è consapevole della propria origine estatica. Ed ecco perché anche le belle arti possono non essere arte, se perdono questa consapevolezza e si riducono all'applicazione di canoni; nell'opera di Puškin, Mozart e Salieri, è proprio questa la differenza tra la musica del primo e quella del secondo. 

Applicato alla filosofia, questo significa che lo studio della filosofia può solo ricadere nel campo della scienza, facendo della filosofia stessa una scienza che, come tutte le scienze, non sa della propria stessa origine e/poiché non sa neanche di non saperlo, quindi non sa che da un punto di vista essenziale è una scienza; di questo parla Nietzsche in Sul futuro delle nostre istituzioni educative e nelle Meditazioni inattuali. Neanche si può dire che è dallo studio della vecchia filosofia che deriva quella nuova, perché, come dicevo prima, quello che conta non sono le precedenti nozioni che vengono messe insieme, ma l'idea di metterle insieme e di metterle insieme proprio in un certo qual modo, ed è questa idea la creazione/apparizione, ed è questa idea che è instudiabile, perché si può studiare solo quello che è qui e ora, ma questa idea è come un fulmine che viene da un altrove, e quando diventa studiabile, significa che è già qui ed ora e quindi non è più un'apparizione in quanto tale, ma il depositato di un'apparizione.

Approfondendo, va notato come ogni apparizione si ripeta infinitamente ad ogni istante perché solo così mantiene il proprio legame con l'altrove. Poi l'uomo è costretto ad usare la memoria solo perché non è in grado di percepire l'istante estatico quando si dà, ovvero infinitamente, o meglio, indefinitamente, poiché l’istante estatico si dà fuori dal tempo cronologico, che è nel qui ed ora, e che è l’unico tempo che all’uomo è dato abitare; per questo, e non semplicemente perché ha a che fare con la morte, l’uomo si definisce mortale, rimanendo quindi tale anche qualora dovesse vivere in eterno, perché quella eternità sarebbe pur sempre spesa dentro il tempo cronologico, che è qui ed ora, al di qua dell’estasi. Proprio per questo, il sapere non è nella memorizzazione, se così fosse lo si potrebbe studiare, ma nell'istante estatico che dà un senso a quanto memorizzato. Difatti physis (che non è banalmente natura) significa allo stesso tempo l'origine ed il perdurare di quell'origine (concetto che ritorna nei miti orfici, in Eraclito e in Heidegger).

Semplificando, come abitualmente mi viene fatto notare quando propongo questo discorso, certo che lo studio è utile a collocare i filosofi nel loro contesto, ma questa è una preoccupazione da studioso, non da filosofo, questo è irrilevante per il filosofare. Dire che per filosofare è necessario lo studio della filosofia, è come dire che per poetare è necessario lo studio della poesia. Certo, le poesie altrui possono essere delle muse, ma questo significa proprio che non sono oggetti di studio ma altro, muse, appunto.

Lo studio, senza l'apparizione di un altrove che lo studio non considera, sarebbe mera ripetizione dell'esistente, anzi, dato che anche la ripetizione dell'esistente è estatica, lo studio come solo studio non si dà mai. E i risultati a cui arriva non dipendono dallo studio in quanto tale ma da quell'esperienza dell'altrove che avviene in tutte le faccende umane e che però lo studio, appunto, non è in grado di considerare.

Infatti, non è l'uomo ad avere potere su quell'altrove ma è quell'altrove ad avere potere sull'uomo. Goethe, a questo proposito, dice che non è lo scrittore a scegliere la parola ma la parola a scegliere lo scrittore.

Ora, c'è spazio per questi discorsi e soprattutto per questi atteggiamenti e modi di fare nelle università di oggi dove tutto è studio, quindi scienza, quindi dimenticanza della propria stessa origine estatica, pertanto non studiabile? Assolutamente no.

Per questo, nel mio piccolo, sto creando questo tipo di spazio con "Krinò", di cui sono cofondatore con mia moglie, Mária Kovács. 

Vorrei chiudere queste poche pagine propedeutiche, con delle righe del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein che, sorprendentemente, sintetizza, a suo modo, proprio tutto questo.

"Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun valore – né, se vi fosse, avrebbe un valore.

Se un valore che abbia valore v'è, esso dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-così. Infatti, ogni avvenire ed essere-così è accidentale.

Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.

Dev'essere fuori del mondo."

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