ARMI AL CAIRO

 

Raddoppia l’export di armamenti al Cairo. L’Italia complice della repressione

I DATI SULL’EXPORT DI ARMAMENTI. 

«Contatti nel settore della sicurezza» fra Egitto e Russia. 

I nuovi dati presentati oggi: si passa da 35 milioni nel 2021 a

 72 nel 2022


  di          Alessandra Fabbretti


Raddoppia l’export di armamenti al Cairo. L’Italia complice della repressione | il manifesto





«L’export di armi italiane all’Egitto non solo non si è ridotto, come qualcuno sostiene, ma dal 2018 osserviamo un trend di crescita costante». Lo assicura Alice Franchini, responsabile campagne di EgyptWide, associazione che alla Stampa estera di Roma oggi presenta in anteprima nuovi dati sull’export di armamenti all’Egitto. Il più importante: il volume è passato dai 35 milioni di euro del 2021 ai 72 milioni del 2022: praticamente il doppio. Lo studio, realizzato incrociando ben cinque fonti diverse, integra il rapporto “Made in Italy per reprimere in Egitto” del maggio scorso, con cui l’associazione già documentò pistole, fucili e altre armi leggere di fabbricazione italiana utilizzate dalla polizia egiziana per reprimere diverse manifestazioni pacifiche.

TRA I FATTI più gravi, il massacro di piazza Rabaa Al-Adawiya e Al-Nahda dell’agosto 2013 al Cairo: novecento morti nelle proteste seguite all’arresto del presidente Mohamed Al-Morsi, deposto e sostituito da Abdelfattah Al-Sisi, tuttora alla guida del Paese. Ancora nel 2022, sebbene lo stallo del processo per la morte di Giulio Regeni e la vicenda del ricercatore incarcerato Patrick Zaki abbiano determinato un’inedita attenzione mediatica sulle violazioni, il nostro Paese ha approvato licenze di vendita per «razzi, bombe, armi sia leggere che pesanti, munizioni e pezzi di ricambio» dice Franchini. E poi «apparecchiature elettroniche, strumenti per le esercitazioni militari e software, usati forse per il controllo dei cittadini».

FRANCHINI segnala anche «notevoli quantità di esplosivo di tipo Tnt: non solo serve a produrre mine antiuomo, vietate dalla Convenzione di Ottawa che l’Italia ha siglato, ma obbliga a chiederci come mai l’Egitto abbia bisogno di armamenti bellici non essendo in guerra». Per Franchini quindi è chiara «una certa complicità dell’Italia nella repressione in Egitto», che pone il tema delle licenze alle grandi industrie. A chi chiama in causa il 2019 come anno dal quale l’export si sarebbe ridotto, la ricercatrice risponde: «Quell’anno fece registrare un picco di oltre 870 milioni che si spiega con commesse eccezionali: le due fregate Fremm e i 32 elicotteri da combattimento. Ma se escludiamo quell’anno, oltre a non essersi ridotto il trend si mantiene in crescita».

Evidenzia poi anche una certa mancanza di trasparenza: «Abbiamo potuto integrare il report ‘Made in Italy per reprimere in Egitto’ solo ora perché il governo ha presentato al Parlamento i dati sull’export di armi 2022 con mesi di ritardo». Questo nonostante le associazioni continuino a parlare di oltre 60mila detenuti per reati politici, aumentati con l’avvento dieci anni fa del presidente Sisi: «Da allora la situazione dei diritti è peggiorata come mai nella storia recente» assicura Leslie Piquemal del Cairo Institute for Human Rights, che riferisce di «un’impunità dilagante: per i crimini di Rabaa nessuno ha pagato». Tina Marinari di Amnesty International aggiunge: «Come arma contro il dissenso il governo sta usando anche la pena di morte: scendono le esecuzioni, ma aumentano le condanne, usate come mezzo di intimidazione».

ALLA STAMPA ESTERA, oltre a Piquemal e Marinari, interviene Claudio Francavilla di Human Rights Watch, che chiama in causa anche l’Unione europea: «Da Rabaa in poi si è dato carta bianca all’Egitto: non agire contro uno Stato che uccide e compie arresti di massa significa accettare che la situazione possa solo peggiorare». La collaborazione militare con l’Egitto non fa gola però solo alle aziende italiane: dal 31 agosto al 15 settembre la Nato ha tenuto imponenti esercitazioni militari in Egitto, mentre è di ieri l’annuncio di «nuovi contatti nel settore della sicurezza» tra Il Cairo e la Russia. «Quello a cui stiamo assistendo più in generale – riprende Alice Franchini- è un generale disinteresse della comunità internazionale rispetto alla situazione dei diritti umani in Egitto. Sempre nel 2022, alle Nazioni unite l’Ue non ha menzionato l’Egitto come a rischio sul piano dei diritti umani sebbene negli anni precedenti lo avesse fatto. La vendita incessante di armi pone anche un problema legale, dato che -conclude – il nostro quadro normativo riconosce il nesso tra esportazione di armamenti e repressione».

 



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