CONSIDERAZIONI SEMISERIE SULLA MIA DEMENZA SENILE di Renata Rusca Zargar
Una stimata famiglia di negazionisti
Provengo da una stimata famiglia che non ha mai accettato l'invecchiamento.
Mia madre a novant'anni si definiva "giovincella matura".
Mio padre, che aveva avuto una gioventù da calciatore con i sogni spezzati dalla guerra, ci mostrava con orgoglio una sua fotografia appesa in casa della nonna in pantaloncini e maglietta con il piede appoggiato sul pallone. Ogni volta, ci faceva notare quanto avesse le gambe belle (da calciatore). Anche quando, poverino, ormai malato, scheletrico, era prigioniero in un letto di ospedale, sosteneva che le infermiere apprezzassero le sue gambe. “Sono uno sportivo, io!” ribadiva, alludendo al fatto che fosse un fanatico appassionato tifoso di calcio.
Io, negata per la ginnastica di scuola, invece, cadevo dall’asse di equilibrio e somigliavo parecchio a un elefante negli esercizi con i cerchi (una ridicola moda dei tempi). Ma non solo! Durante le orribili partite di pallavolo con le compagne di classe, quando la palla arrivava dalle mie parti, scappavo in direzione opposta per paura di esserne colpita. Nessuno mi voleva in squadra. Insomma, sono stata la massima disillusione di mio padre che si aspettava prodezze atletiche dai figli.
Forse,
se avesse atteso un po’ a morire, si sarebbe ricreduto perché io,
seppur poco dotata e totalmente
indifferente agli sport, ho continuato
insistentemente negli anni a frequentare palestre e piscine in
qualità di signora
volonterosa per mantenermi in buona salute.
Nonostante il
mio disinteresse
per gli sport, sono
sempre stata consapevole che senza il corpo l’anima non resterà di
sicuro su questo Pianeta.
Eppure, in
fondo, noi siamo i nostri genitori anche quando li abbiamo avversati
e contestati per conseguire
l'indipendenza e l'unicità della nostra persona.
Così, se i miei genitori poco comprendevano il fatale deterioramento della vecchiaia, anzi lo negavano ciecamente, io sono un po’ come loro.
Però, visto che le generazioni progrediscono, io sono passata alla fase due: combatto duramente a spada tratta sentendomi erede e parte attiva della “stimata famiglia” di negazionisti!
Da alcuni anni, infatti, avendo riscontrato dei problemi di memoria, frequento l’ambulatorio del reparto di neurologia dell’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure.
In realtà, mi ero accorta di avere poca memoria esattamente in quinta elementare. La mia amica Patrizia mi confidava di aver letto una sola volta la lezione di storia. Eppure, nell’interrogazione era andata benissimo. Io non potevo fare come lei perché avrei preso un brutto voto. Per tutto il mio corso di studi, ho dovuto sempre impegnarmi seriamente e, se ho riscosso successo e gratificazioni, non è stato certo per la memoria! Ho amato molto la scuola da alunna e pure da insegnante. È stata la mia casa felice e, nei momenti più tragici della mia vita, sapevo che tra quelle mura avrei trovato tregua al dolore.
Comunque, anche nella quotidianità non brillo per i ricordi. Qualche anno fa, mia figlia maggiore ha immaginato una scenetta dove fingeva di venire a trovare i genitori dopo qualche anno. Allora, io non avrei riconosciuto le figlie e avrei pure chiesto a mio marito chi fossero le due persone che suonavano alla porta!
Ultimamente, però, mi pare che la situazione sia peggiorata. Mi capita spesso di non ricordare il nome di un oggetto comune o di una persona che incontro sempre. Mi mancano le parole, insomma.
Così mi sono rivolta a qualcuno che mi potesse aiutare.
La
settimana scorsa ho rivisto lo psicologo che a
ogni incontro, circa due all’anno, controlla
come vada la mia
mente. Mi ha fatto un po’ di domande.
Siamo partiti dal giorno, mese, anno, stagione in cui ci
troviamo, poi tre parole da ricordare (pane gatto
casa) dopo aver fatto un altro esercizio, i
pentagoni che si intersecano da copiare, i calcoli in cui si toglie
parecchie volte sette partendo da novanta, frasi da scrivere e così
via. Infine, ha cercato di cogliermi in
fallo chiedendomi del mio
libro su Catullo. La volta precedente,
infatti, gli avevo detto che stavo scrivendo un romanzo su Tiberio
ambientato a Capri, dove effettivamente l’imperatore si era
ritirato per parecchi anni. Non
dimenticherò facilmente Tiberio che mi è costato tanto studio sugli
usi del tempo e persino sulle piante esistenti a Capri in quel
periodo!
Dunque, ho risposto bene alle varie domande ma ho valutato che quelle richieste fossero troppo semplici per me.
Mi guardo nello specchio: perché non mi sono accontentata? In fondo, avrei potuto essere soddisfatta per la mia età.
Mi chiedo cosa esattamente io stia cercando. È la paura della morte, del disfacimento, che non mi dà pace? Voglio dimostrare, come i miei genitori, che non sono invecchiata ma che sono sempre giovane?
“Quanti sono alla sua età che hanno scritto un libro?- aveva concluso lo psicologo durante la visita per ribadire che le mie prestazioni fossero buone.
Però, io non ho scritto un libro improvvisamente a questa età, io ho creato negli anni decine e decine di racconti, centinaia di articoli di giornale, ho sempre studiato e insegnato. Anche oggi, ogni giorno, cerco di imparare e di migliorare per fare meglio, ascolto lezioni di scrittura creativa, leggo i lavori degli altri. Tutto questo è la mia vita, oltre, naturalmente, alla ginnastica e a tutto quanto necessario per la famiglia o per i miei impegni civili e sociali.
La mente è importante per me. Come diceva qualcuno, anch’io voglio “andare al massimo” cioé pensare, scrivere, comunicare, fino all’ultimo giorno della mia esistenza.
Voglio sentirmi viva perché il mio corpo funziona e il mio cervello lavora.
Non mi importa di “sopravvivere”, voglio fare quello che amo e parlare di me.
Voglio sorridere ancora e ancora al futuro perché sto bene e sono felice!
Già pubblicato:
https://www.senzafine.info/2024/02/una-stimata-famiglia-di-negazionisti-di.html
IL FATIDICO GIORNO DEI TEST
Dunque, non essendomi accontentata del parere che mi era stato dato, avevo ribadito al medico neurologo che quelle domande erano troppo facili.
Quindi, erano stati programmati per me dei test più approfonditi e, infine, era arrivato il fatidico venerdì nel quale avrei dovuto presentarmi presso l’Ospedale di Santa Corona a Pietra Ligure.
Ovviamente, ero arrivata in largo anticipo perché questo comportamento è nella mia natura: se mi presentassi all’ultimo momento, sarei divorata dall’ansia.
Purtroppo o per fortuna, io sono molto ansiosa ed emotiva (non sono un’indifferente come tanti che conosco).
L’unica eccezione alla mia agitazione erano stati un tempo gli esami scolastici. Forse, avvertivo la paura prima di sedermi davanti agli esaminatori ma poi, durante qualsiasi interrogazione o lavoro scritto, ero stata sempre presente a me stessa e avevo dato sempre il massimo. Anche quando, molto raramente, ero poco preparata ma dovevo fare assolutamente l'esame per non perdere il presalario universitario, me l’ero cavata ogni volta rimanendo fredda e consapevole.
Seduta
nello studio dello
psicologo,
anch’esso fatidico come
il venerdì,
dunque,
ragionavo
su di me. Sarà
così anche questa volta, pensavo,
il cuore
e il cervello
faranno
il loro
dovere.
-Partiremo
da esercizi più facili e via via più difficili. - mi
aveva
avvertita
il
mio carnefice al quale, malauguratamente,
ero andata ad affidarmi da sola!
Ecco
qualche esempio degli esercizi: parole
che cominciano per f, per p, per l, oppure
supporto
con mattoncini da toccare nello stesso ordine, o
ancora disegnare
un cubo copiandolo, un parallelepipedo, due
pentagoni incrociati.
Dopo avevo
dovuto copiare
come potevo
una figura complessa con quadrati, triangoli, linee, più una
faccina. Completato
un altro esercizio, mi era
stato
chiesto di rifarla senza vederla.
Infine,
lo psicologo mi
aveva
raccontato una
storia nella quale si diceva di qualcosa
successo
il 6 dicembre forse a 20 km da Torino, fiume straripato, acqua e
fango, pure
una persona morta. L'errore mio, dato che c'erano dei
numeri,
era
stato di concentrarmi
su quelli
e non sulla storia. Così
non l’avevo
saputa
ripetere decorosamente.
Non
credo di aver sbagliato nulla di
quello su
cui
si dovesse ragionare ma l'elenco di parole da
ripetere era
stato tremendo: infine, mi sembrava di avere il cervello
completamente
vuoto e di non ricordarne più neppure una, nonostante
scrivendo sia abituata a usare molti
vocaboli
diversi.
In passato, avevo creduto di avere una memoria uditiva ma quel giorno non mi sembrava fosse così! Visiva, invece, ero sicura di averla sempre avuta debole dato che non riconoscevo mai le persone che invece si ricordavano perfettamente di me. Qualche volta, qualcuno (per me mai visto in vita mia) mi chiamava addirittura per nome: “Ciao Renata”, mi apostrofava. Mi mettevo un sorrisino sulla bocca per non sembrare una demente all’ultimo stadio e speravo che quella persona andasse a farsi friggere: “Ma non ha niente altro da fare se non pensare a me???” mi dicevo. Spesso quella persona insisteva facendo riferimento a fatti dei quali io non sapevo nulla ma, evidentemente, avevamo vissuto insieme. Cercavo di rispondere stringatamente qualche frase fatta sperando che fosse sufficiente e che lo scocciatore/trice andasse a ricordare altrove.
Peggio
era
quando mio marito mi diceva:
- Ti ricordi? - Gli avevo
spiegato chiaramente
che non doveva
MAI più
rivolgersi a me in quel modo. Ma anche
se
non pronunciava
la frase proibita,
magari parlava
di qualcosa che avevamo
discusso o deciso insieme un paio di giorni prima e
non
cambiava
molto.
Io cercavo
di far finta di aver inteso nella speranza che aggiungesse
qualche altro
particolare
che mi mettesse
sulla buona strada oppure,
in extremis, per non ripetere
il solito: – Non ho capito! -, dicevo
di sì. Il mio assenso comportava
che poi lui avrebbe
fatto
riferimento a quello e io successivamente
avrei
negato
fino alla morte di aver assentito perché non avevo
mai saputo a cosa. Per fortuna, mio marito è pacifista e non se la
prende più di tanto di fronte ai miei stravaganti
cambiamenti
di
opinioni.
Avevo
sempre odiato dover, come si diceva un
tempo,
“mandare a mente”!
Quando
mi facevano studiare le poesie a memoria, cercavo
di non studiarle ma, dato che ci tenevo molto ad avere dei bei voti,
dovevo trovare un sistema per imbrogliare la professoressa.
C’era
stato un periodo nelle medie che l’insegnante ci divideva in gruppi
e ognuno era interrogato da una compagna del gruppo. Io non sapevo la
poesia in questione
ma le compagne mi assegnavano un sette o sette e mezzo (dietro mio
suggerimento, senza esagerare). A quel tempo, l’onestà non era uno
dei miei requisiti e, comunque, le compagne non erano da me
minacciate né ricattate per tacere sulla mia ignoranza. Non
ero
una leader, ruolo che non fa per me, ma semplicemente
loro
mi amavano anche perché in caso di bisogno (verifiche di matematica,
versioni di latino, temi in classe ecc.) sapevano che avrei fatto di
tutto per loro.
Tornando alla poesia, credo che in Italia non la si ami per l’ uso di renderla odiosa con lo studio a pappagallo. Come insegnante, io non l'ho mai fatto, non ho assegnato mai poesie da imparare a memoria perché amo tantissimo la poesia e ho cercato di trasmettere ai giovani soprattutto delle forti emozioni. La memoria si può esercitare in diversi altri modi senza devastare l’enorme patrimonio artistico letterario di cui possiamo solo essere orgogliosi.
In conclusione, comunque, i test dello psicologo erano stati secondo me un disastro.
Avevo provato un forte senso di umiliazione e frustrazione che era durato parecchi giorni.
Poi, per fortuna, non avendo memoria, me ne sono dimenticata e ho ricominciato a vivere come prima.
Renata Rusca Zargar
Secondo me non hai bisogno dello psicologo.
RispondiEliminaCondivido le tue idee sulla poesia.
Mai studiate mai fatte studiare.
I miei figli ogni domenica una poesia a pappagallo, un
Incubo!!
Fantastica ed esilarante Renata
RispondiEliminaRLS
Praticamente hai descritto la mia situazione!Ciao Renata e un abbraccio a Zahoor
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