LA PASQUA, DI SABBIA, DI NIAMEY di Padre Mauro Armanino


 La Pasqua, di sabbia, di Niamey

Questa festa interessa le poche migliaia di cristiani che vivono in città e dei quali la maggior parte è originaria dei Paesi della costa atlantica che il commercio degli schiavi rese famosa e temuta. C’è in cambio il ‘lunedì di Pasqua’ che il calendario ufficiale delle festività riconosce, assieme al Natale, a livello nazionale. Sono le due festività accolte, almeno finora, nel calendario dello Stato. Si tratta di una Pasqua di sabbia, precaria e fragile come si conviene e in sintonia con la transizione che il Niger abita da fine luglio dell’anno scorso. E’ la conseguenza del colpo di stato che ha deposto e imprigionato nel palazzo presidenziale l’eletto in circostanze dubbiose Mohammed Bazoum. Anche la transizione del Paese è di sabbia. Azzardarsi a domandare la meta del viaggio significa esporsi ad un imbarazzante silenzio che la polvere copre di pudore. Il sentiero che il Niger e l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) percorrono è ancora poco frequentato.

Eppure, nel suo piccolo, la festa di Pasqua è latrice di un messaggio, difficile a decifrare nel contesto, di una liberazione possibile per tutti. Se Pasqua indica, nell’etimologia popolare, ‘passaggio’ allora l’avvenimento pasquale che la festa attualizza, indica almeno due liberazioni conseguenti. La prima ricorda il mito fondatore del popolo di Israele che, tramite un esodo durato anni, abbandona la terra della schiavitù del Faraone d’Egitto per rischiare l’indigenza e l’incertezza della libertà. Il cammino nel deserto, tra stenti, paure e tentazioni di un ritorno al passato che rassicura, diventa la metafora della transizione attuale del popolo nigerino. Come per il popolo di Israele la realtà degli idoli fabbricati continua a sedurre l’immaginario della gente e in particolare dei ‘capi’. Il potere, il prestigio e l’arroganza del dio denaro sono l’attuale vitello d’oro che il popolo si è fabbricato nel deserto. L’acqua della roccia è difficile a trovare.

C’è poi l’altra liberazione possibile, ancora più pericolosa per il disordine stabilito, che, in relazione con la Pasqua afferma che i sepolcri si sono svuotati e le tombe sono trasformate in giardini. Questa seconda promessa di liberazione è ancora più sovversiva delle precedente perché, dopo il silenzio della notte e all’albeggiare, ci si accorge che l’anelito per un mondo nuovo non era vano. Ciò significa che la violenza, la menzogna del potere, il cinismo dei commercianti di parole e d’armi, i fabbricanti di illusioni e gli imprenditori del sistema di dominazione, sono finalmente inermi e spodestati. Le tombe dei cimiteri nelle quali i potenti volevano chiudere la storia umana, litania infinita di guerre e ribellioni al sistema, sono svuotate. Le pietre che le coprivano servono ormai per costruire il mondo assente che tanti cercavano a tastoni. Passare dalla schiavitù fisica e mentale, ricordava un certo Bob Marley, è proprio ciò che permetterà di cantare assieme agli amici resi liberi, il suo ‘Redemption Song’, il canto della libertà, di sabbia.

Mi aiuterai a cantare
Questi canti di libertà?
Perché tutto quel che ho sempre avuto
Sono i canti di redenzione,
Tutto quel che ho sempre avuto
Sono i canti di redenzione
Questi canti di libertà,
Canti di libertà


Mauro Armanino 

Niamey, Pasqua 2024



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