INDIFFERENZA di Renata Rusca Zargar
INDIFFERENZA
(liberamente ispirato a due storie vere)
Annetta
era entrata nel dolore, quel male che le prendeva il petto, le
toglieva il respiro, le faceva sentire la vita come un peso
enorme.
Quando
si sentiva così, non trovava alcuna soluzione. Gli altri non
potevano capire e lei non desiderava parlarne
perché sarebbe stata ancora peggio. Non ce la faceva ad accettare
quell'incomprensione, quell'indifferenza, quel guardarla
come a sottintendere
che non c'era ragione
di comportarsi in quel modo, che era una donna adulta, che doveva
agire da persona matura.
Non
poteva discutere con loro, le avrebbero strappato il cuore con le
loro frasi insensibili.
Una
volta che era stata male, tanti anni prima, suo padre, invece,
l'aveva solo abbracciata. Aveva pianto insieme a lei e quel grumo di
disperazione, a
poco a poco,
si era sciolto. Suo padre non c'era più e nessun altro l'aveva mai
accettata veramente.
Con
l'auto si era diretta verso uno strapiombo sul mare.
Sotto,
le onde schiumavano e sbattevano furiose sugli scogli.
Magari
avrebbe potuto buttarsi, farla finita, chiudere con le
delusioni.
Invece,
aveva poi fatto la spesa e l'aveva lasciata sul tavolo, in cucina.
Ora,
in
realtà non sapeva dove andare ma non voleva rimanere
a casa, non voleva preparare il pranzo come al solito. Specialmente,
non voleva vedere il viso distaccato e freddo del marito e l'ostilità
delle figlie.
Le pulizie, la spesa, la famiglia. Solo consuetudini e incombenze. Nient' altro.
Troppo
tempo era passato da quando aveva vissuto un attimo di libertà o
di
gioia personale.
Cos’aveva
fatto di male per
meritare tanto
cinismo?
Era
troppo stanca, stanca di quella vita.
Improvvisamente,
le era venuto in mente che conservava le chiavi della
casa di
un amico occupata
solo nei mesi estivi. Avrebbe potuto rimanere là qualche
giorno
per riposarsi e pensare. Forse, in famiglia, avrebbero compreso
che aveva
bisogno di una pausa.
In quella modesta casetta c'erano vari
cibi a lunga conservazione e non avrebbe sofferto la fame. Al piano
di sopra, si trovava una
camera spaziosa
e persino un televisore, doveva solo stare attenta che la luce non
trapelasse all'esterno e rivelasse la sua presenza.
Il secondo
giorno dalla sua scomparsa erano cominciate le ricerche. Lei
stessa aveva visto la sua foto durante il programma
“Chi l’ha visto?” e
l’intervista
al
marito che diceva di non capire cosa fosse successo, che
tutto andava bene in famiglia.
Già,
suo marito! Quell'uomo
che si sedeva a tavola e mangiava con lo sguardo nel piatto, senza
parlare, che aveva fretta di tornare al lavoro...
Lei, invece,
non lavorava più da quando si
era sposata perché
si era dedicata completamente
a
lui e alle figlie.
-Il tuo lavoro ti impegna molte ore. - aveva detto il marito
subito
dopo
il matrimonio – Lo
lascerai e
ti
occuperai di
me,
della
casa,
dei
figli che verranno.
Intanto
io guadagno abbastanza. -
Praticamente voleva dirle che lei era
solo una commessa dell'unico negozio di abbigliamento
dell'isola,
non faceva qualcosa di speciale come
lui e
poteva rinunciare. Ora, però,
che
le figlie erano
grandi e non le rivolgevano la parola se non era
strettamente
necessario, sentiva
la mancanza delle chiacchiere con le clienti che provavano i vestiti.
Qualche
volta le aveva consigliate: -Annetta, dimmi tu come mi sta. - le
chiedevano -Tu
hai buon gusto. -.
Ormai
nessuno credeva più
che
avesse buon gusto, con i capelli lisci un
po’ grigi
legati dietro per non esserne infastidita, le gonne larghe per
comodità, le scarpe basse…
La
strada a curve si inerpicava su per una collina. Tutto era buio, non
si scorgevano luci né case all'intorno.
Giovanna
non aveva
idea di
dove stesse andando.
Avvilita
e presa da un senso di soffocamento, con le lacrime che le pungevano
gli occhi, si era infilata in auto, era partita e aveva imboccato una
strada qualsiasi verso l'entroterra.
Voleva
solo fuggire. Fuggire
da casa e dalla figlia che le aveva fatto troppo male con le sue
parole cattive.
Eppure,
da quando era nata, l'aveva curata con amore. Non era stato facile
all'inizio: la piccola Marisa era in ritardo nello sviluppo rispetto
agli altri bambini. Lei,
però,
non si era persa d'animo: la
sua era una figlia
voluta, desiderata, attesa, lentamente
sarebbe cresciuta e si sarebbe rinforzata. Così era stato. Marisa
era da tempo una giovane ragazza come qualunque altra: era brava a
scuola, faceva sport, aveva
alcune amiche.
Però
odiava lei, sua madre, l'accusava con tono minaccioso per qualsiasi
sciocchezza, la guardava come se volesse farla sparire.
Perché?
Non lo sapeva.
Poi, c’era suo
marito che
dava
a
lei tutte
le colpe di quel disaccordo e
giustificava sempre la
figlia.
Ormai
le giornate erano tutte uguali.
Sembrava
che lei non fosse niente, che non esistesse neppure, non avesse più
sentimenti e desideri, solo incombenze da gestire.
Le
curve della strada erano sempre più strette, ai lati solo dirupi.
Lentamente,
stava scendendo anche la nebbia simile
a
un denso fumo bianco.
Non
vedeva quasi nulla e aveva tanta
paura.
E se fosse caduta in uno di quei precipizi
ai lati della carreggiata? Così, procedeva a passo d'uomo, cercava
di seguire la striscia del centro della strada, di tenersi lontano
dai lati. Ma era sempre peggio.
Infine,
aveva dovuto fermarsi ed
era
scesa dall'auto per capire dove dovesse dirigersi.
Forse,
avrebbe potuto dormire un
po’ in
macchina e
attendere il giorno, ma non sapeva neppure dove si trovasse né se ci
fosse uno slargo in cui parcheggiare.
Né
sapeva se ci fossero animali in giro e di che dimensioni.
La
nebbia si era diradata un poco e Giovanna
aveva ritrovato la striscia bianca
che divideva la strada. Il
terrore
di rotolare giù da una scarpata imprigionata tra le lamiere non
le dava pace.
Se fosse successo, forse
sarebbe stata ferita e nessuno l’avrebbe soccorsa oppure,
se fosse morta, chissà
quando avrebbero ritrovato
il suo cadavere!
Infine,
metro dopo metro, sperando di non commettere errori, era arrivata
sulla cima.
In
fondo, all'altro lato della collina, dopo la discesa, si scorgeva
come un presepe illuminato. Era un piccolo paese con le sue casette e
i suoi viali ordinati. La nebbia non
c’era più
e
la
luna, con il suo faccione rotondo, illuminava il
percorso
così che era riuscita ad arrivare facilmente
a
quel gruppo di case.
Nel
viale principale, aveva scorto l'insegna di un alberghetto
frequentato senz’altro,
nella
bella stagione, dai villeggianti.
Là
avrebbe
potuto mettersi al sicuro (anche
da se stessa)
e
trovare
asilo e riposo. Così aveva pagato una cameretta singola e vi si era
rifugiata. La mattina dopo ci sarebbe stata persino
una
colazione con i prodotti locali compresa nel prezzo.
La
stanza era davvero minuscola. A stento si passava tra il letto
singolo e l'armadio. In alto, appeso al muro, c'era un televisore
spento. Sul comodino di legno marrone chiaro, era poggiato il
telecomando. A casa, era abituata ad addormentarsi con la televisione
accesa. Chiudeva gli occhi e ascoltava un programma, così non
pensava ai suoi problemi o
a quello che avrebbe dovuto fare il giorno dopo.
Si
sarebbe comportata nello
stesso modo
pure
lì per
scacciare
i cattivi
pensieri.
Invece no,
d’ora
in poi Annetta avrebbe
cambiato tutto.
Si
sarebbe vestita meglio. Per prima cosa sarebbe andata dalla
parrucchiera e si sarebbe fatta fare
un
taglio di capelli più moderno.
Poi
avrebbe
visitato
un bel negozio fuori dell'isola e si sarebbe rifatta il guardaroba.
Non
si sarebbe più accontentata di
quell’esistenza
senza emozioni.
Magari,
avrebbe potuto seguire un corso di arte o di storia per adulti. Se ne
trovavano tanti in internet, anche on line.
Aveva
sete ed era scesa in cucina.
Da
poche ore, finalmente, avevano sospeso le ricerche. Non c'erano più
droni, elicotteri, carabinieri, volontari, cani molecolari ad
aggirarsi per l'isola.
Domani
sarebbe uscita dal nascondiglio e avrebbe trasformato
la sua vita. Non sarebbe stata più un pupazzo inespressivo nelle
mani degli altri, si sarebbe ribellata, sarebbe tornata a lavorare e
a curarsi di sé.
Quella
era l'ultima notte che avrebbe trascorso da sola.
Si
sentiva bene, ora che aveva deciso cosa fare.
Non
c'erano più bibite nella
dispensa,
sotto il lavandino era rimasta
un'ultima bottiglia di succo di ananas. Non le piaceva molto ma
l'aveva aperta e ne aveva buttato giù qualche sorso. Sì, non le
piaceva proprio l'ananas, aveva un gusto davvero strano.
Adesso
le girava la testa e le veniva nausea.
Avrebbe
preso un po' d' aria fuori, nel giardino. Tanto, ormai, anche se
l'avessero vista non aveva più importanza.
Giovanna
fissava la
luce e le immagini che
si
erano accese sullo schermo del
piccolo televisore.
Era Federica Sciarelli
che parlava: -È
stata ritrovata Annetta, la donna scomparsa da dieci giorni, nel
giardino di una casa disabitata durante l'inverno. Dovranno fare
l'autopsia e l'analisi della bottiglia di liquido che aveva con sé
ma pare che si sia uccisa con un
miscuglio di acido
muriatico e cloridrico che il proprietario usava per le pulizie e le
disinfezioni quando i turisti lasciavano la casa alla fine della
stagione estiva.
Il
prodotto, estremamente tossico,
si trovava, appunto, in una bottiglia di succo di ananas nascosta
sotto il lavandino. -
Le
ore di angoscia trascorse al volante si stavano allontanando dalla
sua mente. Forse, anche quella donna aveva provato quello che sentiva
lei. Forse, era fuggita
da casa spinta dal menefreghismo
e dall'ostilità degli altri, forse, non era riuscita a gestire
diversamente la sua sofferenza.
Infine,
però, si era suicidata o forse, chissà, aveva bevuto per errore da
quella bottiglia. Nessuno
l’avrebbe mai saputo.
Anche lei avrebbe potuto morire su quella strada impervia e sconosciuta.
Sarebbe
bastato un attimo, un piccolo errore e sarebbe precipitata con
l'auto.
Dio
- o la fortuna, il destino, una forza sconosciuta - aveva voluto
salvarla, non l'aveva lasciata morire!
Lei
era salva e Annetta era morta.
Non ne intendeva il perché.
Renata Rusca Zargar
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