CALDO RECORD. CE LA FAREMO?

 

Caldo record, siccità e danni. Ma la crisi climatica non si legge

CLIMA. Uno studio dell’Osservatorio di Pavia evidenzia come la stampa dedichi poco spazio all’argomento. Mentre si estende l’emergenza


Mauro Ravarino


Alla vigilia di una nuova ondata di calore, che infrangerà i più recenti record e in Pianura padana raggiungerà picchi di 42 gradi, si contano i danni (oltre i 3 miliardi secondo una stima di Coldiretti), si tampona (il governo ha decretato l’emergenza per 5 regioni del Nord e presto la estenderà ad altre 4), ma non si cambia rotta. Lo testimonia anche il poco spazio che la crisi climatica trova sui principali quotidiani italiani.

Non è una sensazione empirica, lo rivelano i risultati dello studio realizzato dall’Osservatorio di Pavia – specializzato nell’analisi della comunicazione – per Greenpeace Italia.

SONO STATI ESAMINATI gli articoli pubblicati fra gennaio e aprile 2022 dai 5 quotidiani più diffusi: Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa. Hanno pubblicato in media due articoli al giorno che fanno almeno un accenno alla crisi climatica, ma quelli che trattavano esplicitamente il problema sono la metà.

Al contrario, viene dato ampio spazio alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del Pianeta.

«Questo studio dimostra la pericolosa influenza esercitata dalle aziende inquinanti sulla stampa italiana, basti pensare che in quattro mesi, nei 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte – dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile comunicazione di Greenpeace Italia. – Grazie alle loro generose pubblicità, che spesso non sono altro che ingannevolegreenwashing, le aziende del gas e del petrolio inquinano anche il dibattito pubblico e il sistema dell’informazione, impedendo a lettori e lettrici di conoscere la gravità dell’emergenza ambientale che stiamo vivendo».

Giancarlo Sturloni, Greenpeace Italia
Le aziende del gas e del petrolio inquinano anche il dibattito pubblico impedendo di conoscere la gravità dell’emergenza.

SIA LE PREVISIONI, sia il recente rapporto Ispra (che analizzando il 2021 ha dedotto un trend bollente e siccitoso, – 7% di piogge), sia la percezione diretta in questi giorni di afa evidenziano la serietà dei cambiamenti climatici. E l’estate 2022 è pronta a battere ogni record. Si sta facendo strada sull’Italia una massa d’aria rovente, associata all’anticiclone africano, che determinerà una nuova impennata delle temperature, prima al Centro-Nord, già colpito dalla crisi idrica, poi anche verso Sud.

Un’ondata che riguarda buona parte dell’Europa, in particolare quella occidentale e meridionale. In alcune zone della Spagna il termometro toccherà i 44 gradi. E sono ancora in corso incendi nella zona Ovest del Paese.

TORNANDO ALL’ITALIA, il ministro Stefano Patuanelli ha comunicato alla Camera che lo stato di emergenza verrà probabilmente ampliato a Lazio, Umbria, Liguria e Toscana. L’Osservatorio dell’Autorità di bacino del fiume Po ha confermato una «severità idrica alta», che pesa su oltre un terzo della produzione agricola nazionale.

A breve non pioverà. «Nel tratto medio inferiore – ha precisato Andrea Colombo, responsabile tecnico dell’Autorità di bacino Po – il fiume accusa una diminuzione di portata importante: 200 metri cubi al secondo in meno della portata di riferimento, e questo comporta tutta una serie di problemi ambientali, idropotabili, agricoli. Le misure adottate sin qui sono essenzialmente legate a una riduzione del 20% dei prelievi irrigui ma fino al 22 luglio sono previste deroghe perché c’è l’esigenza di preservare il primo raccolto». La Regione Piemonte chiede che la riduzione non sia generalizzata.

LE ASSOCIAZIONI di categoria sollecitano ristori, ma c’è chi non concorda. «Tutta questa enfasi sui ristori e sull’emergenza è sbagliata e fa perdere di vista il problema strutturale nel suo complesso», sottolinea Paolo Mosca, presidente del Consorzio d’irrigazione di Crescentino, nel Vercellese, un territorio tra riso, mais e altri cereali. «Il ristoro più grande – spiega – sarebbe poter disporre investimenti su molteplici piccole opere a scala aziendale in grado di aumentare la capacità di accumulo idrico, potenziando le strutture esistenti e progettando micro-invasi. La situazione con cui ci stiamo confrontando non è episodica, è un fenomeno che diventerà abituale e che impone un cambiamento. Bisogna ripensare il modo di fare agricoltura, con metodi e reti di irrigazione più efficienti. Non penso, però, che la soluzione sia la risaia in asciutta, i dati ci dicono che la risaia tradizionale permette all’acqua di infiltrarsi nel terreno garantendo un fenomeno naturale di riuso e rallentamento dell’acqua sfruttando la capacità di accumulo a costo zero di milioni di metri cubi utili per tutto il territorio della Pianura padana».



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