ANORESSIA
Metro e bilancia. Misurare.
La via estrema ed impervia della magrezza: Il corpo come struttura relazionale - PSICHE.ORG
Che cosa?
I centimetri, i chilogrammi, distribuiti in forme che si assottigliano progressivamente fino a diventare esili certezze, sotto l’attento controllo di un carceriere.
Lo spirito, l’anima a cui ogni giorno la pelle si avvicina, scavalcando la gabbia tracciata dalle ossa.
E’ questa la via estrema e impervia della magrezza.
Si parla di anoressia, ovvero di un’alterazione del comportamento alimentare legato ad una distorsione patologica dell’immagine del proprio corpo. Le giovanissime sempre più spesso si trovano a dover fare i conti con veri e propri carcerieri interiori finendo spesso in circuiti di privazione molto severi.
Ad un certo punto ogni cosa diventa corpo, forma corporea, l’intera identità si svuota e diviene illusoriamente rintracciabile solo attraverso l’immagine esteriore.
Parlando con una persona che soffre di questo disturbo, dopo aver ascoltato minuziose descrizioni di cosa va bene e cosa va male nel proprio corpo, sulle quantità, sugli etti, sull’abbronzatura, ecc., viene naturale domandare:
“E tu dove sei? Dietro a questo corpo cosa c’è? O meglio dentro questo corpo cosa vediamo se ci sforziamo per un attimo di ridirezionare lo sguardo verso l’interno?”
E lì le descrizioni lasciano spazio al silenzio.
Di silenzio spesso si tratta, di un mancato sentire interiore, di una pienezza smarrita o di un deficit nella costruzione del Sè, potrebbero dire alcuni.
Ed è forse da questo stesso silenzio che si può partire.
Gli aspetti emotivi giocano sempre un ruolo importante e un lavoro sul contatto con le emozioni può essere il primo avvicinamento al mondo interiore da riscoprire. In questi pazienti i vissuti di rabbia e di paura non elaborati possono essere molto intensi e continuare a riproporsi.
La paura, che arriva fino ad un vero e proprio terrore di ingrassare può spiegare di per sé i comportamenti restrittivi, le condotte di espulsione e la necessità di controllo che configurano questa patologia.
Grasso a cui viene evidentemente attribuito un significato più profondo ed essenziale del semplice fattore estetico, significato talmente costitutivo e centrale da giustificare le condotte estreme.
Per certi versi si può parlare di anoressia nervosa come di un disturbo relazionale: il corpo è una struttura relazionale.
Si plasma attraverso la relazione e ad essa rimanda, parla agli altri, li cerca e li respinge senza usare voce.
La vasta letteratura sui disturbi dell’attaccamento mostra come esistano effettivamente correlazioni tra pazienti anoressiche e modelli relazionali insicuri costruiti, questi ultimi, all’interno di famiglie in cui la scarsa vicinanza emotiva o l’intrusività e l’iperprotettività erano preponderanti o venivano percepiti come tali (Cavanna et al., 2012; Tasca et al., 2014).
Come evidenziato nei tanti anni di ricerca clinica e scientifica, comunque, sarebbe riduttivo ricondurre lo sviluppo patologico solamente all’ambiente di vita familiare, perché sono sempre numerosi i fattori che poi portano a un determinato esito (Le Grange et al., 2009).
Nella stanza della psicoterapia sono numerosi gli aspetti su cui si può concordare di lavorare con il paziente.
Le persone che sviluppano un disturbo del comportamento alimentare, tendenzialmente hanno aspetti caratteriali e di personalità rigidi che si direzionano verso perfezionismo e bassa autostima.
Il perfezionismo, ad esempio, è uno stile di personalità caratteristico e multidimensionale che fa riferimento all’autoimposizione di elevati standard, al timore degli errori, all’imponente considerazione delle aspettative altrui, a dubbi sulle azioni da compiere e la conseguente necessità di avere un’organizzazione meticolosa. Il perfezionismo, in ogni caso, non costituisce di per sé un tratto patologico e lo diventa nel momento in cui il timore dell’errore e l’ipotesi dello stesso diventano inaccettabili per la persona (Frost et al., 1990).
Come il perfezionismo, anche la bassa autostima è considerata un fattore determinante nello sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare. Le persone affette da questo disturbo, infatti, tendono poi a darsi un valore legato esclusivamente al peso e alla forma corporea (Fairburn et al., 2003), ma sono primariamente condizionate pervasivamente dalla convinzione di non essere adeguate e competenti nei diversi ambiti richiesti dalla vita. È proprio questa convinzione che le porta per lungo tempo a soffermarsi sugli aspetti negativi di sé e alimentare il rimuginìo che le spinge poi a cercare una soluzione alternativa alla propria insoddisfazione (Vitousek e Hollon, 1990; Kerkhof et al., 2000).
In conclusione, metro e bilancia sono solo un aspetto esteriore, che si riesce facilmente a notare, ma che non dice tutto di chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare.
A un’analisi più attenta e approfondita emergono tanti aspetti da considerare che, se affrontati e trattati nel modo corretto, possono concorrere alla ricostruzione di un sé maggiormente coeso e degno di fiducia, ma soprattutto alla ripresa di una vita libera e portatrice di soddisfazione.
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