LETTERA APERTA da Paolo D'Arpini (CI VOLEVA CORAGGIO PER SCRIVERLA, rrz)


LETTERA APERTA

Il  saper trasmettere le immagini  è una funzione sciamanica, è la capacità di emettere forme pensiero rendendole visibili nella mente altrui. Questa è anche la capacità del poeta, dell’artista o di chiunque “rinunci” alla descrizione  logico analitica attingendo direttamente all’inconscio. 
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Ed è perfettamente vero che lo Spirito non può essere descritto ma solo sperimentato e qui  “appare” che il luogo, l’ambiente in cui si vive,  non è diverso dal sé attraverso il quale viene sperimentato, od almeno così mi sembra. Permanendo in quello stato “naturale” in cui ogni  differenza fra veggente e visto scompare. 
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Ed a questo punto che senso ha continuare a tentare di descrivere l’indefinibile (a causa della limitazione della mente)? Quel che “è” è pura e semplice coscienza, né persona né luogo, né uno né due … e nemmeno zero!
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Lasciamo quindi da parte la metafisica onirica e parliamo veramente del “luogo” -della bioregione in cui ci troviamo. La “nostra” terra viene oggi inquinata e svilita in vari modi.
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Se vogliamo che il fascino  della vita in questa Terra  abbia un senso e sia possibile anche per le generazioni future è giunto ora il tempo di scelte improcrastinabili, legate alla nostra alimentazione ed abitudini, al tipo di beni di consumo utilizzati, al nostro approccio generale nei confronti della vita. 
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Il riconoscimento del valore del nostro habitat, in quanto fonte di vita,  è semplicemente necessario poiché noi non siamo separati da esso, non siamo alieni su questa terra che così brutalmente e stupidamente  distruggiamo, tutto ciò che vien fatto di male ad essa lo facciamo a noi stessi. E non basta dirlo che “dobbiamo diminuire il consumo e limitare la sudditanza energetica”. 
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Economia non sono chiacchiere o speculazioni, economia significa “dare nome  e significato all’ambiente” e ciò che ha un nome  ha pure una funzione ed è vivo, anzi è l’unica risorsa vitale.
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E qui debbo per forza inserire un’altra -per me- importante considerazione sul rapporto ecologico con l’habitat ed i suoi abitanti tutti.
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Comincerò dagli “animali da compagnia”. Occorrono 750 scatolette di cibo per cani o gatti per avere l’equivalente in peso di una persona di media taglia (ossa escluse). Quindi dopo aver dato 750 scatolette ai  nostri “pets” è come se avessimo ucciso una persona dandola  loro in pasto. Sembra crudele ed esagerata una simile comparazione, il fatto è che dal punto di vista della vita non fa differenza fra un vitello od un uomo. In verità i cani ed i gatti nella nostra società non sono più “animali” sono semplici appendici dell’umano. Sono il nostro tentativo maldestro di giustificarci con noi stessi e con la natura. Quanti cani e gatti potrebbero sopravvivere naturalmente se non fossero da noi nutriti a scatolette? E perché li nutriamo?  Per quest’ultima domanda la risposta è semplice: abbiamo bisogno della loro complicità per sentirci “normali” (a posto con il conto) ed amici della vita. Tramite essi (i cani ed i gatti e gli altri pets) tentiamo di lenire il nostro malessere e la nostra alienazione. Ma torniamo alla domanda che non ha avuto ancora risposta… i gatti in grado di sopravvivere sarebbero tanti quanti i gatti selvatici ed i cani sarebbero tanti quanti i lupi… In Italia sarebbero ben pochi, forse qualche  migliaio e non di più. Al contrario i cani ed i gatti domestici sono svariati milioni, molti milioni di esemplari che confermano il nostro malsano “vizio”.
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Noi abbiamo il “vizio” del dominio sulla natura, un dominio che soprattutto si manifesta con l’agricoltura industriale  in ragione di soddisfare le esigenze dell’allevamento industriale. Divoriamo e distruggiamo la terra con l’allevamento e l’industria agricola. Gran parte dei quali frutti va a nutrire gli animali da macello erbivori, un’altra va ai nostri “amici da compagnia”, un’altra ancora finisce nei cassonetti  ed il restante serve a gonfiare l’uomo all’inverosimile, ammalandolo e rendendolo simile agli orchi delle favole….
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Nessuna meraviglia che fra di noi stia scomparendo il senso dell’appartenenza comune alla vita, l’egoismo e la stupidità imperano sovrani,  vanno di pari passo con l’aumento dei consumi della carne e delle sofisticherie. In inglese le chiamano “delicatessen” ma è solo un eufemismo per non dire “cimitero” alimentare,  magari ben organizzato tanto quanto uno “splendido” campo di sterminio nazista.  Ma la differenza tra carnefici e vittime e sempre più labile, è sempre più confusa….
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Naturalezza, magia, etica? Chiamiamo le cose con il loro nome…
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Paolo D’Arpini    – bioregionalismo.treia@gmail.com

Commenti

  1. La cosa giusta che condivido è lo spreco alimentare per nutrire gli esseri umani, non gli animali domestici. Lo speco d'acqua per alimentare gli allevamenti bovini e suini, non certo quello per alimentare i nostri pet che ci aiutano a vivere, che ci fanno compagnia. Che a volte diventano perfino indispensabili per alleviare la solitudine di tante persone. Ma non posso condividere il cinismo contenuto in questo articolo. Sono contraria allo spreco, alla iper alimentazione umana che è dannosa per la nostra salute. Penso e ne sono più che convinta che se si producesse meno carne da macello, sarebbe meglio per tutti. infatti gli allevamenti richiedono molta acqua e molti terreni agricoli per la sola alimentazione animale, penso al foraggio. Agli umani basterebbe nutrirsi anche una sola volta la settimana di carne macellata. Se si allevassero i bovini principalmente (e non suini) per il latte e i suoi derivati (burro e formaggio) sarebbe una grande conquista. Evitando di incrementare gli allevamenti, rimarrebbero a disposizione più terreni per l'agricoltura a favore dell'umanità. Su questo concordo, ma non sono da prendere in esame i cibi per cani e gatti. Nelle lattine o nei crostini prodotti per loro, di carne ce n'è ben poca e spesso sono scarti che diversamente finirebbero nell'inceneritore. A questa minima parte di carne viene aggiunto verdura e cereali. Anche questi scarti non adatti all'alimentazione umana. Non sono certo gli animali di compagnia a "rubare" nutrimento agli umani. Quel che mangiano loro non sarebbe comunque gradito a noi. Quindi invece di puntare il dito contro i pet vediamo di puntarlo contro noi stessi, che ci abbuffiamo di tutto e di più senza pensare che esagerando nei consumi si spinge i produttori a immettere sul mercato ancora di più di quanto ci necessita. Ogni problema presenta varie sfaccettature. Ci sono persone che pur di avere la compagnia di una bestiolina si toglie il pane di bocca, o lo divide semplicemente. Si tratta spesso di persone sole, se non fisicamente, almeno sotto il profilo psicologico. Si usa anche la pet-Therapy per rasserenare spiriti inquieti, turbati o con problematiche caratteriali. Cerchiamo di andare alla radice del problema, non ai rami lontani dallo stesso.
    Danila

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