RESISTERE ALLE TENTAZIONI di Gabriele Laganaro

 


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Annunciato domenica 25 gennaio 1959 da San Giovanni XXIII nella Basilica di San Paolo fuori le mura durante l'omelia nella festività della conversione di San Paolo e celebrato dall'11 ottobre 1962 all'8 dicembre 1965, il Concilio Ecumenico Vaticano II, ventunesimo nella due volte millenaria storia della Chiesa cattolica, fu commemorato, dal 24 novembre all'8 dicembre 1985, celebrando la Seconda Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi: i 165 padri sinodali riuniti a Roma, quasi suggello del loro convenire e lavorare presso la sede di Pietro, proposero al Santo Padre Giovanni Paolo II la redazione e la pubblicazione, poi realmente avvenuta nel successivo decennio, precisamente nel 1992, di una presentazione unitaria, precisa e completa della dottrina cattolica, il Catechismo della Chiesa cattolica, opera monumentale quadripartita per oltre 2800 punti. Particolarmente interessante, quale introduzione al nostro tema, è il numero 2340, dove vengono indicati alcuni mezzi affinché si rimanga fedeli alle promesse battesimali e si resista alle tentazioni, come «la conoscenza di sé, la pratica di un'ascesi adatta alle situazioni in cui viene a trovarsi, l'obbedienza ai divini comandamenti, l'esercizio delle virtù morali e la fedeltà alla preghiera». Avere conoscenza di sé significa praticare costantemente l'introspezione, essere intimi a se stessi per conoscere quali sono le fonti della tentazione a cui siamo più spesso esposti per poterle meglio evitare, per non farci trovare disattenti e non pronti nell'ora della prova; collegata alla conoscenza di sé è la pratica ascetica in costante dialogo con le concrete condizioni della vita quotidiana: ben pochi uomini del XXI secolo avrebbero la grazia soprannaturale per resistere agli assalti maligni che colpirono quei santi uomini delle generazioni passate come Antonio abate o Pio da Pietrelcina, ma l'imperativo categorico, per usare una terminologia kantiana, della perseveranza nella legge divina, fuggendo da ogni demonico assalto, è dovere di ogni battezzato; al centro dei cinque mezzi di resistenza esposti dal Catechismo si trova un elemento già anticipato al precedente punto della nostra riflessione di commento, vale a dire l'obbedienza ai divini comandamenti: dopo la disobbedienza di Adamo ed Eva l'uomo ha perduto l'originario carattere impressogli da Dio durante l'atto creativo, con la conseguenza che il suo libero arbitrio ha sì una tendenza a compiere azioni giuste, ma contemporaneamente anche un'inclinazione all'ingiustizia e al peccato, ingiustizia e peccaminosità che si combattono appunto con l'obbedire al divino volere; come un muscolo, per garantire la massima prestazione nel momento agonico, ha la necessità di essere costantemente allenato, così, anche le virtù morali non si può pensare di esercitarle solo nel momento in cui sono necessarie, ma sempre devono essere tenute attive, allenate e fatte proprie dall'uomo, in modo che, ove necessario, risultino essere un habitus: termine della filosofia scolastica medievale, con habitus si intende una virtù che è così abitualmente esercitata dall'uomo da divenire come un abito di cui egli può rivestirsi in modo da averne protezione; infine, la fedeltà alla preghiera, ricordando sempre l'ammonizione di Nostro Signore: «pregate sempre, senza mai stancarvi». Il 16 ottobre 1854 nasceva a Dublino l'esponente di punta dei decadenti e degli estetisti inglesi, Oscar Wilde, il quale, pur essendo prematuramente scomparso a Parigi, il 30 novembre 1900, incarnò per tutto il corso della sua esistenza terrena il modello dell'uomo edonista contemporaneo, dedito completamente al conseguimento del piacere sensuale qui e ora, senza alcuna prospettiva trascendente; la sua figura è esemplificativa di ciò che il cristiano mai può permettersi di essere, dato che il credente, al contrario di Wilde, il quale di se stesso diceva: «posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni», è chiamato a resistere, con la sobrietà e la vigilanza, al leone ruggente che è il diavolo, pronto a divorare l'anima che anche solo temporaneamente finisce tra i suoi artigli. Subire la tentazione demoniaca è esperienza comune a ogni cristiano e anche i Santi della Chiesa trionfante hanno dovuto subire le medesime prove di tutti noi ancora pellegrini sulla terra: perciò, citare aneddoti biografici su di loro non è mero aneddotismo, ma piuttosto illustrazione di un modello da seguire; San Tommaso d'Aquino, modello del filosofo cattolico e sacerdote domenicano, ci ricorda, nella sua opera maggiore, la Somma teologica, che «il minimo grado di grazia è capace di resistere a qualunque concupiscenza e di meritare la vita eterna», mentre il monaco cistercense San Bernardo di Chiaravalle ci esorta con una fortissima dichiarazione di teologia spirituale, scrivendo che «se insorgeranno i venti delle tentazioni, se incorrerai negli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria». Tutta la storia dell'uomo, fin dai primordi raccontati nel primo dei 73 libri componenti la Bibbia, la Genesi, è una storia di tentazione: i progenitori Adamo ed Eva non riescono a rimanere fedeli al divino comando di non cibarsi del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male perché tentati dal diabolico serpente, rompendo in questo modo l'alleanza tra Creatore e creatura che sarà pienamente ristabilita solamente per mezzo della cruenta immolazione di Gesù Cristo sulla croce; lo stesso Gesù ci parla dell'ineluttabilità del subire la tentazione: nel Padre nostro ci insegna a pregare affinché «et ne nos inducas in tentationem» e nel Vangelo secondo Matteo ci comanda «vegliate e pregate per non cadere in tentazione». Concludiamo queste riflessioni con una frase tratta dal testo anonimo tardomedievale l'Imitazione di Cristo, un bestseller vero e proprio ante litteram: «il fuoco mette alla prova il ferro, la tentazione mette alla prova il giusto».



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