da KETHANE: Il sorriso di Will e gli indifferenti di Paolo Cagna Ninchi
Il sorriso di Willy e gli indifferenti
“In
fondo era solo un immigrato”, queste le parole della madre di uno dei quattro
che per lunghi 20 minuti hanno pestato a morte Willy Monteiro Duarte, un
ragazzo di vent’anni con un grande sorriso.
Quando
una madre riesce a dire una cosa del genere del figlio di un’altra madre nella
nostra coscienza è successo qualcosa di molto profondo che non può essere
nascosto dietro minimizzazioni (era solo una rissa tra ragazzi, quella è solo
una piccola frangia, i nostri cittadini son tutti bravi ragazzi, e così via)
che o non vogliono vedere o, peggio, nascondono dietro parole di circostanza un
sentire comune con la violenza e in particolare con la violenza contro l’uomo
di colore, l’immigrato, lo “zingaro”.
Ma oggi
più di chi consente tacitamente – la politica dell’odio – o esplicitamente - le
orde del web feroce – guardiamo a coloro che non consentono ma rifiutano di
vedere il mutamento profondo della nostra società, della nostra coscienza
collettiva, perché fa paura o perché non conviene. Un mutamento lungo e lento e
proprio perché lungo e lento ha potuto erodere e trasformare nel profondo il
sentire e l’agire comune. Sullo spaesamento di fronte ai primi flussi
immigratori di qualche decina di anni fa si è accomodata la politica dell’odio
che su quello spaesamento ha costruito la propria strategia di consenso. Una
strategia per la sua costanza e pervasività – basta pensare al ruolo perverso
di un’informazione che alla ricerca della verità ha sostituito la ricerca
dell’effetto contingente, momentaneo accompagnando e, spesso, promuovendo la
deriva della politica razzista della destra – ha fatto, senza tante
distinzioni, dell’odio verso il diverso, il nero, l’immigrato lo “zingaro”, le
proprie fortune elettorali.
Pare
che nessuno si chieda quale sarebbe la società governata in un orizzonte cieco,
nel quale le possibilità di convivenza pacifica si riducono, differenze e
contrasti si acuiscono, cresce l’incapacità di fare i conti pacificamente con
fenomeni globali inarrestabili come l’immigrazione di milioni di esseri umani
dalla zone povere alle zone ricche della terra. Quello che conta per alcuni è
ciò che si raccoglie adesso, il facile consenso del disagio, del malessere
soggettivo e dell’odio coltivato, per altri è non riconoscere che alla nostra
società è stato tolto ciò che la rendeva degna di questo nome: l’attenzione e
il rispetto dell’altro, sostituendoli con l’indifferenza.
Eppure
non è possibile non rendersi conto che questa strada, l’indifferenza, la sottovalutazione,
la paura di riconoscere il buco nero nel quale lentamente sprofondiamo conduce
esattamente proprio là da dove dolorosamente siamo usciti poche decine di anni
fa.
Il
nazifascismo cresciuto nella crisi economica e nel disagio sociale ha fatto del
nemico – ebreo o zingaro che fosse – il collante del consenso all’idea della
differenza, razziale ma anche sociale ed economica, come modello di una nuova
società nella quale il destino degli altri era “indifferente”, e non solo. Come
si sa la prima cosa che si faceva agli internati nei Lager era toglier loro
l’identità, ridurli a numero, esattamente come un numero sono oggi gli
immigrati morti in mare, le migliaia che si accalcano ai confini dei ricchi
(Europa e USA), gli “zingari” che infestano le nostre periferie. Non persone,
uomini, donne, bambini con occhi, lacrime e sorrisi, storie, ma numeri,
etichette, categorie: l’immigrato porta via il lavoro agli italiani, lo zingaro
ruba, e così via.
Chi
oggi guarda quella foto meravigliosa del sorriso di Willy senza rendersi conto
che passata l’emozione, versata qualche lacrima (ricordate le lacrime per il
piccolo Aylan?), se non fa i conti con il punto al quale siamo giunti – perché
è un caso isolato, perché gli italiani non sono razzisti, perché è solo una banda
isolata, perché.. perché… –, con ciò che sta corrompendo la nostra coscienza,
diventa complice di un crimine. Esattamente come poche decine di anni fa lo
furono coloro che sottovalutarono, minimizzarono, per incomprensione o per
interesse, - tanto sono quattro scalmanati, poi ci pensiamo noi, e così via –
un fenomeno che aveva le sue radici profonde, oltre che nel nazionalismo
pacchiano e sfrenato, nella paura del nemico, vero o presunto, nel disagio e
nel malessere che rendono incerta la vita.
Il sorriso
di Willy ci può salvare se cerchiamo insieme di fare i conti con la realtà
profonda della nostra società e affrontiamo ciò che ci fa paura, l’ombra nera
che oscura la nostra coscienza.
(di Paolo Cagna Ninchi)
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