L'ULTIMA NOTTE racconto di Renata Rusca Zargar
Oetzi camminava un po’ ansimante
lungo il sentiero che si inerpicava su per la montagna. Il mantello di lunghi
fili d’erba intrecciati e annodati che portava sulle spalle e che, di solito,
gli serviva per ripararsi dal freddo e dalla pioggia, quel giorno, lo
appesantiva. Infatti, aveva dovuto fuggire dal piccolo villaggio dove aveva
sempre vissuto e trasportava tutte le sue cose con sé.
Di là dal sentiero, tra le cime che
stava percorrendo, esistevano altri villaggi dove avrebbe trovato rifugio. Il
tempo era ancora buono e, anche se aveva con sé solo un pezzo di carne secca e
un frutto di prugnolo, avrebbe trovato qualche bacca lungo la strada e sarebbe
arrivato a un gruppo di case prima che iniziasse la stagione delle nevi. Anzi,
appena giunto, avrebbe finito di intagliare il suo arco la cui asta in legno di
tasso era rimasta incompiuta per la fretta di fuggire. Om, l’uomo che aveva
preso il suo posto al villaggio scacciandolo, non gli aveva dato, certo, il
tempo di ultimare i suoi lavori. Se avesse avuto bisogno di combattere durante
il viaggio, però, avrebbe potuto adoperare l’ascia che egli aveva costruito
diverse stagioni prima, utilizzando il legno di tasso che prediligeva e il rame
per la lama, chiusi insieme dal catrame di betulla. Oppure, avrebbe sfoderato
il suo pugnale di selce con il manico di frassino che portava sul fianco
destro, assicurato alla cinghia. Oetzi era un abile intagliatore e sapeva bene
che spesso la sopravvivenza di un uomo impegnato a lottare, magari con un orso,
dipendeva anche dalla resistenza delle sue armi. Quando si sedeva all’ombra
della capanna, tutto intento a lavorare per aggiustare o costruire qualche strumento,
Kol, che invece separava il grano dalla paglia proprio là vicino, lo guardava
con i suoi occhi azzurri come il cielo sereno che si stendeva sopra le cime
degli alberi. Allora le mani di Oetzi, divenivano più capaci e veloci.
Kol… egli aveva dovuto lasciarla a
Om, insieme a Itzi. Che ne sarebbe stato di loro?
Il sentiero si restringeva man mano
che le rocce prendevano il posto della sterminata foresta. Gli ultimi raggi di
sole si infiltravano tra i rami delle betulle, degli abeti rossi e dei pini, scherzavano
quasi, producendo lame di luce che squarciavano l’ombra umida del sottobosco.
Stava scendendo la sera e conveniva trovare una grotta dove accamparsi. Là
avrebbe acceso il fuoco e si sarebbe
almeno riscaldato. Forse, una volta raggiunti altri uomini, avrebbe potuto
raccontare la sua storia e trovare aiuto.
Om era arrivato al villaggio prima
del tempo della grande neve. Era giovane e forte, recava con sé, oltre a
bacche, mele selvatiche e nocciole, una lince appena uccisa. Tutti gli avevano
fatto festa e avevano condiviso il suo cibo. Una delle capanne della tribù era
da poco rimasta vuota per la morte di uno degli uomini durante una battuta di caccia al bisonte. Egli avrebbe potuto
prendere il suo posto, vivere nella capanna, collaborare con gli altri per
l’approvvigionamento di cibo e tutti gli appartenenti al clan avrebbero potuto
contare su di un uomo giovane e forte in più. Per questo, nessuno gli aveva
chiesto da dove venisse e perché avesse lasciato il suo villaggio.
Poi, la neve aveva ricoperto ogni
cosa. La vita nel piccolo gruppo di case era attenuata dal freddo e solo
qualche volta gli uomini si avventuravano al di là degli alberi per uccidere
degli animali con i quali sostenere donne, bambini e vecchi. Om si univa agli altri nella caccia e tornava
ogni volta con qualche preda.
Intanto, Kol era diventata donna ed
era pronta a lasciare la capanna del padre per andare nell’abitazione di un
giovane uomo. Oetzi aspettava da molte stagioni il momento in cui ella sarebbe
andata a vivere con lui. Kol gli toccava, infatti, perché tutti gli altri
maschi (escluso Om, ma egli non lo includeva nel calcolo) avevano già una compagna.
Spesso si attardava a osservare il suo corpo che si stava trasformando, i suoi
capelli lunghi e gialli come il grano che raccoglieva nei campi… Anch’ella lo
guardava, aspettando un suo cenno.
Così, una gelida notte all’inizio
della lunga stagione invernale, Oetzi era andato alla capanna di Motz, il padre
di Kol, a prenderla. In cambio aveva lasciato una falce con la lama di selce da
lui stesso costruita e una pecora ancora giovane.
Kol aveva allietato ad Oetzi il
tempo dell’attesa della bella stagione. Allora, appena la neve aveva iniziato a
sciogliersi, egli era andato alla ricerca di una poiana. Dopo averla catturata,
ne aveva usato gli artigli per fare una collana da regalare a Kol. Quando, la
sera stessa, gliel’aveva infilata al collo, gli occhi di lei si erano
illuminati di pagliuzze dorate e le sue braccia dalla pelle liscia, come le
corolle dei fiori che spuntavano dalla terra non appena la neve se ne andava
via, avevano cinto le sue spalle e l’avevano riscaldato di un fuoco che non
aveva bisogno di legna da ardere.
Lungo il sentiero in salita,
spingendo avanti lo sguardo, Oetzi aveva visto, vicino ad un grande masso,
un’apertura: si sarebbe sistemato al riparo delle rocce e si sarebbe riposato
un poco.
Proprio in quell’attimo, però,
aveva sentito un dolore atroce trafiggergli la spalla sinistra. Girandosi per
vedere ciò che fosse successo, aveva scorto l’arma infilata nel suo corpo e,
contemporaneamente, più in basso, il viso di Om che spariva con un ghigno tra i
cespugli. Dunque, egli l’odiava tanto da averlo seguito fin lassù, per colpirlo
a tradimento!
Faticosamente, Oetzi si era
trascinato alla grotta. Aveva sistemato all’interno, appoggiate a una lastra di
pietra verticale leggermente inclinata, la sua gerla di legno ed erba che
conteneva quei pochi oggetti che aveva portato con sé e la faretra con le
asticciole delle frecce. Prima di tutto aveva cercato di togliersi di dosso la
freccia che l’aveva colpito. Con un grande sforzo e tanto dolore, era riuscito,
però, a staccare solo l’asticella mentre la punta era rimasta conficcata
all’interno della ferita. “Non fa niente, -pensava Oetzi- molte altre volte la
mia pelle è stata lacerata nella lotta con qualche animale. Anzi, una volta, un
orso sanguinario mi ha squarciato il petto. Brandelli di carne si sono staccati
e tanto sangue è uscito, rendendomi debole per tanto tempo. Ma, infine, sono
guarito e sono tornato a cacciare più forte di prima! Ho mangiato il poliporo,
sì, quel fungo dall’aspetto ripugnante che cresce sulle vecchie betulle e sono
guarito. Sarà così anche questa volta, prenderò quella medicina, guarirò,
raggiungerò un altro villaggio, racconterò di Kol e Itzi… Qualcuno mi aiuterà.-
Oetzi si era sdraiato a terra,
avviluppandosi nel suo mantello e stringendo le bande di cuoio del cappello di
pelliccia sotto il mento. Subito era caduto in un dormiveglia leggero: Om,
ecco, era giunto fin là, lo colpiva ferocemente con l’ascia, il suo sangue
sgorgava dalle ferite e si spargeva all’intorno mentre il suo avversario
rideva, rideva…
No, non vi era traccia di Om: ormai
se n’era andato credendo di averlo ucciso, non doveva più temere! Oetzi aveva
aperto gli occhi: la notte era scesa piuttosto buia e fredda. Batteva i denti.
Allora, con fatica, aveva aperto il marsupio di vitello conciato che teneva
legato in vita e ne aveva estratto l’occorrente per accendere il fuoco: un
pezzo di pirite, un nucleo di selce, una miccia di lapacendro… Allungando la
mano aveva tolto dalla gerla dei pezzetti di legno e, con poche mosse, era
riuscito ad accendere il fuoco.
La fiamma scoppiettava leggera, le
sue punte si allungavano da una parte e dall’altra creando un alone di luce
contornato da ombre nere. Il calore si spandeva al suo corpo intirizzito ed
egli si era raggomitolato ancora di più sotto il prezioso mantello d’erba.
Doveva mangiare la sua carne di stambecco per riprendere forza, anche se ora
gli sembrava dura e insapore. Eppure era stata Kol a prepararla, tagliando
lunghe strisce di carne e appendendole alle travi del tetto in modo che il fumo
del focolare, una volta raffreddato, le facesse essiccare. Era un cibo molto
nutriente ma, in quel momento, lo trovava immangiabile.
Oetzi non aveva molta legna con sé:
partendo, aveva pensato che avrebbe trovato rami ovunque, lungo il cammino. Ma
ora non era in grado di procurarseli. Non riusciva, infatti, quasi a muoversi e
il fuoco, non più alimentato, stava diventando debole. Nella luce sempre più
fioca, l’immagine di Kol danzava nell’aria. Gli veniva incontro, dolcissima,
con il loro bimbo tra le braccia e i morbidi capelli biondi che contornavano il
viso fresco e scendevano lungo le spalle… Poi appariva Om, proprio come quel
giorno che l’aveva sfidato a combattere per lei. Chi avesse vinto, avrebbe
avuto Kol. Oetzi non voleva combattere
perché Kol era ormai sua di diritto: il padre di lei gliel’aveva data! E poi, nella stagione calda era nato un
bimbo. Anzi, quando il piccolo Itzi era nato, Oetzi si era praticato un
tatuaggio incidendo la pelle e sfregandola con carbone di legna polverizzato:
egli avrebbe segnato la nascita di ogni loro figlio sul suo corpo, anche se
usava sottoporsi a tatuaggi solo per lenire il dolore alla schiena e alle
gambe. Avrebbe cresciuto Itzi facendolo diventare un forte cacciatore. Tutto il
villaggio sarebbe stato fiero, un giorno, di quel giovane cacciatore! Oetzi non
provava odio per Om: l’aveva accolto volentieri nel clan, aveva compiuto molte
battute di caccia insieme a lui e sempre avevano collaborato per uccidere i
grandi orsi. Gli aveva insegnato molti segreti per intagliare le armi, aveva
diviso grano e bacche durante il lungo inverno. Ancora poco tempo prima avevano
raccolto, tutti insieme, il farro nei campi intorno al villaggio! Ma ora Om
pretendeva di portargli via la donna e il bambino ed egli avrebbe dovuto
ingaggiare una lotta che ristabilisse i suoi diritti!
-Avanti, battiti!- gli urlavano gli
uomini, mentre le donne, lasciate per un po’ le loro usuali occupazioni,
osservavano con i bambini in braccio.
Infine, Om aveva vinto, lo aveva
colpito duramente, costretto a terra con il viso nel fango. Con un piede sulla
sua schiena gli aveva detto:-Vattene, ti lascio salva la vita, ma devi
andartene. Stasera stessa Kol sarà nella mia capanna.-
-E Itzi?- aveva chiesto Oetzi senza
respiro.
--Non so, vedremo, se non mi darà
fastidio…-
Oetzi aveva capito che la loro
sorte era segnata. Non aveva avuto il coraggio di alzare gli occhi a guardare
Kol, ma sapeva che le lacrime le segnavano le guance arrossate dall’intensa
emozione.
-Via! Via! Devi andare via.-
urlavano ora gli uomini con le facce feroci. –Sei un debole, non ti vogliamo.
Vai, e ringrazia che Om ti salva la vita.-
I membri del clan non volevano
più con loro chi aveva perso. Anzi, qualcuno cominciava a dire: -Bisogna
ucciderlo. È sconfitto, gli spiriti sono contro di lui.-
Non ricordavano le tante e tante
stagioni condivise: da bambini prima, a imparare dagli anziani i segreti del
bosco, dei campi, del tempo. Da adulti, poi, le giornate e giornate spese alla
ricerca di animali da conquistare per il villaggio, i lavori svolti insieme nei
campi e nella stalla, le sere passate
davanti al fuoco…
Le donne, in cerchio intorno allo
spiazzo dove si era svolta la lotta, ridevano. Qualche bambino aveva iniziato a
lanciargli dei sassi e dei pezzi di terra raggrumati, imitato dai piccolissimi
che si divertivano, considerandolo un
nuovo gioco.
Solo Kol teneva il viso basso e
sembrava che nessuna espressione si disegnasse dai suoi gesti.
In fretta, Oetzi aveva raccolto le
sue poche cose, le sue armi, alcune, come l’arco e le frecce, non ancora
ultimate, la scheggia di corno di cervo che usava per rifinire un coltello o un
pugnale, i suoi abiti che aveva
indossato uno sopra l’altro, tutti insieme…
Tristemente, battuto, si era avviato verso i monti, per un sentiero che
molte altre volte aveva percorso alla scoperta del mondo, orgoglioso della sua
forza e del suo coraggio.
La notte era trascorsa, il sole si
alzava splendido tra le foglie degli alberi e la temperatura diventava più
mite. Kol, che aveva dormito riparandosi sotto cespugli di erbe che ella stessa
aveva tagliato con la sua lama di selce, aveva attaccato Itzi, il suo bimbo, al
seno. Il piccolo, riscaldato dal corpo della madre e avviluppato in pelli di
vitello, beveva con avidità, ignaro di ogni problema.
-Mai, -pensava Kol – starò con
l’uomo che ha fatto del male a Oetzi e che sicuramente farà del male al mio
bambino. Raggiungerò Oetzi, anch’io so attraversare le montagne, insieme ci
rifugeremo in un altro villaggio o nella foresta.-
Nessuno tra la gente delle case dal
tetto di paglia poteva aiutarla: suo padre che l’aveva ceduta a Oetzi non
vantava ormai più alcun diritto su di lei. Ella sapeva che, tornando da lui,
nella sua capanna, egli l’avrebbe puntualmente restituita ad Om. Sua madre era
andata via da tante stagioni, fiaccata dalle nascite dei figli, molti morti da
piccoli, e da una malattia che l’aveva presa durante il tempo della grande
neve.
Allora ella, approfittando della distrazione di uomini e donne, intenti a festeggiare la vittoria di Om, era fuggita con il suo bambino. Come un animale, si era nascosta tra le foglie e Om, che era partito subito dopo all’inseguimento di Oetzi, non l’aveva trovata.
Allora ella, approfittando della distrazione di uomini e donne, intenti a festeggiare la vittoria di Om, era fuggita con il suo bambino. Come un animale, si era nascosta tra le foglie e Om, che era partito subito dopo all’inseguimento di Oetzi, non l’aveva trovata.
Così, quella mattina sulla fine della
bella stagione, Kol saliva per lo stesso sentiero percorso la sera prima da
Oetzi. Arrivando, infine, vicino ad un grande masso, aveva scorto un’apertura.
Quella era la grotta dove erano stati un giorno insieme: Oetzi stesso
gliel’aveva mostrata. Sulle pareti interne c’erano dei disegni fatti da
qualcuno prima di loro. Sì, li ricordava bene, alcuni stambecchi si delineavano
neri e rossi sulla pietra. Nello stesso giorno, Oetzi era riuscito a catturare
e uccidere uno stambecco vero e, alla sera, al villaggio, avevano fatto festa.
Kol ricordava la gioia sul viso del compagno, che era la sua stessa gioia. Ora,
invece, appena all’interno della fenditura nella roccia, ancora raggomitolato
per il freddo patito, Oetzi giaceva esanime. Il fuoco si era spento da quando
la luna brillava ancora alta nel cielo, intorno erano sparsi gli oggetti che
egli aveva usato per l’ultima volta e l’asticciola della freccia traditrice che
l’aveva colpito alle spalle.
Le lacrime avevano preso a sgorgare
dagli occhi di Kol ma aveva compreso che non c’era tempo da perdere. Nuvole
nere e minacciose si addensavano dietro le cime dei monti: sicuramente Om era
nei dintorni ed ella doveva salvare almeno il bambino. Oetzi aveva tentato di
strappare dal suo corpo la freccia, cercando di serbarsi la vita, ma la punta
era rimasta all’interno e aveva portato via il suo spirito. Egli aveva
sbocconcellato, prima di morire, un piccolo pezzo della sua provvista di carne.
Un altro giaceva sul terreno. Kol lo aveva preso, l’avrebbe sostenuta durante
il viaggio. Con un ultimo gesto gli aveva aggiustato addosso la veste di
pelliccia, i gambali di pelle che ella aveva cucito con filamenti di tendini di
animale, raddrizzato il grembiule di cuoio. Una scarpa gli era sfuggita da un
piede ed ella gliela aveva reinfilata, dopo averne sistemato il fieno interno,
quindi, l’aveva ricoperto completamente con il bellissimo mantello d’erba che
Oetzi stesso si era fabbricato qualche tempo prima perché lo riparasse da neve
e pioggia durante i giorni di caccia nella brutta stagione. Così, avrebbe
trovato l’ultimo riparo, mentre il cielo si era fatto grigio e grossi fiocchi
di neve iniziavano lentamente a cadere. Avrebbe voluto piangere il suo
compagno, dargli il conforto di una sepoltura, ma non poteva farlo perché doveva
fuggire. Itzi sarebbe diventato un grande cacciatore come suo padre e per
proteggerlo ella sarebbe scesa velocemente verso valle per scampare alla
tempesta che ci sarebbe stata di lì a poco. Aveva sentito, dai racconti degli
anziani, che a valle si trovavano villaggi ospitali. Là scorreva una grande
acqua e l’uomo sapeva prendere i pesci che vivevano all’interno dell’acqua con
una rete (anche Oetzi ne aveva una). Ella avrebbe offerto la sua forza e la sua
abilità nel separare il grano dalla paglia, nel cuocere i cibi, nel costruire
oggetti utili. Molto aveva imparato da Oetzi e dagli altri del gruppo
osservandoli sempre quando lavoravano. Avrebbe insegnato tutto questo a chi non
lo sapeva ancora. In cambio, avrebbe chiesto asilo per sé e per il bimbo, il
figlio del suo compagno Oetzi. Avrebbe ricordato sempre Oetzi nelle lunghe
notti della stagione fredda e il suo spirito l’avrebbe raggiunto, un giorno.
Quando Om era tornato alla
grotta a controllare che Oetzi fosse veramente morto, aveva trovato solo il suo
cadavere. Spinto da un ultimo gesto d’odio, gli aveva sferrato un calcio nelle
costole e, velocemente, era tornato, vincitore, al villaggio.
Ma Kol non l’aveva vista mai più.
Questo racconto di mia creazione si
ispira al ritrovamento nel settembre 1991 della mummia del tardo neolitico
ritrovata nel ghiacciaio dello Hauslabjoch, comune di Senales, provincia
autonoma di Bolzano, Alto Adige, Italia.
Le notizie scientifiche riguardanti
la vita degli uomini di 5300 anni fa
sono tratte dal libro di KONRAD SPINDLER “L’uomo dei ghiacci” e dal programma
“La macchina del tempo” di Rete 4.
Questa narrazione mi ha fatto tornare indietro nel tempo. Così, mentre leggevo soltanto, sono stata là. Ci ho vissuto e mi sono commossa e intenerita. Mi è dispiaciuto quando mi sono accorta che ero tornata qui. Lontano da Kol e da Itzi e dal loro mondo.
RispondiEliminaAngela Fabbri