I MIEI PECCATI DURANTE UNA MAMMOGRAFIA di Renata Rusca Zargar
In data 19 novembre, mi sono recata presso l'ospedale San
Paolo di Savona per un controllo, cioè per sottopormi a una mammografia. Faccio
questo esame ogni anno perché mi considero una persona a rischio dato che,
nella mia famiglia, persino un maschio ha avuto il tumore al seno (infine, è
morto a 54 anni). Inoltre, quella che ho ora, è precisamente l'età in cui si
sono ammalate sia mia madre che mia zia.
Appena entrata nel laboratorio, mi è stato detto di
togliermi gli "orecchinoni" (cosa che ho subito fatto, anche se non
erano così grandi come sembrava alla mia interlocutrice). Mi è stato pure
chiesto di togliermi la catenina. Nelle visite precedenti, dato che la mia
catenina, dono dei miei suoceri, ha una chiusura a 8 che posso solo aprire con
l'aiuto dei denti (o di una pinza), mi era stato concesso di girarla sulla
schiena. Questa volta no, per cui, in un attimo, essendo io di natura
collaborativa, l'ho tolta. Nonostante ciò, mi è stato ripetuto parecchie volte
che non si può tenere la catenina, che se cade in avanti bisogna rifare
l'esame, ecc. ecc., verità più che ragionevole. Dopo la terza ripetizione, se
cade in avanti… ecc. ecc., ho ribadito, però, che era una polemica sterile
perché io l'avevo già tolta.
Il 19 novembre pioveva e la giornata non mi diceva bene
perché, ho chiesto se potevo fare una domanda. Mi è stato risposto di sì e così
ho fatto riferimento al servizio televisivo della Gabanelli che aveva affermato
(sintetizzo) che i macchinari delle mammografie non sono aggiornati e spesso
non vedono i noduli.
Mi è stato spiegato che non è affatto così e che i motivi
per cui alle volte si torna in sala operatoria non sono per colpa del
macchinario. Tutte spiegazioni che ho accettato tranquillamente, perché le
capisco solo in parte non essendo un medico ma anche non avendo motivo di
dubitare dell'opinione di chi è esperto del suo lavoro.
Nonostante la mia accettazione, mi è stato fatto ancora
riferimento a un articolo de Il Secolo xix, e, avendo confessato di non averlo
letto, mi è stato detto che bisogna leggere e non guardare la televisione, che
la persona che mi stava parlando "legge", lei!
Per salvare il salvabile, dato che non è mia abitudine
litigare con chi ha il coltello dalla parte del manico, ho fatto una timida
battuta scherzosa del tipo "Sì, sono teledipendente". Allora, sono
stata informata che non bisogna guardare la Rai, cosa fa la Rai?, che bisogna
guardare solo le notizie di Sky news 24, che la persona in questione guarda
solo quello.
Ho accettato tutti questi utili suggerimenti e mi sono
intimamente compiaciuta che, andando in un laboratorio di analisi, gli italiani
possano ricevere qualche lezione di quella che viene chiamata educazione
permanente.
Prima di andare via, purtroppo, essendo io tarda di
comprendonio a differenza delle mie interessanti interlocutrici, ho chiesto
ancora se mi potessero dire se avevano visto qualcosa di brutto nel mio esame…
Mal me ne è incolto e ho peggiorato ancora la mia posizione, già sull'orlo di
un dirupo, aggiungendo che in passato mi era stato detto! È stata la classica
goccia che ha fatto traboccare il vaso! Una delle due gentili signore, molto
disgustata, ha dichiarato di dover riferire (forse in alto loco, non ho capito)
che "prima la collana, ora anche dirmi qualcosa"!
Sì, lo confesso, in passato, nello stesso laboratorio ma
anche all'ospedale di Cairo, sono stata trattata come un essere umano
preoccupato. Non mi è stato anticipato il referto, che viene stilato dal
medico, ma mi è stato fatto coraggio, considerando la mia situazione familiare
e le mie paure. Alle volte, si possono dire le stesse cose con toni diversi e
parole diverse. Dipende dalla qualità delle persone, che poi è la vera
professionalità.
Io penso che un professionista, anche se si fregia di
elevate capacità tecniche ma non ha capacità umane, ha senz'altro sbagliato
mestiere. Penso che il paziente non sia un pupazzo da strapazzare ma una persona da rispettare, anche quando
sbaglia.
Forse, le signore erano tanto agitate perché avevano
litigato proprio quella mattina con il marito o con i figli.
Capita. Anch'io ho litigato con mio marito o con i figli nei
miei tanti anni di insegnamento. Oppure mi sono morti, uno ad uno, tutti i miei
parenti e sono rimasta sola. Ma quale fosse il mio disagio personale lo lasciavo
fuori della porta della scuola perché i miei alunni non potevano pagare per i
miei problemi. Anzi, nei momenti disperati, il lavoro era un'oasi di pace per
me.
In particolare, poi, credo che una donna si debba comportare
al lavoro con più passione e dignità di un uomo perché ha la fortuna di essere
pari e di poter esprimere liberamente le sue capacità. Non tutte le donne hanno
questa fortuna!
Per ultimo, ma non meno importante, chi fa una professione
sanitaria, maschio o femmina che sia, ha un valore aggiunto nella sua vita: può
tendere la mano e alleviare le sofferenze degli altri esseri umani.
Se li tratta come bambole di pezza, se non sa controllare le
sue emozioni negative, se dà l’impressione di essere sull’orlo di una crisi di
nervi, e succede spesso, vuol dire che non è all'altezza, che è meglio stia a
casa a fare le torte e lasci il posto di lavoro a chi se lo merita.
Certamente, quando ci sarà da fare un'altra mammografia,
rifletterò a lungo prima di tornare all'ospedale San Paolo.
In questo lungo anno di entrate e uscite dall'ospedale di Cona (Ferrara), ho incontrato medici, infermieri e tecnici sanitari di tutte le tipologie. Quelli bravi e anche umani han superato di gran lunga i ‘deficienti’, nel senso letterale della parola (‘manchevoli di qualche qualità’). Sono stata fortunata, ma non è ‘fortuna’ quel che ci si dovrebbe aspettare dovendo incontrare la Sanità.
RispondiEliminaRiguardo l’incontro avuto da Renata e di cui dice << un professionista, anche se si fregia di elevate capacità tecniche ma non ha capacità umane, ha senz'altro sbagliato mestiere >> vorrei evidenziare che un tale professionista ‘si sfregia’ da solo e, sia donna che uomo
(poiché non sono sessista e vedo pregi e difetti in entrambe le categorie), ANCHE se resta a casa a fare TORTE, troverà il modo di farle andare di traverso a chi le offre.
Angela Fabbri, qui da Ferrara, 21 novembre 2019
Completamente d'accordo! Meglio lasciar perdere anche le torte!
EliminaSì, Renata, ma converrai anche tu che è un ben triste destino. Non esiste salvazione?
EliminaAngela