da TERRELIBERE.ORG: AISHA, 8 ANNI, CONTRO L'ITALIA
Lampedusa. Aisha, 8 anni, contro l’Italia
27 maggio 2018
Arriva alla Corte europea la denuncia di una famiglia tunisina.
I loro diritti sono stati violati dall’Italia. Ancora una volta nel famigerato
hotspot
In pochi giorni Aisha è svenuta per la
fame e la sete in una barca alla deriva partita da Sfax; ha visto un balordo
provare a stuprare la madre davanti ai suoi occhi; ha subito un colpo
all’addome durante una violenta carica della polizia italiana. Vive in uno
stato di paura costante che la porta a perdere i sensi.
Adesso è il tempo del
risarcimento. In questi giorni il suo caso arriva a Strasburgo presso la Corte
europea dei diritti umani. Da un lato una bambina tunisina di otto anni e la
madre. Dall’altro, il governo italiano.
“Eravamo in 40 su una barca e ci siamo persi”, racconta
la madre. “Abbiamo incontrato un peschereccio. Gli abbiamo chiesto di
riportarci in Tunisia. I pescatori hanno rifiutato”. Tre giorni senza mangiare
e bere. Poi una luce in lontananza e altre nove ore per arrivare alla salvezza,
cioè l’isola di Lampedusa. Sono le due di notte del 15 febbraio. Aisha sviene e
viene portata via in ambulanza.
Squallido e trasandato
La famiglia vuole chiedere asilo.
Ma non può. “Per tutto il tempo della permanenza non hanno ricevuto alcun
documento attestante la ricezione della domanda di protezione”, dice Giulia
Crescini, legale della famiglia.
Una donna e una bambina di otto anni sono sicuramente figure
vulnerabili. Invece rimangono nell’hotspot. Insieme a tutti gli altri. Il
“Garante nazionale dei diritti delle persone detenute” – una istituzione dello
Stato – parla di un luogo “squallido e trasandato”. Ci sono poliziotti e cani
lupo sciolti nel cortile, materassi di gommapiuma sporchi. L’acqua calda?
Un’ora al giorno. E di notte nei bagni non c’è neanche quella fredda. Al
mattino i liquami si accumulano nei bagni, “a pochi metri dalla stanza
dei materassi”. Senza porte tra dormitori e gabinetti.
Tutti vogliono andare via. Alcuni per farlo ricorrono a
mezzi estremi. Uno si cuce le braccia col filo spinato, un altro ingoia una
lametta.
Nel centro si parla ancora di W.
Si è suicidato un mese prima. Trattenuto per due mesi, aveva ricevuto l’ordine
surreale di lasciare l’Italia. Era affetto da disagio psichico, aveva bisogno
di farmaci non disponibili sull’isola. Avrebbe meritato una protezione
umanitaria.
Si può discutere di tutto, ma di certo non è un luogo
adatto a una bambina che porta ancora i segni della traversata in mare. Invece
madre e figlia dormono in un corridoio. Insieme agli uomini.
Una notte, Aisha vede qualcuno
che si avvicina alla madre. La molesta, poi prova a violentarla. Solo le urla
della donna richiamano il compagno, che impedisce l’abuso. Non ci sono
poliziotti. Aisha cade in preda a un attacco di panico. Sviene. Per due ore
rimane priva di sensi.
L’incendio
“Un poliziotto spingeva e
picchiava con il manganello chi era in fila per prendere il pasto, senza
motivo”. Un gruppo, stanco, chiede di andare via. “Mentre questi parlavano con
la sicurezza, tre migranti rimangono indietro e danno fuoco a una stanza”,
raccontano gli attivisti della campagna “Lasciatecientrare”.
L’8 marzo tutto precipita. “Si è creato panico diffuso e
gli addetti alla sicurezza hanno tenuto i manganelli in mano, contribuendo a
diffondere ancor più panico tra la gente che ha iniziato a correre da tutte le
parti, mentre la polizia, in assetto antisommossa, ha iniziato violente
cariche. Alcuni sono riusciti ad uscire dal cancello principale, altri sono
usciti da un buco presente nella recinzione. Altri ancora sono rimasti bloccati
e schiacciati all’ingresso”.
“Le autorità di polizia hanno risposto con la forza picchiando
indiscriminatamente uomini, donne, bambini”, denuncia Crescini. Un colpo di
manganello raggiunge Aisha all’addome. La bambina finisce al pronto soccorso.
Sul lettino, urla disperata. “Me lo dai questo video?”, dice qualcuno non identificato
a chi sta riprendendo la scena.
Intanto le fiamme hanno definitivamente peggiorato le
condizioni del centro rendendolo inagibile. Ma per Aisha e la famiglia c’è
ancora una settimana da passare nel centro semi-incenerito.
Segni di percosse.Il morso
“Io sono stato picchiato tante
volte dalla polizia e dagli altri maggiorenni. Anche un cane della polizia mi
ha morso e i poliziotti ridevano mentre mi mordeva e non facevano nulla”. Ahmed
è un minore intervistato dagli attivisti di Cidl, Asgi e Indiewatch, le
associazioni che hanno prodotto un dossier su quello che è successo a Lampedusa
in questi mesi.
“Sono quotidiani i pestaggi degli ospiti, le perquisizioni
arbitrarie e le minacce”, dicono i legali.
La storia è sempre la stessa da anni. Lampedusa è una
pentola a pressione. Se si usa il centro come hub per le espulsioni, con
trattenimenti a tempo indeterminato. Prima o poi esplode.
I migranti dovrebbero rimanere al
massimo 48 ore. Ma ci sono trattenimenti di mesi. È “reclusione senza reato”. E
da quando è diventato un hotspot, secondo il modello europeo, tutto è
peggiorato.
Gente che non ha diritto
Quando arrivano a Lampedusa, i
tunisini non possono chiedere asilo, come vuole il diritto internazionale. Al
massimo possono “manifestarne la volontà”. Compilare il modello C3 è
praticamente impossibile. Vengono considerati “migranti economici”, gente da rispedire
a casa.
L’asilo ai tunisini romperebbe l’unica catena di
montaggio che funziona, insieme a quella con l’Egitto. La catena delle
espulsioni, di cui ogni governo ha voglia di vantarsi.
Sono i vecchi accordi stipulati
con Ben Alì e Mubarak. Trattati non come dittatori sanguinari, ma interlocutori
alla testa di paesi sicuri. Paesi in cui rispedire chiunque, in base alla
nazionalità, senza considerare la storia individuale, senza ascoltare cosa ha
da dire.
Il caso di Aisha è esemplare. La madre si separa dal
marito – situazione problematica in Tunisia – ha un nuovo compagno e vuole dare
alla figlia un futuro migliore. Denuncia l’ex marito per violenze e parte per
l’Italia. Pensava di affrontare soltanto il mare, non una fortezza.
Chiuso / aperto
“Mi hanno dato un libretto dove
c’erano scritti i miei diritti, ma secondo me è una barzelletta, perché te li
fanno vedere, ma se chiedi i diritti ti picchiano”, dice ancora un tunisino.
Nell’isola, in vista della
stagione estiva, si alzano voci allarmate. I “clandestini” allontanano i
turisti. Secondo “La Stampa”, ci sarebbe un patto per non allarmare Lampedusa
alla vigilia della stagione turistica: i migranti sono stati “scoraggiati” a
girare per le strade.
È un dibattito che si trascina sempre uguale da anni. Anche
lo status “aperto/chiuso” è una costante. Il 13 marzo scorso il ministero
dell’Interno aveva annunciato un “progressivo e veloce svuotamento” in vista
dei lavori di ristrutturazione. Ma al prossimo sbarco, Lampedusa rischia di
riproporre la solita galleria degli orrori. Perché non è e non sarà mai
un’isola-prigione.
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