Notiziario dal Centrafrica
“Ho paura. Ma voglio ancora diventare
prete.”
Notiziario dal Carmel di Bangui n°
23 – 17 Dicembre 2018
In classe, durante la lezione, è inevitabile parlarne. La mattina del
15 Novembre ad Alindao, cittadina a circa 500 km da Bangui, un campo di
sfollati situato nei pressi della Cattedrale, è preso d’assalto da un gruppo di
ribelli islamisti che porta il curioso nome di Unione per la pace in
Centrafrica. Si tratta di uno dei tanti gruppi, agli ordini di un certo Ali
Darassa, sorti dalla dissoluzione della Seleka e che ancora infestano i tre
quarti del paese. I morti sono più di ottanta. Un vero massacro. Anzi, una
razzia: oltre alle persone uccise, i ricoveri degli sfollati sono incendiati,
l’intero sito è raso al suolo, le abitazioni sono saccheggiate, la chiesa è
profanata. La strage avviene davanti all’inerzia del contingente dell’ONU che
avrebbe, di per sé, il mandato di proteggere i civili. Tra le vittime, oltre a
donne, bambini e persone anziane, anche due sacerdoti: abbé Célestin e abbé
Blaise. Il coraggio del giovane vescovo di Alindao, Cyr-Nestor Yapaupa,
impedisce che il bilancio sia ancora più pesante. Invece di accogliere la
gente, che vorrebbe trovare rifugio all’interno della cattedrale, ordina a
tutti di scappare nella savana. Se i cristiani non gli avessero obbedito, il
numero dei morti sarebbe stato ancora più alto. Il vescovo, comunque, e alcuni
sacerdoti decidono di restare.
La notizia e i dettagli dell’avvenimento
ci raggiungono increduli e scoraggiati. Le foto dei cristiani carbonizzati
fanno il giro del mondo. Le già lentissime lancette dell’orologio della pace
sembrano improvvisamente e drammaticamente correre all’indietro. Il Centrafrica
sembra ormai essersi ingarbugliato in un inestricabile groviglio d’ingerenze
straniere, inadempienze della comunità internazionale e incapacità del governo
locale. L’elemento confessionale non fa che rendere il cocktail ancora più
micidiale. Alcuni giorni dopo gli avvenimenti, partecipiamo a un incontro di
sacerdoti a Bangui. È presente abbé Donald, appena arrivato da Alindao.
Originario di Bangui, sacerdote da poco più di un mese, aveva trascorso al
Carmel i giorni di preparazione all’ordinazione, ascoltando con attenzione le
conferenze del sottoscritto. Conferenze che avrebbero dovuto dargli le ultime
istruzioni prima di essere un ministro di Dio per sempre. Da qualche settimana
Donald era stato inviato in aiuto alla diocesi di Alindao. Questa volta sono io
che ascolto con attenzione la sua conferenza, nonostante sia ancora sotto
shock, circa quanto avvenuto ad Alindao. Donald non ha ancora avuto il tempo
d’imparare a fare il prete; ma ne ha già visti due morire, davanti ai suoi
occhi, uccisi per il vestito che indossavano e il mestiere che esercitavano.
In classe, durante la lezione, è quindi
un dovere parlarne. Gli studenti che ho davanti non sono allievi qualunque.
Sono i futuri sacerdoti del Centrafrica. Provengono dalle città e dai villaggi
dell’intero paese. Hanno visto la guerra e ora sono nel Seminario di Bangui
perché vogliono fare lo stesso mestiere di Célestin e Blaise. Poi ripartiranno,
sacerdoti, nelle diocesi da cui sono venuti. Chiedo loro se hanno ancora voglia
di continuare il cammino intrapreso e se sono consapevoli della missione ad
alto rischio che li attende. Odilon, dall’alto dei suoi vent’anni, risponde per
tutti: “Ho paura, mon père. Ho tanta paura. Ma non cambio idea. Voglio
ancora diventare prete”. La sua sincerità e il suo coraggio disarmerebbero
anche Ali Darassa. Vorrei dire a Donald che ho paura anch'io. Ma nessuna
voglia di cambiare mestiere. Penso al giorno in cui sono diventato sacerdote.
Proprio non immaginavo che sarei finito qui, a spiegare chi era Origene e
Agostino, a decine di volti neri, curiosi e imprevedibili, ostinatamente
convinti che si può e si deve diventare preti, anche in un paese in guerra.
Davanti al massacro di Alindao i pastori
delle nove grandi diocesi del Centrafrica hanno voluto coinvolgere tutti i
cristiani del paese in un gesto di grande coraggio e di forte valore simbolico.
Un gesto di solidarietà nei confronti dei cristiani di Alindao, un lamento
corale perché qualcosa cambi, un’ennesima e disperata supplica affinché chi può,
faccia qualcosa e lo faccia presto. Un gesto non polemico e contro nessuno. Una
famiglia in lutto non può fare festa. E così, lo scorso 1° dicembre, giorno
della sentitissima festa nazionale del paese e 60° anniversario
dell’indipendenza, i cristiani sono stati invitati ad astenersi da ogni tipo di
festeggiamento. Non si può festeggiare per una nazione che non c’è e che sta
soffrendo da troppo tempo. Al Carmel abbiamo trascorso l’intera giornata in
adorazione davanti al Santissimo Sacramento.
Poco dopo, però, l’8 Dicembre, una festa
c’è comunque stata per la nostra famiglia: quella per la professione solenne,
cioè l’impegno definitivo nella famiglia del Carmelo, di fra Michaël. Il padre,
ormai anziano e completamente cieco, non ha voluto mancare all’avvenimento.
Ottavo di ben dodici figli, originario di Bocaranga, una delle città più
colpite dal conflitto, fra Michael ha raggiunto questo importante traguardo
dopo molti anni di formazione. Il suo ingresso definitivo nell’Ordine segna
inoltre un importante traguardo non solo per lui, ma per l’intera delegazione
dei carmelitani scalzi in Centrafrica. Il numero dei frati autoctoni supera per
la prima volta quello dei missionari italiani attualmente in servizio in
Centrafrica: un piccolo contingente di mantelli bianchi, multietnico e in
discreta salute.
C’è forse un legame tra il sacrificio
dell’abbé Célestin e dell’abbé Blaise, il coraggio del vescovo Cyr-Nestor,
quanto ha visto abbé Donald, la solenne promessa di Odilon e il per sempre di
fra Michaël? Sant’Agostino chiedeva a Dio, per sé e i suoi pastori, di amare il
proprio gregge fino a morirne aut effectu aut affectu, cioè di fatto,
con il sacrificio della vita, o con il cuore, nella dedizione senza risparmio
al servizio del popolo di Dio. In passato gli argomenti per parlare male di
questa giovane chiesa non sono certo mancati. Questo 2018, ormai alla fine e
dove ben cinque sacerdoti e decine di cristiani sono stati uccisi durante le
celebrazioni o nei pressi delle loro chiese, ci consegna una chiesa sicuramente
ancora giovane e fragile, ma che non scappa davanti al nemico e i cui pastori
non sono mercenari.
Buon Natale!
Padre Federico
Più informazioni sul sito www.amiciziamissionaria.it/Donazioni.aspx
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