LO SCANDALO PELOSO DELL'OMICIDIO KASHOGGI di Renata Rusca Zargar
Il
2 ottobre, Jamal Khashoggi è scomparso all’interno del Consolato saudita a
Istanbul. Da allora, su questo evento, sono rimasti accesi i riflettori dei
media, forse, anche perché Erdogan ha fatto da cassa di risonanza, accusando le
autorità saudite di aver pianificato e fatto eseguire tale omicidio.
Khashoggi,
scrittore e giornalista, è stato, per molto tempo, un pilastro dell'establishment
saudita: aveva lavorato come redattore presso le emittenti dell'Arabia Saudita
ed era stato persino consigliere di un ex capo dell'intelligence. Ultimamente,
però, aveva iniziato a criticare il governo del suo paese, si era auto esiliato
e, in particolare, contestava la guerra in Yemen. Probabilmente, era
considerato un dissidente troppo pericoloso.
Erdogan,
invece, è un capo di stato che controlla i giornali turchi, perché ha duramente
represso oppositori e giornalisti. In questo caso, però, è a conoscenza di
quanto sia realmente avvenuto nel consolato saudita, grazie a registrazioni audio carpite da microspie piazzate
al suo interno. Allora, difende la libertà di stampa perché ciò potrebbe assestare
un colpo mortale all’Arabia Saudita e al principe ereditario.
In
generale, comunque, l’opinione pubblica occidentale è rimasta molto scossa per
la brutalità del delitto, visto che si
presume che il cadavere sia stato addirittura decapitato e fatto a pezzi con
una sega.
L’uccisione
di un giornalista che esprime le sue opinioni, che fa inchieste, che mostra a
tutti la verità, non è un fatto nuovo. Tutti ricordiamo tanti altri martiri, uomini
e donne, uccisi, minacciati, torturati, per impedire loro di scrivere e di
denunciare, ovunque, nel mondo. Ma non c’è bisogno di andare tanto lontano,
basta anche solo pensare agli omicidi e alle
minacce di mafia, camorra, clan criminali e simili, in Italia.
Il
povero Khashoggi ha generato, dunque, un’universale levata di scudi contro
l’Arabia Saudita che, tuttavia, è un paese dove esiste la pena di morte,
praticata molto attivamente e senza moratoria alcuna (terzo paese boia al
mondo, dopo Cina e Iran).
Dal 2015,
l’Arabia Saudita guida una coalizione di nove paesi arabi, sostenuti dagli Stati Uniti,
per combattere i ribelli sciiti, simpatizzanti dell’Iran, in
Yemen.
Eppure, nessuno
ha criticato l’Arabia Saudita per i bombardamenti continui sulla popolazione
civile e nemmeno ci siamo ribellati al fatto che abbia addirittura bloccato la
possibilità di un corridoio umanitario per portare rifornimenti e medicinali! 7
milioni di yemeniti, intanto, nel silenzio dei media, soffrono la fame,
mentre dilaga un’epidemia di colera che, soltanto negli ultimi
tre mesi del 2017, ha provocato 2.000 morti. Recentemente, ha fatto il giro del
mondo la foto della bambina yemenita di 7 anni, morta di fame. Naturalmente,
non è la sola perché, ogni mese, oltre 2.000 bambini muoiono di fame o muoiono a
causa di malattie che potrebbero essere facilmente curate.
Tuttavia, tutto
ciò non ha suscitato tanto scalpore quanto Khashoggi. Come mai?
Bisogna
chiedersi, allora, chi venda le armi all’Arabia Saudita. Molti paesi
occidentali, tra cui, ad esempio, l’Italia, che produce bombe a Domusnovas, vicino Iglesias, (440
milioni di euro nel 2016) in una fabbrica che fa parte del gruppo tedesco Rheinmetall defense, e
che dà lavoro a 270 persone. Proprio le bombe che vengono sganciate sullo
Yemen! (Ma d’altra parte, le bombe a cosa potrebbero mai servire?)
Oppure, la
Spagna, che esporta armi di precisione usate in Yemen con effetti devastanti. Tali
armi hanno distrutto alberghi, ospedali, pozzi d’acqua, edifici residenziali, fabbriche, provocando un numero impressionante
di vittime civili. La
Spagna, però, non smetterà un commercio tanto lucroso perché, altrimenti, Riad non
comprerebbe più le cinque navi da guerra di fabbricazione spagnola, né il treno
superveloce per la Mecca, e le aziende spagnole non parteciperebbero alla
costruzione della metropolitana di Riad.
Insomma, si
comprende facilmente perché le sofferenze e le uccisioni di decine di migliaia
di civili, donne, bambini, non facciano tanto scalpore quanto il feroce
assassinio di un solo giornalista.
Come si
comprende molto bene lo scopo dei nostri politici in deferente pellegrinaggio
in quel paese e negli altri della coalizione che sta consumando questo
genocidio.
Ricordo,
persino, vari articoli entusiastici sul riformismo del principe ereditario
quando, dal 25 giugno 2018, le donne hanno potuto guidare (unico paese al mondo
che non lo permetteva!).
Tuttavia,
il grande ammodernamento riformista del principe ereditario non nasce dalla
convinzione che le donne siano esseri umani titolari di diritti umani quanto
gli uomini, ma dalla necessità: lo
sviluppo di uno stato che non viva più solo sul petrolio, ha bisogno anche di
lavoratrici donne.
Nel
frattempo, le donne sono ancora obbligate ad avere un tutore uomo e continuano
a non poter mostrare il volto in pubblico. Per viaggiare, andare al ristorante,
studiare, votare, devono essere accompagnate da un uomo; possono candidarsi ma
non parlare in pubblico; per avere un documento di identità devono avere il
consenso maschile. Quindi, le donne non sono considerate mentalmente
autosufficienti. Però, e qui si può davvero festeggiare (!), è stato possibile per
loro, dal gennaio 2018, entrare allo
stadio per eventi sportivi.
Come pure,
si può essere molto soddisfatti che le donne condannate alla pena di morte
possano scegliere, come mezzo per morire, il colpo di pistola alla nuca per non
essere costrette a scoprirsi il capo!
In un paese
tanto illuminato, alleato dell’Occidente, anch’esso molto illuminato, le poche
attiviste, che esprimono pacificamente delle opinioni, vengono arrestate per
“attività sovversive” e, in prigione, secondo Amnesty International, subiscono
maltrattamenti, torture, scariche elettriche, frustate e molestie sessuali.
Ma di tutto
questo, non mi sembra di averne sentito parlare tanto.
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