MORTO URI AVNERY
Morto
Uri Avnery, fu tra i primi israeliani a concepire l’idea di uno Stato
palestinese
Intellettuale di sinistra, aveva 94 anni
ed era il veterano dei pacifisti di Israele. La sua intervista ad Arafat nel
1982 sconvolse il Paese
davide lerner
Uri Avnery con Yasser Arafat nel 2002
E’ morto Uri Avnery, il veterano dei
pacifisti israeliani, personalità coraggiosa e anticonformista. Negli ultimi
mesi di vita Uri Avnery, intellettuale, giornalista, attivista e combattente
israeliano mancato ieri all’età di 94 anni a Tel Aviv, ricordava ancora con
dispiacere il giorno in cui sua madre lo diseredò, indignata per la sua
intervista con il leader palestinese Arafat a Beirut nel 1982. «Ai tempi il
guerrigliero palestinese era considerato quasi come un secondo Hitler in
Israele, era il nemico numero uno», ricordava Avnery nel suo salotto vicino al
mare di Tel Aviv la scorsa primavera, fra i numerosi ritratti del suo incontro
con il Reis.
«Io volevo far capire agli Israeliani che
Arafat era un essere umano, non un mostro, e che quindi ci si poteva fare la
pace». Il fatto che nemmeno sua madre sapesse comprenderlo, nel suo tentativo
di «umanizzare i palestinesi», rimaneva la più dolorosa testimonianza del
fallimento politico della sua sinistra. Ma Avnery fino all’ultimo rivendicava
una vittoria culturale: «Dopo la guerra di indipendenza, in cui sono rimasto
gravemente ferito, sono stato il primo ad invocare la creazione di uno stato
palestinese - diceva pochi mesi prima di morire - oggi quella mia idea è il
cardine del consenso internazionale sul conflitto».
Quando ho incontrato Avnery pochi mesi fa
gli ho letto una citazione di Alexander Langer che mi sembrava scritta apposta
per lui: «Servono traditori della compattezza etnica, che però non si devono
mai trasformare in transfughi se vogliono mantenere le radici e restare
credibili». Avnery, detestato da tanta parte del pubblico israeliano per la sua
vicinanza ai palestinesi, aveva appena appreso dalle pagine di un nuovo libro
di Ronen Berger che in occasione di quella sua famosa intervista ad Arafat nel
1982 il Ministro della Difesa israeliano Ariel Sharon diede ordine ai servizi
segreti di seguirlo e di eliminare il leader palestinese anche a costo di
metterlo in pericolo di vita. Avnery, che conoscendo bene l’indole
spregiudicata di Sharon non era per nulla sorpreso, si limitava a compiacersi
di come gli uomini dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina
fossero riusciti a seminare gli agenti israeliani quando varcava le frontiere
militarizzate nella Beirut divisa dalla guerra civile.
A chi in Israele lo accusava di essere un
“transfuga” Avnery poteva però rispondere con un curriculum di decorato
combattente non solo nella guerra d’indipendenza del 1948, ma anche nel
movimento sionista “Irgun” ai tempi del mandato inglese. «Abbandonai il
movimento sionista Irgun quando la linea cominciò a tramutarsi da
anti-britannica ad anti-araba - raccontava Avnery la scorsa primavera - me ne
andai ben prima dell’arrivo del futuro Primo Ministro israeliano Menachem
Begin, quando capii che nel mirino non c’erano sempre meno le forze di
occupazione inglesi, e sempre di più i palestinesi». Nelle sue ultime settimane
di vita Avnery colpiva per la sua capacità di parlare con assoluta lucidità dei
suoi rapporti con personaggi che fanno ormai parte della storia, come il
fondatore di Israele David Ben Gurion e i leader del movimento sionista nella
Palestina del mandato britannico. La sua salute mentale intatta dopo quasi
cento anni di vita e attività irrefrenabili era emblematica della sua energia
fuori dal normale.
Nato nel 1923 in Germania ed emigrato con
la famiglia in Israele pochi mesi dopo l’ascesa di Hitler nel 1933, Avnery
muore come pacifista e simbolo di una sinistra israeliana in forte difficoltà,
ma anche come giornalista: «Se non ricevete il mio articolo di commento
politico settimanale, vorrà dire che sono morto», diceva a chi gli era vicino
negli ultimi tempi, con il sarcasmo tipico degli anziani forti che non hanno
paura della morte. Direttore per quarant’anni del settimanale Haolam Hazeh,
Avnery ha scritto fino alla morte anche sul quotidiano Haaretz, ma il suo
articolo settimanale lo mandava solo per mail a un vastissimo seguito di
parenti e amici. Fra loro anche il leader druso libanese Walid Jumblatt, che
non riconosce Israele e rifiuta di rilasciare qualsivoglia dichiarazione ad un
giornale Israele, ma che con Avnery intratteneva un’affettuosa corrispondenza
pubblica di scambio culturale.
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