L'UOMO È IL DISTRUTTORE DEL PIANETA di Paolo D'Arpini
La specie umana è fra le famiglie animali quella che maggiormente ha contribuito a creare deserti sulla terra. Non parlo soltanto dei tempi attuali, in cui per motivi speculativi abbiamo ridotto il nostro pianeta ad un immane mondezzaio pieno di veleni e rifiuti: plastica, prodotti chimici, deiezioni, radioattività, ogm, etc. La vocazione alla distruzione ha radici lontane, si comincia a manifestare con la fine del neolitico e l'avvio del sistema agricolo-pastorale. Con l'agricoltura si iniziò a tagliare le foreste e con la pastorizia si inaridì il territorio. Questa non è una favola è la realtà dei fatti!
Il deserto del Sahara e quello d’Arabia e diversi
altri deserti del Medio Oriente sono stati creati, oltre che dalla carenza di
piogge (dovuta alla separazione della foresta pluviale), dal sistema pastorale
transumante che pian piano ha fatto morire la vegetazione nell’arco di circa
10.000 anni.
L’allevamento di armenti, soprattutto capre, protetti dai pastori contro i naturali predatori e mandati a pascolare ovunque possibile ha favorito la desertificazione. Le capre, infatti, mangiano tutto quel che trovano sino ad arrivare alle radice delle piante e si arrampicano per satollarsi anche sui rami. Pian piano le piante muoiono e di nuove non ne nascono perché fatte fuori appena germogliano.
Gli interventi dell’uomo nel tentativo di “aggiustare” le presenze del
mondo animale sono diventati talmente pesanti da mettere a rischio la stessa
esistenza umana. Infatti il controllo sulle altre specie coinvolge anche
l’uomo, che non è separato dal mondo animale.
Le regole della vita sono molto semplici, ogni specie sia vegetale che
animale ha una interrelazione mutualistica con il suo habitat e con tutte le
specie che lo condividono. Le piante hanno bisogno degli animali per la loro
riproduzione e propagazione, gli erbivori sono controllati dai carnivori
e così si mantiene un equilibrio fra ambiente e suoi abitanti.
Ma dove l’uomo è intervento immediatamente questo equilibrio è andato
perso. Lo abbiamo visto con la desertificazione causate da un esagerato incremento
dell’allevamento domestico e di transumanza. Questo più l’abitudine venatoria
nei confronti di specie ritenute nocive o -al contrario- utili all’economia
umana hanno trasformato talmente l’habitat da renderlo
irriconoscibile…
Tutto ciò in passato avveniva in modo quasi impercettibile, poiché gli
avvenimenti sopra descritti si protraevano per lunghi periodi di tempo, secoli,
se non millenni, ed era alquanto difficile per l’uomo riconoscerne gli effetti
(legati al suo comportamento).
Ben diversa è la situazione attuale. Oggi l’intervento umano ha una conseguenza presso che immediata e non si può far a meno di considerare le cause -come gli effetti strettamente interconnessi- delle mutazioni ambientali in corso. Dove l’uomo interviene immediatamente la natura e la vita recedono.
Persino ove l’uomo cerca di rimediare ai mali del suo operato anche lì
combina guai peggiori. Lo abbiamo visto ad esempio con la politica dei
ripopolamenti artificiali di specie faunistiche scomparse in una data
bioregione e recuperate in altri luoghi del pianeta per esservi
reimmesse, come ad esempio i cinghiali caucasici.
Questa politica è invero deleteria. I danni causati all’habitat
dall’introduzione di specie non autoctone sono enormi. Tant’è che di tanto in
tanto, con la scusa del sovrappopolamento, ci si inventa partite di caccia per
il contenimento di dette specie.
La natura, se lasciata a se stessa, trova sempre il modo di armonizzarsi,
creando una altalena di presenze fra specie predate e specie predatorie… ma
dove interviene l’uomo appare il caos…
Ma è impossibile che la natura sia lasciata a se stessa, dovrebbe
scomparire l’uomo.
Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana
Fonte:
https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2017/09/i-deserti-creati-dalluomo.html
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