Intervista a Francesco Troccoli, autore di fantascienza, sul settimanale LEFT
LEFT
http://www.left.it/
1
luglio 2017
LETTERATURA
Da Gozzano a Calvino maestri di fantascienza umanista
di Federico Tulli
«Sfatiamo il mito che la fantascienza sia evasione dalla realtà.
In effetti ne è interpretazione, trasformazione, arricchimento», dice Francesco
Troccoli, autore di una trilogia in cui la fiction è un atto d’accusa contro il
pensiero freddo e razionale del capitalismo
In Italia la fantascienza ha avuto grandi scrittori, per esempio Primo Levi, ma la sua narrativa in questo ambito è stata considerata minore. Come leggere oggi questa miopia della critica? «Levi, chimico, definì la separazione fra cultura scientifica e umanistica “schisi innaturale”. Agli albori della fantascienza moderna si parlava di “romanzo scientifico” e l’espressione science fiction ha mantenuto la connotazione», racconta Francesco Troccoli, appassionato lettore di Levi e a sua volta autore di romanzi di fantascienza, come la saga dell’Universo insonne, trilogia composta da Ferro Sette e Falsi dèi usciti per Armando Curcio e Mondi senza tempo pubblicato con Delos. «Da un lato, gli argomenti della scienza interessano meno di quelli della storia, dell’attualità, della cronaca sociale; dall’altro, la fantascienza si rivolge a lettori in grado di “accettarla”: la sospensione dell’incredulità è un esercizio impegnativo - sottolinea Troccoli -. Forse fu per questo che Storie naturali di Levi fu pubblicato sotto pseudonimo. Come poteva l’autore di Se questo è un uomo scherzare con le leggi di natura? Alla base del progresso scientifico ci sono sempre state intuizioni geniali, frutto della fantasia dell’osservatore più che della razionalità catalogatrice. A volte queste intuizioni diventano scoperte, a volte racconti. Sfatiamo il mito che la fantascienza sia evasione dalla realtà: in effetti ne è interpretazione, trasformazione e arricchimento. Non a caso Levi la riteneva tutt’altro che scissa dalla sua terribile storia. Rispetto allo scienziato-scrittore di FS più fortuna ha avuto il letterato-scrittore di FS: la fantascienza di Italo Calvino è ben più nota. Eppure, le storie di Levi non sono meno umaniste di quelle di Calvino.
Guido Gozzano è stato un grande scrittore di fantascienza ma
pochi lo sanno, perché è considerato quasi soltanto uno scrittore crepuscolare?
A cavallo fra ’800 e ’900 l’esplorazione del fantastico era
connaturata all’esercizio della narrazione. Capuana, Verga, Svevo, Tozzi,
Gozzano e tanti altri, non hanno disdegnato l’appartenenza a un filone che ha
poco da invidiare a Kafka, Poe, Hoffmann. È una “scienza” diversa da quella del
positivismo di matrice illuministica, una maniera originale di esplorare
l’inconscio, con le difficoltà, ma anche le straordinarie intuizioni, di una
simile ricerca. Fra l’Unità d’Italia e Prima guerra mondiale questi temi erano
trasversali e “normali” per chi scriveva. Forse oggi questa tensione,
quest’attitudine alla ricerca interiore, si è un po’ persa. Raccontare di
fantasmi, maledizioni o arzigogolati marchingegni era normale, era un modo per
tentare di capire l’umano, perché se una storia non è “strana” (weird),
irrazionale, se non apre prospettive diverse, a volte inquietanti, che storia
è? Questa è la potenza di quel che oggi ci ostiniamo a chiamare “genere” con un
accanimento che è soltanto editoriale. Applicando i criteri di genere, dovremmo
includere la Divina Commedia nell’horror, l’Odissea nel fantasy e
l’Orlando Furioso nella fantascienza. E che altro sono Il visconte
dimezzato e Il cavaliere inesistente se non romanzi fantastici?
La tradizione anglosassone ha conosciuto numerosi capolavori.
Autori come Huxley oggi vengono riscoperti anche in Italia, per via indiretta,
attraverso i libri illustrati degli anni trenta o le canzoni di David Bowie.
Che ne pensi?
La fantascienza deve rivolgersi a tutti. Esplora la realtà
dell’essere umano in un modo che non ha eguali. Quella moderna inizia con J.
Verne e H. G. Wells, che ha inaugurato quel filone sociologico, che fa della
fantascienza uno strumento elettivo di analisi dei drammi del ’900, con la
letteratura della distopia, da Huxley a Orwell. Oggi questa valenza
sociologica, umanistica, si è affievolita e, per ritrovarla, bisogna guardare
al passato. All’indomani dell’elezione di Trump, chi non ha pensato a 1984?
Nella fase finale della “Golden age”, la fantascienza guardava alla conquista
dello spazio e, nonostante il terrore nucleare, nutriva grande fiducia
nell’essere mano. Un racconto di Clarke diventava un caposaldo del cinema come 2001:
odissea nello spazio, nel quale, pur nella visione razionalista
dell’origine dell’umanità, c’è l’apertura a una ricerca interiore.
Nell’esplorazione del Cosmo sembravano aleggiare gli echi della filosofia di
Giordano Bruno. Basti pensare a Isaac Asimov. Con il ’68 sono arrivate le
donne, Ursula K. Le Guin fra tutte, e la valenza umanista della narrazione di
genere ha trovato nuova linfa. Sono gli anni in cui il genere ha iniziato a
definirsi in quanto tale, ma forse anche a chiudersi, diventando una nicchia
inizialmente ampia, oggi drammaticamente ridotta. Nelle arti visive, nel
cinema, la fantascienza, spesso sotto mentite spoglie, riesce ancora a parlare
a tutti. Ma bisogna essere David Bowie o i Muse; Stanley Kubrick o Cristopher
Nolan.
L’incontro fra scienza e romanzo conosce oggi un filone che va
da Solar di McEwan a Bruno Arpaia in Italia, una fantascienza piuttosto
catastrofista. Qual è la radice? Dietro a una sincera preoccupazione per
l’ambiente si nasconde una visione apocalittica?
Fino alla caduta del Muro di Berlino, il catastrofismo ruotava
intorno all’olocausto nucleare. Poi siamo passati all’apocalisse ecologica.
Non
si può negare che ambientazioni
simili abbiano effetto ammonitore,
e il
romanzo di Arpaia fa riflettere
sui flussi migratori di oggi. Raccontare
drammi è facile, difficile
è inventare storie che non sfocino
nel fallimento,
individuale o collettivo. E che il fallimento siste-matico sia vocazione di una
cultura plurimillenaria di matrice religiosa è indubbio. Ma il positivismo non
è da meno: secondo la Psicologia delle folle, quando cadono la legge e
la morale (per una guerra nucleare o uno tsunami climatico) la collettività
regredirebbe a uno stato bestiale, lasciando emergere il fatidico homo
homini lupus. Ne La strada di Cormac McCarthy gli esseri umani,
distrutta la società organizzata, “tornano” alla loro natura di feroci bestie
antropofaghe. È questa visione freudiana che nega l’umanità, la sanità della
nascita, e offre la sponda all’alienazione religiosa, che secondo me una vera
fantascienza “umanista” deve rifiutare. La nostra visione dell’essere umano
influenza il nostro futuro di esseri umani. Il genere fantascientifico ha
responsabilità culturali enormi.
Come è nata l’idea di misurarsi con una saga?
Era il 2009. Nella multinazionale per cui avevo lavorato fino ad
allora ero un ingranaggio di un sistema
spersonalizzante,
nel quale l’identità di una persona è definita da numeri: fatturato, quota di
mercato, salario, ore di produttività. Poiché il nostro pianeta è un sistema
chiuso e il nostro modello economico ormai unico non può rinunciare
all’espansione, da appassionato di fantascienza mi chiesi dove, in futuro, si
sarebbero potute reperire le risorse per un’ulteriore “crescita”. La risposta era
ovvia: all’interno del sistema stesso. Ogni individuo ha una riserva ancora
integra, che ammonta in media a otto ore per notte. Applicando gli opportuni
fattori di conversione, è una ricchezza consistente. Bisogna solo farne una
cosa “utile” che produca un “utile”.
Nel mondo di Ferro sette, le persone lavorano senza sosta
al punto che hanno dimenticato cosa sia il sonno, e dunque sognare. Ti rubo una
domanda che tu stesso provocatoriamente poni: ti sembra fantascienza?
Proprio su Left, nel 2015 lessi di 24/7. Il
capitalismo all’assalto del sonno, di Jonathan Crary. Vi si legge: “Aperto
24 ore su 24, 7 giorni su 7, è il mantra del capitalismo contemporaneo,
l’ideale perverso di una vita senza pause (...) in una sorta di veglia
globale”. Nei miei romanzi il sonno inizia a essere ridotto per ragioni
economiche e militari, poi viene combattuto alla stregua di una malattia e
infine sparisce dalla nostra stessa evoluzione. La prima fase si sta
verificando già oggi, con esperimenti militari di deprivazione del sonno. Nel mio Universo Insonne la
perdita di questa funzione biologica allude allo smarrimento del lato
irrazionale, inconscio, creativo, degli esseri umani. Nel mio mondo immaginario
arte, letteratura, sogno, fantasia, sono parole estinte oppure orfane del loro
significato d’origine; i rapporti umani sono gerarchici e di sfruttamento. A tutto questo un uomo, che
conosce la storia umana, si ribella. In molti, spontaneamente, lo seguono.
Quest’uomo parla dell’importanza delle cose “inutili”, delle azioni e dei
pensieri che non obbediscano alla logica della razionalità e della
soddisfazione dei bisogni materiali. Quest’uomo ha scoperto la verità della
natura umana. Anche questo a me sembra tutt’altro che fantascienza...
La Repubblica dei sogni a suo modo è
un libro “sovversivo”...
La Repubblica dei sogni è il coronamento ideale di questa
ribellione. Un’utopia fantascientifica a misura d’uomo. E di donna. Un’enclave
di ribelli ormai vittoriosi, che hanno fatto propria l’identità di quell’uomo,
personalizzandola, trasformandola nella propria, uguale ma diversa. Il
contrario de La Maschera della morte rossa di Poe. Una storia di
realizzazione, una storia che non sfocia nel fallimento.
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