FEMMINICIDIO
Salvatore Montefusco uccise la moglie e la figlia di lei, sentenza choc: niente ergastolo, condanna a 30 anni
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UDI Modena, che fa della prevenzione e contrasto alla violenza patriarcale contro le donne una fra le sue più importanti azioni di lotta politica, esprime il proprio sconcerto nel leggere le motivazioni della sentenza, intrisa di stereotipi e pregiudizi, del procedimento a carico del duplice femminicida, Salvatore Montefusco. Viene riproposto lo schema narrativo secondo cui nemmeno morire morte ammazzate a colpi di fucile basta a due donne, madre e figlia, a scagionarsi da una neanche fin troppo implicita accusa di corresponsabilità all’accaduto. Se la sarebbero andata a cercare, a quanto si deduce, portando all’esasperazione l’assassino buono “arrivato incensurato a 70 anni” e che “non avrebbe perpetrato delitti di così rilevante gravità”, secondo la Corte, se un destino tanto avverso, aggiungiamo provocatoriamente noi, non avesse messo sulla sua strada due donne malevoli a tirar fuori il peggio di lui e a provocare quello che, per la Corte, è certo un “gesto tragico”, ma in fin dei conti “comprensibile” dal punto di vista umano. E’ in questa cornice che l’uomo, provocato dall’ “altissima conflittualità” venutasi a creare a causa di “reciproche” condotte – che fanno pensare a una responsabilità equamente ripartita tra il femminicida e le sue vittime - avrebbe agito in preda a un “black out emotivo ed esistenziale” secondo la Corte (una volta si diceva più sbrigativamente raptus) mettendo in atto una “causale reazione” perché “indotto” dal “disagio, l’umiliazione e l’enorme frustrazione” per dover rinunciare alla casa e al figlio minorenne, per il quale nutriva un amore e una dedizione tale non solo da farlo assistere al massacro facendone per sempre una vittima di violenza assistita, ma rinunciando a lui per sempre condannandosi con ogni probabilità alla galera. Più che una sentenza a carico di Montefusco, per il quale la Procura aveva chiesto l’ergastolo, sembrerebbe una sentenza a carico delle due vittime, rivittimizzate dunque, e istituzionalmente, da una sentenza che punta il dito contro di loro comminando solo 30 anni a Montefusco, perché le attenuanti annullerebbero le aggravanti, a quanto si legge. E dunque no, non vengono riconosciuti i futili motivi, e nemmeno la crudeltà, perché le donne ammazzate non erano certo mansuete e docili come ci si aspetterebbe da donne che possano essere uccise in pace dai loro uomini, senza che un alone ne imbratti la rispettabilità: sarebbero state, invece, complici del loro triste destino nell’ aver costruito giorno dopo giorno la trama della loro stessa uccisione. Qualcuno potrà pensare che differenza possa fare per un settantenne vedersi recludere con una pena a 30 anni o all’ergastolo, dato che in ogni caso il femminicida terminerà presumibilmente la propria vita in carcere. Il punto è che non si tratta della differenza che fa a lui, ma alla differenza che può fare a noi, come collettività, leggere sentenze in cui un femminicidio, qui per giunta doppio, venga sanzionato senza se e senza ma, e letto per ciò che è, scevro da sessismo e doppio standard, e cioè come massima violazione dei diritti umani, a cui le donne in Italia vengono esposte circa ogni 60 ore. Siamo esauste di fare la conta, ma siamo ancor più esauste di interpretazioni giustificazioniste, che non fanno che dare linfa a tutto ciò che UDI da 80 anni, quest’anno, cerca con tutte le proprie forze di debellare.
UDI
https://it.wikipedia.org/wiki/Unione_donne_in_Italia
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