BREVE STORIA DI YANTZED di Angela Fabbri
BREVE
STORIA DI YANTZED
“ Mi chiamo YANTZED, che nella nostra lingua significa ‘Becco di Fuoco’, perché, diversamente da tutti quelli del mio gruppo, il mio becco è di un bel color rosso.
“ Mi chiamo YANTZED, che nella nostra lingua significa ‘Becco di Fuoco’, perché, diversamente da tutti quelli del mio gruppo, il mio becco è di un bel color rosso.
Sono giovane ancora, nel fiore degli anni, e la mia
compagna ha appena dato alla luce tre figli.
Sono
arrivati, e la nostra vita tranquilla è svanita. Le loro voci, i loro gesti,
riempiono le nostre lunghe giornate. Non mi stanco di vederli muovere,
chiamare, guardarmi. Il fremito della vita nuova che noi abbiamo dato.
Qui
siamo in otto: oltre a noi c’è un’altra coppia, di mezz’età, ma i loro figli
sono stati portati via dallo stagno molto prima che noi nascessimo.
E
poi c’è il vecchio che sa tante storie, e racconta, quando non è tutto preso
dai suoi dolori o sommerso dall’onda dei ricordi. Le vecchie storie dei nostri simili che lui
conobbe in gioventù, della sua compagna morta e dei figli che aveva… Parla di
un altro paese dove viveva prima di qui, quando sentiva la gioia dentro di sé,
la voglia di esistere, e dice che io non saprò mai cosa vuol dire.
Poi
mi guarda e – povero disgraziato - dice e io non so se ce l’ha con me o con se
stesso.
Allora
gli chiedo di continuare, di parlarmi del mondo che ha conosciuto, ma lui si
arrabbia e mi manda via.
Me
ne torno alla mia capanna. E’ già
buio. Lei si è già coricata e i miei
figli dormono sodo. L’accarezzo nel
buio e le sfugge un sospiro. Le voglio
bene ed è strano ma quando me la tengo vicina sento che non le ho dato tutto
quello che potevo, che in fondo dalla nostra vita mi aspettavo di più.
Esco
all’aperto e respiro l’aria della sera.
Frugo con gli occhi i cespugli, ho sempre la stessa paura che gli Altri
si avvicinino alla mia casa per farci del male.
Non
lo so il perché di questa paura.
Sono
buoni con noi, almeno i nostri Guardiani, non ci fanno mai mancare il
cibo. Ci aiutano a costruire le nostre
capanne, rendono pescoso lo stagno, ma non riesco a togliermi da dentro questa
diffidenza.
No,
ma non c’è nessuno. Che silenzio,
dormono tutti.
La
radura è buia e le ombre scure del bosco fanno impressione. Possibile che devo avere timore del bosco e
dello stagno, di notte? Eppure è casa
mia, ci sono nato…
Io
non ho mai veduto altro mondo all’infuori di questo e se non ci fosse il
vecchio non saprei che ci sono altri boschi, altri stagni, che ci sono altri
uguali a me.
Ecco,
li hanno trovati oggi. Morti così. Sono stecchiti e freddi e non si sa
perché. Una coppia andata. Erano di mezz’età. E il Guardiano gli badava poco. Così una malattia li ha liberati…
Mi
sorprendo con questi pensieri, ‘li ha liberati della vita’, dico naturalmente,
come se queste parole fossero da anni parte di me. E invece non sono mai state mie.
Non
so perché ci penso tanto su. Eppure la
mia famiglia non è stata toccata, non dovrei prendermela così.
Erano
morti. Ma non erano più giovani e erano
tanto tristi. Un guardiano poco
attento. Io lo potevo capire. E un tempo forse l’avrei anche scusato. Ma quei morti non avevano nessuno che
piangesse per loro, che accusasse per loro, che difendesse la loro morte con
una voce viva levata a dire – E’ stata una cosa terribile –
E
che non permettesse agli Altri di nascondere l’importanza di quello che era
accaduto.
-
Dovete tenerlo nel cuore – gridò – E ricordarlo e soffrire - .
-
Questa volta voglio sapere – dissi al vecchio – Voglio sapere cos’è la libertà
-
-
Devo dirtelo? Devo rendere infelice anche
te? –
-
Sì. Dimmelo -
-
Guarda: nel cielo ci sono le stelle, tante che non puoi vederle tutte con un
solo
sguardo.
Sono tutt’attorno per un arco immenso, e non
le puoi contare. Occupano uno
spazio senza confini.
La terra in cui vivi è senza confini? - …..
…
Di quella sera, spesa in sospiri a spiegare, ho un ricordo doloroso e felice.
Per
un momento nella voce del vecchio riuscii a sentire cos’è la libertà.
Prigionieri
per la vita di quegli esseri insensibili, aperti al mondo solo per coglierne
l’aspetto e non per amarne l’interiorità.
Yantzed
pensava che i suoi Guardiani e tutti gli Altri non capissero il mondo e non
cercassero nemmeno di capirlo.
-
Sì, non cercate nemmeno – disse fra sé.
Yantzed
guardava il cielo stellato.
Era
accovacciato davanti alla porta della sua capanna e la sua compagna gli stava
al fianco, il capo poggiato sulla sua spalla.
Yantzed
pensava. Nel grande silenzio che era
sceso intorno al cader della notte.
Pensava
al suo futuro. Al suo futuro e a quello
dei suoi figli, della sua compagna.
E
più in là, al futuro della sua razza.
Intanto
la notte finiva, il sole comparve rosso fra gli alberi e si levò più in alto.
Ma
Yantzed non aveva risolto nessun problema in tutta la sua notte insonne.
Yantzed
pensava.
-
Guarda mamma, che bello il cigno dal becco rosso! – gridò il bambino.
E
Yantzed curvò il lungo collo bianco.
(Angela
Fabbri, Ferrara 1974)
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